La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 20 giugno 2016

La bellezza dello scarto

di Zelinda Carloni e Adriano Paolella
A differenza dei beni standardizzati, gli oggetti prodotti con materiali scartati possono essere più approssimativi e meno precisi, ma acquisiscono nuova bellezza. Il San Girolamo di Leonardo da Vinci molti anni dopo essere stato utilizzato come anta di un armadietto, fu ritrovato a fare da piano ad uno sgabello di un ciabattino. In quel momento il valore del dipinto era nullo mentre aveva un valore l'uso della tavola di legno per una funzione precisa. Del dipinto era restata l'effige della cultura che l'aveva prodotto, mentre quella stessa cultura si era dissolta. Così nel momento in cui i monumenti della Roma imperiale non avevano più una funzione riconosciuta essi venivano usati per parti (la statua di Pasquino porta ancora i segni di quando costituiva pavimentazione stradale) o ridotti a calcina (le fornaci erano spesso predisposte all'interno degli edifici in smantellamento, vedi Colosseo, vere e proprie cave di materiale).
Ma anche quando se ne conserva l'unitarietà della forma se ne trasforma integralmente la struttura, mantenendone le parti quando esse hanno una funzione ancora utilizzabile.
Il riuso quindi nel tempo veniva attuato in un ambito di necessità dove la disponibilità dei materiali superava il valore del progetto di cui erano parte, dove non si riconosceva valore storico-culturale ai manufatti, e quindi non se ne conservava l'identità, ma li si osservava con lo sguardo attento per capire cosa se ne poteva cavare.
Oggi si può operare con uno sguardo diverso che riconosca il valore culturale del manufatto e quindi, quando opportuno, intervenga per la conservazione della sua identità garantendone al contempo il riuso.
Né codificato né codificabile
Il risultato formale del riuso non è codificato né codificabile. Scaturisce da una attività eclettica fortemente condizionata dal caso, dal capriccio, dalla necessità. L'esito si sottrae ad ogni forma di maniera, non ha un linguaggio definito, è troppo dipendente da condizioni casuali e imprevedibili.
È difficile in questo caso parlare di una estetica specifica, cosa che necessariamente porterebbe ad una forma di codificazione, mentre si riscontra in queste trasformazioni un valore soggettivo più che oggettivo: quello che serve viene riutilizzato per quell'uso così come al ciabattino serviva uno sgabello e non un quadro. L'assenza di considerazione del valore “culturale e storico“ degli oggetti è determinata, in questi casi, dallo stato di necessità in cui avviene la trasformazione: necessità di un riparo, scarsezza di risorse, povertà materiale.
Ma se il riuso passa da una situazione di necessità ad una di opportunità, se il riuso è sottratto alla necessità e quindi al capriccio che lo caratterizza, se esso stesso si appropria di una dimensione culturale e abbandona l'estemporaneità dell'ignoranza, la centralità del hic et nunc ma diviene percorso progettuale, allora vi può essere una estetica del riuso.
Una estetica che caratterizzerebbe l'azione conservativa e trasformativa degli individui e delle comunità e che sarebbe molto diversa da quella vigente così profondamente fondata sulla scarsa attenzione alle risorse, su un manierismo di genere, auto accreditato, del quale si nutre la contemporanea qualità delle trasformazioni.
La preminenza di un gusto definisce una monocrazia, imponendo una unica percezione estetica e strutturando una sorta di “manierismo“ di fatto.
Ma la maniera, che si basa su di un giudizio uniformato, non possiede le caratteristiche per definire il bello; può comprenderlo ma non esaurirlo, in quanto il bello, per sua natura, si sottrae all'uniformità.
Il bello quindi non può essere affidato ad una maniera né come giudizio né come prodotto.
Il giudizio estetico è dinamico
I materiali, le tecniche, il metodo progettuale uniformati producono edifici di maniera.
Per ottenere edifici belli è necessario modificare i criteri che ne guidano l'attuale produzione: il recupero, il riuso, il riciclo di oggetti e materiali riduce gli sprechi e i consumi di energia e di risorse, costringe ad una maggiore attenzione nei confronti dei manufatti.
È un atto lento, riflessivo, etico.
Il giudizio estetico è dinamico, cambia nel tempo, tende a modificarsi in quanto giudizio profondamente culturale, e dunque soggetto agli slittamenti della percezione del gusto.
La variabile etica stabilizza il giudizio estetico e gli impedisce di divenire anch'esso soggetto ai criteri del consumo.
Un oggetto prodotto da un materiale scartato è più bello in quanto in esso vi è una maggiore qualità degli elementi che determinano l'atto creativo e una più elevata espressione della capacità tecnica.
È un atto che si misura con il limite, condizione questa inalienabile dell'attività creativa. Si pensi al David di Michelangelo, tratto da un marmo già sbozzato e da anni abbandonato perché di difficile utilizzazione; è l'atto creativo dello scultore che risolve il problema facendo emergere dalla pietra una forma possibile contenuta nelle dimensioni date. Una grande creatività applicata ad un materiale “scartato“.
Il riuso infatti, ponendo limiti, avendo obiettivi ambientali e sociali impone un processo creativo e progettuale applicato e non è più volto alla realizzazione di un idea auto referenziata. Colloca la creatività nella società, la pone fuori dalla gratuità, le conferisce motivazione e valore di esistenza.
I manufatti potranno essere più approssimativi, meno perfetti, più disordinati, meno precisi ma fuori dall'uniformità e dalla maniera si potrà ottenere una nuova bellezza, quella del giusto.


Fonte: A Rivista 

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