La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 24 ottobre 2015

Processi resistenti

di Andrea Incorvaia
Quando i Pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino hanno concluso la seduta dell'aula torinese con la sentenza ben scandita (“il fatto non sussiste”) , un grande urlo di giubilo si è alzato dalle platee del tribunale piemontese, collegato idealmente con le reti mediatiche e con i luoghi di socialità. Tutti contenti, tutti convinti che quel processo sia stato nel complesso un'ingiustizia, una vergogna per uno stato che si definisce democratico. Pensare infatti che personaggi arcinoti come Silvio Berlusconi dicano esplicitamente in pubblico: “Se mi arrestano, spero che abbiate il coraggio di fare una rivoluzione”, mentre personaggi come lo scrittore napoletano rischino la galera per molto meno e per delle dichiarazioni quasi banali per chi ha fatto della lotta uno dei punti della propria vita, fa quantomeno sorridere e riflettere.
Riflettere perchè oggettivamente siamo di fronte a un'ottima notizia dal punto di vista della libertà di espressione, in un momento difficile per la democrazia stessa costantemente in pericolo tra una riforma della costituzione e un parlamento sottomesso completamente al volere dell' ex sindaco di Firenze.
La riflessione però ha un retrogusto amaro per mille motivi; l'Italia, seguendo il processo De Luca, si è rsicoperta pseudo-libertaria, mille infatti sono stati i post su facebook, i tweet, i messaggi semplici di solidarietà allo scrittore No Tav. Il sentito e passionale discorso di De Luca, enunciato in aula il quale citava Gandhi e Mandela, ribadendo ancora una volta la necessità di sabotare l'alta velocità e tutte le grandi opere per proteggere uomini e donne e territori dalla speculazione affaristico-mafiosa è stato apprezzato da molti. Personalmente, mi ha fatto molto piacere la sentenza emessa dal tribunale di Torino, una scelta contraria avrebbe costituito un precedente pericolosissimo che nessuno di noi poteva permettersi, in fondo diciamocela tutta, la chiusura del processo costituisce una piccola-grande vittoria.
Il problema, come sempre, risiede in tutto ciò che viene dopo. Il processo alle opinioni subito da Erri De Luca infatti è un progetto voluto da magistrati che da tempo mirano a contenere i fuochi della resistenza valsusina, vero baluardo inespugnabile dall'affarismo speculativo che vige sovrano in questo paese.
Se De Luca è stato processato per istigazione alla violenza, andando a “scomodare” un articolo del codice penale dichiaratamente fascista, tantissimi sono gli uomini e le donne che in questi duri anni di lotta e battaglie per difendere semplicemente la loro terra hanno passato giorni interi, mesi e anni in galera, rei di aver osato dissentire rispetto ad un progetto assolutamente inutile, sterile e vergognosamente antidemocratico come quello della Torino-Lione. I nomi e i volti sono tanti ed è persino difficile enunciarli: Claudio, Chiara, Marco e Niccolò sono solo gli ultimi di una lunghissima serie che ha radici, purtroppo ormai trentennali. Una terra che si è stretta attorno alla lotta, in maniere solidaristica, cooperativa forse utopica per i tempi che corrono.
“Ti sbattono in galera che sei un'anima bella, diventi un corpo inanimato in cella”, questa frase presa da un pezzo degli Assalti Frontali ( Mappe della Libertà ndr ), storico gruppo rap-militante romano, spiega in maniera “canzonata” quello che significa il carcere oggi soprattutto quando quest'ultimo sopraggiunge per reati che riguardino il dissentire rispetto al pensiero di chi prende le decisioni. Don Gallo compianto prete-partigiano genovese spesso nei suoi discorsi pieni di enfasi e carichi di emozione parlava delle condizioni disumane delle carceri; siamo sicuri che tutti gli #IostoconErri di questi giorni siano così benevolenti con chi oggi prova questa a combattere certe dinamiche rischiando poi seriamente di perdere la propria libertà.
E' lo stesso scenario visto e rivisto in quel di Niscemi, ai piedi del Muos: avvisi di garanzia, denunce, fogli di via; pochi esprimono la propria solidarietà quando qualcuno viene colpito da determinati “trattamenti”.
La società rimane quindi pavida avulsa da determinati contesti e preferisce parafrasando Gaber: “La rivoluzione? Oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente. E' chiaro che nella liquidità della nostra società affrontare tematiche che riguardino il bene collettivo provando ad opporsi in maniera legittima a scelte dall'alto insensate è sempre più difficile. Difficoltà amplificata da un fattore “antropologicamente” italico: un paese dove il fascismo ( Salvini docet ) è opinione, mentre il dissenso (anche quello più “pacifico”) è reato.

Fonte: Il Becco

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