La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 24 ottobre 2015

L'economia, gli Stati nazionali e le imprese multinazionali

di Paolo Andreozzi
Se ordiniamo tutte le economie nazionali secondo i PIL rispettivi, abbiamo una certa lista di Stati. E se ordiniamo tutte le economie private secondo i rispettivi fatturati societari, abbiamo una certa lista di multinazionali.
Ora, se interpoliamo le due liste ne abbiamo una terza che allinea indifferentemente Stati e multinazionali in base alla loro potenza economica.
Le prime cento entità di questa lista, in ordine decrescente, sono economie pubbliche in 56 casi ed economie private in 44. La multinazionale che fattura di più al mondo è Walmart; è 27ma in classifica ‘mista’ e il suo fatturato è maggiore del PIL dell’Austria, per esempio.
Se poi l’interpolazione la facciamo non sui prodotti interni lordi ma sui bilanci nazionali, sugli incassi (che ai fatturati privati somigliano anche di più), allora la lista mista vede addirittura 67 multinazionali nei primi 100 posti, e solo 33 Stati; con Walmart al 13mo posto, davanti all’India (da un miliardo e un quarto di anime) per esempio.
La fonte è il Rapporto2015 del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, ripreso anche da Sbilanciamoci.
Siamo lontani più di tre secoli e mezzo dalla Pace di Westfalia, che ordinava il mondo in un certo modo: c’erano gli Stati e c’erano i popoli, e basta. E quella è stata a lungo la configurazione politico-giuridica più idonea al modello socioeconomico reale, cioè all’avanzata delle borghesie in contesa rivoluzionaria coi regimi antichi (Inghilterra 1688, Francia 1789, un po’ dovunque dal 1848 in poi), cioè al sistema di produzione capitalista prima, durante e dopo le varie rivoluzioni industriali. Configurazione che non ha impedito un’infinità di guerre, peraltro.
E in tale quadro si è pure sviluppata la risposta storica delle masse e dei lavoratori alle élite dominanti e ai padronati, prima attraverso le rivolte spontanee, poi e insieme col socialismo utopistico, poi e insieme col sindacalismo, poi e insieme con l’anarchismo, poi e insieme col marxismo, poi e insieme con le forze comuniste organizzate. Da ultimo, ma praticamente ‘in esclusiva’, con l’accettazione socialdemocratica del sistema parlamentare in cui i rappresentanti politici di masse e lavoratori concorrono ad occupare posti di potere dai quali possono dar forma statuale agli interessi dei propri rappresentati, altrimenti schiacciati da élite e padronati a causa dei rapporti di forza reali.
E però, oggi? Dico: se abbiamo appena visto nella nostra lista che non è più lo Stato, tantomeno il popolo, l’unico soggetto del potere? Se in 44 casi sui primi 100 in ordine di grandezza (o addirittura in 67 casi su 100), l’entità che gode del potere effettivo non deve rispondere per suo stesso statuto a nessuna delle regole di rappresentanza, di parlamentarismo e di democrazia borghese pur da noi accettate? E se questa tendenza già in atto da almeno mezzo secolo è, com’è indubbio che sia, crescente e anche accelerata, noi che facciamo?
Non è, compagni, che dobbiamo riaggiornare un po’ le nostre analisi, strategie, tattiche? Anche perché il 2001, con tutte le sue odissee nello spazio e dallo spazio, è passato da un pezzo (vezzo da titolista).
Non dico di riprendere pari pari la famosa, o famigerata, lettura di fase del S.I.M., lo Stato Imperialista delle Multinazionali che tolse il sonno, e soprattutto parecchia lucidità, ai ‘compagni che sbagliavano’ nei plumbei Anni ’70; ma più efficacemente, forse, di riattualizzare la profetica visione di Gramsci il quale riteneva che la rivoluzione, specie in Occidente, dovesse camminare prima ancora che sulle gambe della conquista del potere statale, su quelle di un movimento reale egemonico nella società, che già ai suoi tempi mostrava di essere un po’ più complessa della semplice dialettica popolo/governo.
E allora, in conclusione? In conclusione va bene accettare il e concorrere al gioco democratico e rappresentativo, ma insieme e spendendoci ancor più risorse far sentire la nostra voce nei e riguardo ai nodi dei rapporti di forza reali, strutturali, con proposte, vertenze, contenuti e lotte all’altezza della sfida. In questo, nella porzione particolarissima dell’Occidente che è l’Italia, ci dà una mano l’impianto (e la popolarità, ancora) della nostra Carta Costituzionale; come dico sempre, una strada può essere quella di pretendere, in ogni modo e sede, l’implementazione di tutto il socialismo possibile in Italia a Costituzione vigente.
Può farlo un partito, un sindacato, un movimento civico, e certo anche (se non meglio ancora) una coalizione sociale. E l’ho pure detto, argomentato con rispetto, a Landini in una delle prime riunioni ristrette del suo progetto, e ripetuto alla prima assemblea nazionale; però tuttora non saprei se può esser servito a qualcosa.
Non so, vediamo. Magari prima del prossimo secolo, però.

Fonte: Esseblog 

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