La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 24 ottobre 2015

Israele: nell’agonia di un sogno razzista

di Susan Abulhawa
Nel 1845 il Luogotenente Colonnello George Gowler ha presentato un rapporto dettagliando il potenziale per la colonizzazione ebraica della Palestina. Gli ostacoli che prevedeva avevano a che fare con le risorse e la fattibilità di convincere gli ebrei a immigrare in Palestina. Nessuna considerazione fu data alla popolazione palestinese nativa che viveva già lì da secoli.
Decenni dopo, nel decidere il destino della Palestina, il cosiddetto mandato britannico, Lord Balfour, dichiarò: “Non proponiamo neanche di adottare il sistema di informarsi sui desideri degli attuali abitanti del paese.” Però, davanti a una rivolta palestinese, i britannici si ritirarono, resisi conto dell’errore di avere ignorato la volontà e l’umanità della popolazione indigena.
Poi, quando i sionisti fecero la prima conquista della Palestina, espellendo oltre l’80% della popolazione nativa, Ben Gurion (nato in Polonia con il nome David Grunn), predisse trionfalmente che la popolazione nativa sarebbe certamente sparita. “I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno,” disse.
Anche lui si sbagliava, e molti decenni dopo, dato che questa fantasia sionista non si materializzò, Israele ipotizzò che la forza bruta e la completa colonizzazione della terra alla fine avrebbe ottenutolo sradicamento della società indigena della Palestina. Il capo di stato maggiore dell’esercito Raphael Eitan si è espresso con estrema onestà quando ha detto: “Quando avremo organizzato tutta la terra con gli insediamenti, tutto quello che gli arabi (palestinesi) saranno in grado di fare al riguardo, sarà muoversi rapidamente intorno come scarafaggi drogati in una bottiglia.”
Di nuovo, davanti allo stesso errore, Israele ha semplicemente aumentato la sua brutalità. “Dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere, ogni giorno,” ha spiegato un professore israeliano e una preminente legislatrice israeliana ha lanciato questo invito di genocidio che includeva l’uccisione delle madri palestinesi e dei loro neonati che chiamava “piccoli serpenti”. E ora, come un petulante bambino viziato che non era riuscito a fare come voleva riguardo all’accordo con l’Iran, Netanyahu ha riunito i suoi gangster, facendoli camminare con passo pesante sul terreno sacro per buttare giù la casa, un capriccio epico per il presidente Obama, come a voler dire: guarda che cosa so ancora fare.
La nuova escalation di sradicare la Palestina ora è di arruolare la popolazione civile per armarla e unirsi ai loro delinquenti militari contro la nostra popolazione non armata. Video e notizie di recenti esecuzioni fatte a casaccio, accoltellamenti, e la brama di sangue abbondano su Internet.
E tuttavia noi restiamo.
La nostra società antica, sebbene frammentata e trattata in modo violento, resiste sprezzante, tenace, appassionata e salda. Sebbene traumatizzati e senza guida, restiamo ribelli, coraggiosi e risoluti. Non importa dove siamo, occupati, o trasferiti, e sparsi per il mondo – Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme, i campi profughi del Libano o la Siria o l’Iraq, l’esilio in una diaspora che raggiunge ogni angolo del mondo – continuiamo ad agire insieme, legati da una ferita collettiva, una ferita che gli ebrei dovrebbero comprendere.
Come devono essere sorpresi! Come devono sentirsi totalmente demoralizzati per avere tale potenza militare ed essere, in qualche modo, deboli e piccoli davanti alle nostre pietre.
Come devi sentirti senza fiato, Israele. Come deve essere devastante fallire così miseramente in un compito, anno dopo anno, decennio dopo decennio. Avere ripetutamente intensificato tattiche di morte e di crudeltà, ma non essere riusciti a schiacciarci. Aver portato via bambini a migliaia, quando ancora si facevano la pipì addosso, e scoprire che altre migliaia avevano preso il loro posto il giorno dopo a lanciare sassi contro i vostri carri armati e le vostre armi. Imprigionarli così giovani quando piangono per la paura e grideranno cercando le madri, soltanto per crescere sprezzanti e combattendovi ancora.
Demolire case e intere città, soltanto scoprire che le ricostruiamo e le moltiplichiamo più in fretta di voi. Vederci ballare, studiare, sposarci e avere figli durante il vostro assedio infinito, la vostra occupazione e le campagne di massacri. Vederci vivere dopo che avete fatto a brandelli i nostri cuori con il dolore e le perdite. Bombardare e distruggere le nostre scuole, impedire ai bambini e agli insegnanti di raggiungere le loro aule, e vedere tuttavia che il nostro tasso di alfabetizzazione uguaglia il vostro.
Come dovete essere spaventati perché ancora non vi temiamo; nei recessi del nostro essere siamo persone orgogliose, e invece siete voi ad essere spaventati. Come deve essere profondamente deludente distruggere i nostri villaggi, irrompere nel quartiere di Silwan, scavare sotto le moschee di Al Aqsa e di Al Shakhra [alla ricerca del tempio di Salomone, n.d.t.], decennio dopo decennio, e venirne comunque fuori senza prove della polizia scientifica che appoggino i vostri resoconti, e contemporaneamente avere a che fare con la moltitudine dei palestinesi le cui rivendicazioni sono presenti, ovvie, scritte, note e indiscusse.
Come dovete sentirvi frustrati che quei palestinesi che avete espulso dalle nostre case, che pensavate avreste dimenticato, continuano a scrivere, creare, protestare e a smascherare all’estero, prendendo sempre più slancio per la campagna del movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) che sta riducendo il potere delle vostre bugie. Come è controproducente spendere milioni di dollari per tormentarci all’estero per farci stare zitti, soltanto per scoprire che le nostre voci diventano più forti.
Israele ha fatto e rifatto l’errore di ogni impresa coloniale realizzata prima di loro perché il colonialismo arriva sempre con un senso di supremazia che non considera umani i popoli nativi. Questo è il motivo per cui Israele ci ha sempre sottovalutato. Non capiscono, non apprezzano che noi possediamo la tendenza umana più impulsivo verso la libertà, che la nostra tendenza istintiva è orientata fermamente verso la dignità.
Vedo il dilemma di Israele. Vedo la loro paura. Il dolore di un sogno razzista che è arrivato così vicino ma non del tutto. E posso capire il modo in cui adesso si agitano – violento, brutto, follemente insicuro e incomprensibilmente crudele – è l’agonia del sionismo.
Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese. Il suo romanzo più recente è: The Blue Between Sky and Water[L’azzurro tra cielo e mare], (Bloomsbury, 2015), i cui diritti d’autore sono stati finora venduti per tradurlo in 21 lingue. Questo articolo originariamente è stato pubblicato dal portale on line Middle East Eye.

Pubblicato su www.znetitaly.org
Originale: Roarmag.org
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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