di Gianni Ferrara
Sono tre le «riforme» dell’Unione europea proposte a seguito della
crisi (non risolta certo col diktat subito da Alexis Tsipras). Una
dai «cinque presidenti» (della Commissione, del Consiglio
europeo, dell’eurogruppo, della Bce e del Parlamento europeo),
un’altra da Hollande, un’altra ancora da Schaeuble.
Discuterle, esplicitarne e valutarne il contenuto e informarne
coloro che ne dovrebbero subire gli effetti è, comunque,
ineludibile. Per dimostrare e confermare che «c’è vita
a sinistra», come meritoriamente ammonisce Norma Rangeri aprendo
il dibattito su questo giornale per impedire che questa «vita»
venga dissipata ancora una volta dall’eterno spirito di scissione
che dilania la sinistra italiana quando non degrada nel
trasformismo e nell’omologazione alla destra.
Sul giudizio che meritano e sull’atteggiamento da assumere nei
confronti di ciascuna di queste riforme o di tutte e tre si potrebbe,
anzi, si dovrebbe provare a instaurare, come propone Valentino
Parlato, un’alleanza tra le sinistre d’Europa, quelle che sono tali
e perciò europeiste, ma anti-Ue. Sarebbe un primo passo da compiere
per reagire alla sconfitta subita della democrazia di un Paese solo
contro il trust dei creditori costituitosi in Eurogruppo,
istituzione non prevista dai Trattati ma sciaguratamente
dominante nella realtà europea.
Ma cosa riformerebbero… le «riforme» proposte? Non c’era da
sperare, e da chi le ha formulate c’era solo e c’è solo da attendere
risposte miopi, inadeguate, desolanti. I cinque Presidenti hanno
raccolto tutto quanto completerebbe l’acquis communitaire di
tipo istituzionale e ne chiedono l’integrazione nel Trattato. Siamo
alle solite: maggiore convergenza, maggiore competitività,
maggiore efficacia dell’attività delle varie amministrazioni
pubbliche, più unione bancaria e dei mercati dei capitali,
eccetera.
Hollande, propone un comune bilancio dell’eurozona, col controllo
(non su deliberazione) del Parlamento. Perciò l’inalterabile ed
esclusiva iniziativa della Commissione di Bruxelles,
intransigente baluardo dell’esecuzione dei Trattati e del principio
neoliberista su cui si fonda l’Ue e via proseguendo
e perseguendo le promesse dell’austerity. Schaeuble non si
smentisce, propone, tetragono, di creare un Ministro del Tesoro
europeo, cioè di «commissariare» l’Eurozona, limitando in tal modo
la stessa Commissione.
Insomma, un uomo solo al controllo, scelto ovviamente
dall’Eurogruppo, come a dire, da egli stesso tra i suoi allievi
e delegati nei vari stati dell’euro. Comunque modifiche tutte
interne al sistema dell’Ue, nulla che possa incrinarlo, aprirlo
a politiche diverse da quelle adottate finora, nulla che possa
inquinarlo di socialità.
Con proposte di tal genere di riforme torna la sempiterna
richiesta di cessione delle sovranità statali. La riformulava
autorevolmente Eugenio Scalfari con l’articolo domenicale del
2 agosto.
Ma com’è possibile non domandarsi quali siano stati gli effetti
delle tante cessioni di sovranità che dal 1957 hanno cadenzato
e formato «questa» Europa ? Come non constatare che le sovranità
statali siano state cedute ai mercati, al sistema privato della
finanza internazionale ? Com’è possibile non indignarsi nel
constatare che ad esercitare le sovranità già cedute dagli stati
dell’eurozona sia l’Eurogruppo a direzione Schaeuble ? Com’è
possibile non indignarsi nel constatare che le cessioni di
sovranità già operate hanno mutilato, compresso, ridotto al minimo,
lo stato sociale e hanno desertificato gli spazi che la democrazia
del secondo dopoguerra aveva aperto alla dignità umana?
Ce ne sono ragioni perché la vita a sinistra ridesti lo spirito
di rivolta nei confronti di questa Europa, e solleciti la capacità
di disegnare l’altra Europa.
Fonte: il manifesto
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