La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 agosto 2015

Corbin il rosso pronto a mettere Blair in soffitta

E Corbyn vuol mettere Blair in soffitta
di Gian Maria Volpicelli
Jeremy Corbyn non ama il pronome “io.” Anche ora che sembra a un passo da diventare il prossimo leader laburista, Corbyn, 66 anni, di cui 32 da deputato di Islington North, non riesce a intestarsi il successo, e continua a parlare di “noi”: “le nostre proposte”, “la nostra campagna”, “le nostre idee”.
“Non penso che tutto ciò abbia a che fare con me,” dice. “C’è un movimento di popolo, alla base.”
Nell’era della personalizzazione della cosa pubblica, in cui si votano gli uomini più che il progetto— l’era dei Nigel Farage, dei Boris Johnson, e, oltreoceano, dei Donald Trump—è paradossale che il politico che ha scatenato una vera e propria mania fra i progressisti britannici abbia come motto “I don’t do personal”, non parlo di persone, ma di idee.

E però la parabola di Corbyn il socialista, la cui candidatura a leader del Labour con un programma anti-austerity è passata da puramente ornamentale a probabilmente vincente —alle primarie che iniziano il 14 Agosto (si vota fino al 10 settembre, il 12 i risultati) sondaggisti e bookmaker lo danno in vantaggio di 20 punti sulla seconda classificata, la centrista Yvette Cooper— non può essere compresa senza guardare anche al personale.
Certo, le proposte di Corbyn sono di per sé una ventata d’aria fresca nelle stanze del centrosinistra inglese, se non altro per l’audacia con cui vogliono cancellare il blairiano “New” dal New Labour (Corbyn nega: “Non voglio portare il partito all’era pre-Blair, ma verso un futuro di eguaglianza,” spiega.) Fine dell’austerità, tasse più alte sui grandi redditi, statalizzazione di ferrovie e sanità, abolizione delle rette universitarie (alzate dal governo Cameron da 3mila a 9mila sterline nel 2010). Un programma vecchio stampo, se nel Regno Unito odierno non fosse quasi un’eresia, anche fra i ranghi laburisti.
A questo Corbyn aggiunge una patina di democrazia diretta con venature quasi grilline, per quanto la funzione salvifica della “Rete”, pur presente, sia ridimensionata a favore degli incontri sul territorio. “Gli inglesi sono pronti per un approccio diverso alla politica, e sono stanchi dell’eccesso di parlamentarismo,” spiega Corbyn. “La politica del futuro verrà da fuori il parlamento: da un movimento popolare, non da manovre di palazzo”.  Una sorta di Tsipras in versione inglese, insomma.
Il personaggio Corbyn piace soprattutto in virtù del suo curriculum e persino del suo aspetto.
Barbuto, ciclista, repubblicano, oppositore della guerra in Iraq, pescetariano (il Daily Mail aggiunge “astemio”, ma è non è vero), i fan di  Corbyn lo descrivono spesso con un solo aggettivo: “principled”, una persona che crede nei suoi principi. La sua casa di Finsbury Park, ingombra di libri sulla storia dei popoli —dalla Palestina all’Irlanda, dal Sahara Occidentale, a Cuba, al Messico—è una sorta di riassunto di oltre trent’anni in cui Corbyn ha passato i weekend agitando megafoni a picchetti e manifestazioni, e ad arringare folle da palchi in mezzo alle piazze londinesi. È su quella nave scuola che Corbyn ha imparato due cose: la prima è “mai ripetere lo stesso discorso davanti a due pubblici diversi,” la seconda è che bisogna sempre dire chiaramente quello che si pensa. Soprattutto la seconda fa brillare Corbyn nei confronti con gli altri tre candidati leader: Cooper, il liverpudliano Andy Burnham e la blairiana Liz Kendall.  Mentre i suoi rivali più giovani, benvestiti e usciti da Oxbridge  hanno elevato la replica evasiva a forma d’arte, Corbyn (che non ha finito l’università) dà risposte immediate. Questo sì, questo no. Ciò gli ha valso l’accusa di essere un semplificatore e un populista, ma allo stesso tempo ha dato la sensazione che Corbyn sappia chi è, e dove sta andando.
