La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 22 agosto 2015

Israele va a caccia di vecchi nemici


di Chiara Cruciati
Ieri Kha­led Meshaal, lea­der del polit­buro di Hamas, ha con­fer­mato i nego­ziati in corso con Israele per una tre­gua di lungo periodo. Una dichia­ra­zione che smen­ti­sce quanto riba­dito pochi giorni fa dal primo mini­stro israe­liano: Tel Aviv «non tiene alcun mee­ting con Hamas né diret­ta­mente né tra­mite intermediari».
Se Hamas dovesse finire fuori dai gio­chi dell’aperto con­flitto con Israele, con l’Iran che gode di nuova legit­ti­ma­zione inter­na­zio­nale in seguito all’accordo di Vienna, Tel Aviv rischia di restare senza nemici con­tro i quali intes­sere le fitte trame della pro­pa­ganda di “Stato sotto assedio”.
Ed ecco che a tor­nare in auge è la Siria. Non certo da sola: negli ultimi due giorni il fuoco incro­ciato al con­fine israelo-siriano ha rimesso a ribol­lire nel gran cal­de­rone tutti gli sto­rici avver­sari di Tel Aviv, da Bashar al-Assad ai gruppi armati pale­sti­nesi fino a, com’è ovvio, Teheran.

Gio­vedì mis­sili lan­ciati dal sud della Siria sono caduti in Gali­lea. Imme­diata la rispo­sta: l’esercito israe­liano gio­vedì sera e di nuovo ieri ha aperto il fuoco almeno 15 volte con arti­glie­ria pesante e droni con­tro la zona di Qunei­tra, valico tra i due paesi. Diverse le ver­sioni dei fatti: secondo la tv di Stato siriana, un raid ha col­pito un’automobile civile vicino ad un mer­cato nel vil­lag­gio di Kom, ucci­dendo 5 per­sone. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, orga­niz­za­zione anti-Assad, ha invece iden­ti­fi­cato le vit­time come mem­bri delle Forze di Difesa Nazio­nale, vicine a Damasco.
E secondo Tel Aviv? Il raid ha avuto come tar­get «la cel­lula ter­ro­ri­stica respon­sa­bile del lan­cio di razzi», ovvero 5 pale­sti­nesi della Jihad Isla­mica gui­data e finan­ziata (secondo Israele) dall’Iran: l’attacco sarebbe stato orche­strato da Saed Izza­dhi, capo dell’unità pale­sti­nese delle Guar­die Rivo­lu­zio­na­rie di Tehe­ran. La Jihad Isla­mica si è affret­tata a negare il pro­prio coin­vol­gi­mento: «Resi­stiamo solo su terra pale­sti­nese», ha detto Muham­mad al-Hind, tra i lea­der a Gaza, seguito a ruota dal por­ta­voce Shi­hab che accusa Israele di «rime­sco­lare le carte» per giu­sti­fi­care una nuova offensiva.
Da parte israe­liana il vor­tice di accuse diverse ha gene­rato non poca con­fu­sione. Alla fine, per Tel Aviv la colpa è di tutto il fronte anti-Israele. Per­ché, riba­di­sce il governo israe­liano, anche «la Siria è respon­sa­bile e ne pagherà il prezzo». A poco ser­vono le dichia­ra­zioni “paci­fi­che” del bel­li­coso Neta­nyahu («Non abbiamo alcuna inten­zione di avviare un’escalation»): non è la prima volta che Israele prende parte diret­ta­mente e indi­ret­ta­mente alla guerra civile siriana, o con attac­chi mirati a com­bat­tenti di Hez­bol­lah schie­rati al fianco di Assad o soste­nendo i ribelli a sud, curan­doli nei pro­pri ospe­dali e for­nendo sup­porto logistico.
La pos­si­bi­lità di un mag­giore coin­vol­gi­mento in Siria tro­ve­rebbe con­ferma nella visita di pochi giorni fa del pre­mier Neta­nyahu e del mini­stro della Difesa Ya’alon alla fron­tiera nord e nelle voci che girano negli ambienti gover­na­tivi sull’esistenza di un piano mili­tare per un’operazione in Siria nel caso di escalation.
Israele non può restare sco­perto. Non può restare senza nemici. E vista la totale assenza di minacce da parte di gruppi isla­mi­sti come Isis e al-Nusra, il timore che si apra un fronte al con­fine nord non è cam­pato in aria. Soprat­tutto in vista del voto del Con­gresso Usa, il pros­simo mese, sull’accordo tra 5+1 e Repub­blica degli Aya­tol­lah: il sem­pre spen­di­bile fan­ta­sma della minac­cia ira­niana potrebbe favo­rire la lobby israe­liana tra i par­la­men­tari Usa, divisi sul sì e il no al nego­ziato for­te­mente voluto dal pre­si­dente Obama.


Fonte: il manifesto

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