La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 agosto 2015

La strana Cuccagna del mercato globale

di Benedetta Diamanti
Nel paese di Ben­godi «si legano le vigne con le sal­sicce e ave­vasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una mon­ta­gna tutta di for­mag­gio par­mi­giano grat­tu­giato, sopra la quale sta­van genti che niuna altra cosa face­van che far mac­che­roni e raviuoli e cuo­cer­gli in brodo di cap­poni, e poi gli git­ta­van quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso cor­reva un fiu­mi­cel di ver­nac­cia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro goc­ciola d’acqua».
Que­sto è il para­diso del cibo descritto da Boc­cac­cio nella nota novella del Deca­me­ron Calan­drino e l’elitropia, la sua per­so­nale ver­sione del paese di Cuc­ca­gna, luogo mitico in cui regna l’abbondanza, il cibo è ricco, grasso e a por­tata di tutti, il benes­sere è uno stato di fatto. La prima occor­renza di un sogno così lar­ga­mente con­di­viso si ha nel fabliau de Coquai­gne del XIII secolo e nella sua dif­fu­sione si asso­cia spesso al sogno di una pan­cia sem­pre piena una con­no­ta­zione di pia­cere car­nale sod­di­sfatto.
Un mito che nasce nel Medioevo e che resi­ste forte e radi­cato fino al Sei­cento, segno di una situa­zione ali­men­tare sem­pre pre­ca­ria, che non per­mette alla mag­gior parte del popolo di man­giare libe­ra­mente e nelle quan­tità desiderate.
Lo spet­tro della fame è sem­pre pre­sente e per que­sto esor­ciz­zato in alcune spet­ta­co­lari mani­fe­sta­zioni di abbon­danza, con­cen­trate in pochis­sime occa­sioni in cui si osten­tano grandi quan­tità di cibo pre­pa­rate per festeg­giare par­ti­co­lari eventi o ricor­renze reli­giose, come i matri­moni o il Natale.
Alcuni secoli dopo, in Occi­dente, il tanto sognato paese di Cuc­ca­gna sem­bra essere diven­tato realtà: scom­parso lo spet­tro della fame ogni sorta di cibo è facil­mente repe­ri­bile ovun­que, il vin­colo della sta­gio­na­lità è stato supe­rato, il mer­cato glo­bale con­sente ogni genere di eso­ti­smo sulla tavola di tutti.
Tutto sem­bre­rebbe per­fetto, almeno da que­sta parte di mondo. Eppure niente è come sem­bra: se la scar­sità ha fatto sognare per secoli una realtà simile a quella in cui viviamo, l’abbondanza, con­qui­stata con un grande dispen­dio di risorse ed ener­gie, sem­bra qual­cosa di dif­fi­cil­mente gesti­bile, che genera nuovi e con­trad­dit­tori pro­blemi legati all’alimentazione, alla pro­du­zione del cibo, allo sfrut­ta­mento delle risorse ambien­tali e umane.
La pro­du­zione del cibo è diven­tata un fatto glo­bale e non più stret­ta­mente locale o nazio­nale: la pos­si­bi­lità di avere in ogni momento dell’anno qual­siasi genere ali­men­tare sulla pro­pria tavola, dopo un primo periodo di eufo­ria, è diven­tato invece un fat­tore cri­tico. Sta­gio­na­lità e loca­lità, che fino a un secolo fa erano per­ce­piti più che altro come vin­coli, si sono tra­sfor­mati oggi invece in fat­tori da risco­prire e a volte reim­pa­rare: se fino agli anni Cin­quanta tutti cono­sce­vano l’avvicendarsi delle varietà di frutta e ver­dura, oggi sono dei poster al super­mer­cato, o tabelle su inter­net a ricor­darci quando le zuc­chine o i cavoli sono di sta­gione e per­ciò più gustosi e acqui­sta­bili a un prezzo più basso. Molti cibi poi sono impor­tati dagli angoli più remoti del globo e le nostre pre­fe­renze in fatto di frutta tro­pi­cale o caffè influen­zano le eco­no­mie di que­sti luo­ghi in maniera dra­stica e distrut­tiva. In un mondo di abbon­danza s’impone l’istanza della fru­ga­lità, la neces­sità di una dra­stica decre­scita eco­no­mica, come ammo­ni­sce Serge Latouche.
Fare la spesa nasconde sem­pre più insi­die, le eti­chette dei cibi ci par­lano di addi­tivi, esal­ta­tori o ecci­pienti, con strani codici che pochi sanno deci­frare: il cibo è a pieno titolo una merce di «con­sumo» e il con­su­ma­tore è inve­stito ogni giorno da moniti di con­sa­pe­vo­lezza, equità, eti­cità, salu­brità che lo invi­tano a dif­fi­dare di quanto con leg­ge­rezza sce­glie­rebbe tra i ban­chi del super­mer­cato. Sem­pre più per­sone sof­frono di orto­res­sia, una pato­lo­gia ner­vosa che si mani­fe­sta con un con­trollo mania­cale sul pro­prio cibo e sui pasti; ma le derive orto­res­si­che carat­te­riz­zano un’ampia parte della nostra società, le paure ali­men­tari sono comu­ne­mente dif­fuse e por­tano a una domanda sem­pre più altra di con­trollo e qua­lità: basti pen­sare al suc­cesso del cibo bio­lo­gico, delle cer­ti­fi­ca­zioni ali­men­tari, dei disci­pli­nari DOP, IGP, IGT, che stanno lì a garan­tire la qua­lità di un prodotto.
Anche i fat­tori sociali e psi­co­lo­gici che inve­stono il cibo sono sem­pre più impor­tanti, se lo spet­tro della fame sem­bra averci abban­do­nato, sono altri gli spet­tri che l’hanno sosti­tuito: il mondo dell’abbondanza è anche il mondo dei disor­dini ali­men­tari. Un accesso troppo facile e senza limiti alle mon­ta­gne di cibo del paese di Cuc­ca­gna porta alla com­parsa di nuove malat­tie, in pri­mis l’obesità, tipica dei paesi ric­chi, in cui regnano il benes­sere e l’abbondanza e la fame ata­vica si tra­sforma in pato­lo­gia. Alla paura della fame si sosti­tui­sce allora la paura del grasso in eccesso, all’antico modello di bel­lezza pin­gue si sosti­tui­sce quello di asso­luta magrezza, così sono sem­pre più dif­fusi i disor­dini ali­men­tari come ano­res­sia e buli­mia e non solo tra le gio­vani ragazze. La pri­va­zione volon­ta­ria del cibo diventa un mezzo per rimo­del­lare il pro­prio corpo e adat­tarlo a canoni distorti.
Così la Cuc­ca­gna rea­liz­zata è ben lon­tana dall’essere il para­diso del benes­sere, die­tro al suo viso rotondo e ben pasciuto l’abbondanza nasconde risvolti inquie­tanti e sono sem­pre più dif­fuse le scelte ali­men­tari eti­ca­mente con­no­tate per con­tra­starli. Un rap­porto sereno col cibo sem­bra ancora un mirag­gio lon­tano e la neces­sità di dibat­tere e inve­sti­gare appare come un impe­ra­tivo categorico.

Fonte: Il manifesto

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