Il successo annunciato di Corbyn alle prime elezioni in cui il leader verrà scelto principalmente dal voto dei supporter del Labour (un po’ come nelle primarie del Pd italiano), ha scatenato il panico nei ranghi del partito, e in gran parte della politica britannica. Accanto alla prevedibile risposta negativa dei quotidiani conservatori—Daily Mail, Sun, Daily Telegraph— anche il più progressista The Guardian  (e la sua incarnazione domenicale, The Observer) ha sposato una linea anti-Corbyn, spiegando che le sue idee radicali “non sono la risposta ai problemi del Labour.” All’interno del partito già si parla di un piano per rovesciare Corbyn nel caso dovesse essere eletto (serve la sfiducia di 47 deputati), o addirittura di scisma dell’ala blairiana del partito. Lo stesso Tony Blair, in quello che —data la popolarità sottozero dell’ex primo ministro— è stato probabilmente un assist a Corbyn, ha dichiarato che “se il cuore degli elettori è con Corbyn, dovrebbero fare un trapianto cardiaco.”
Gran parte delle critiche si basano sulla'idea che la batosta elettorale di maggio, in cui i conservatori di David Cameron hanno sconfitto i laburisti di quasi cento seggi, sia stata dovuta alle idee troppo sinistrorse dell’allora leader Ed Miliband. Un partito che voglia farcela nel 2020 dovrebbe quindi di necessità spostarsi più al centro: Corbyn , con le sue idee da sinistra Old Labour, sarebbe semplicemente “ineleggibile”.
“Questo non è vero: sono stato eletto otto volte nel distretto che rappresento”, .è  la pacata risposta del candidato. “L’ultima volta sono stato eletto con la maggioranza più schiacciante nella storia di Islington North, e tutto ciò accadeva mentre il Labour era sconfitto nel resto del Paese”.
Corbyn parte da un’interpretazione diversa della débâcle: il Labour avrebbe perso perché’ troppo centrista, perché avrebbe proposto una sorta di versione light delle politiche di austerity dei Tory.
“La realtà è che i nostri elettori non si sentivano abbastanza motivati a votare: l’affluenza è stata del 64 percento [in realtà e stata del 66, ed e’ alta per gli standard britannici, ndr] e il numero di elettori giovani che hanno votato e stato molto basso”, dice Corbyn. “ In Scozia, abbiamo regalato seggi al Partito Nazionalista Scozzese perché loro sono riusciti a presentare se stessi come un partito anti-austerity,  per cui anche li non c’era motivo di votare il Labour.” La ricetta di Corbyn sarebbe quindi vincere recuperando quei voti.
Gli attacchi della stampa, che in Gran Bretagna sa essere spietata, non lo preoccupano più’ di tanto. Più che trovare un modo per gestirla, Corbyn parla di maniere per aggirarla. “Dobbiamo cercare innanzitutto di parlare con la gente direttamente, in incontri faccia a faccia,” spiega. “Poi dobbiamo cercare di apparire in TV, in programmi in diretta che sono difficili da manipolare. La carta stampata scrive un sacco di cose negative, ed è una specie di barzelletta”.
Poi, ovviamente, c’è Internet. Due diversi articoli del The Guardian  e del New Statesman hanno notato come gran parte dei “corbyniti” siano under-30, il che probabilmente spiega l’ondata pro-Corbyn sui social network, che fin dall’inizio ha dato al deputato di Londra Nord una visibilità inaspettata. È singolare che il più anziano dei candidati, i cui modelli politici sembrano provenire da un’altra epoca ( fra gli eroi di Corbyn ci sono Salvador Allende e Aneurin Bevan, creatore del sistema sanitario nazionale) rappresenti, per i giovani laburisti “un nuovo inizio”. Ma Corbyn deve aver toccato le corde giuste (abolizione delle rette, riduzione degli affitti) se qualcuno sui social è arrivato a paragonarlo ad Albus Silente, il preside saggio della saga di Harry Potte(“Non mi piace come paragone, è un po’ sciocco,” è la sua reazione).
Resta da vedere se l’impresa possa davvero essere fatta. Il sistema elettorale laburista è abbastanza insidioso (è  strutturato con un sistema di doppie preferenze) da non dare a Corbyn la certezza di essere eletto, anche se l’attuale previsione di un risultato vicino al 42 per cento si rivelasse giusta. Comunque vada, la Corbyn-mania costringerà il partito laburista a fare i conti con se stesso, e con il suo elettorato.
“Sono molto felice di come sta andando,” dice lui con un luccicore negli occhi. “ Mi diverto a viaggiare in treno, mi diverto a incontrare la gente. E poi, abbiamo cambiato il dibattito interno al partito. In un certo senso, abbiamo già vinto.”

Fonte: L'Espresso

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