di Gian Maria Volpicelli
Jeremy Corbyn non ama il pronome “io.” Anche ora che sembra a un passo da
diventare il prossimo leader laburista, Corbyn, 66 anni, di cui 32 da
deputato di Islington North, non riesce a intestarsi il successo, e
continua a parlare di “noi”: “le nostre proposte”, “la nostra campagna”,
“le nostre idee”.
“Non penso che tutto ciò abbia a che fare con me,” dice. “C’è un movimento di popolo, alla base.”
Nell’era della personalizzazione della cosa pubblica, in cui si votano
gli uomini più che il progetto— l’era dei Nigel Farage, dei Boris
Johnson, e, oltreoceano, dei Donald Trump—è paradossale che il politico
che ha scatenato una vera e propria mania fra i progressisti britannici
abbia come motto “I don’t do personal”, non parlo di persone, ma di
idee.
E però la parabola di Corbyn il socialista, la cui candidatura a leader
del Labour con un programma anti-austerity è passata da puramente
ornamentale a probabilmente vincente —alle primarie che iniziano il 14
Agosto (si vota fino al 10 settembre, il 12 i risultati) sondaggisti e
bookmaker lo danno in vantaggio di 20 punti sulla seconda classificata,
la centrista Yvette Cooper— non può essere compresa senza guardare anche
al personale.
Certo, le proposte di Corbyn sono di per sé una ventata d’aria fresca
nelle stanze del centrosinistra inglese, se non altro per l’audacia con
cui vogliono cancellare il blairiano “New” dal New Labour (Corbyn nega:
“Non voglio portare il partito all’era pre-Blair, ma verso un futuro di
eguaglianza,” spiega.) Fine dell’austerità, tasse più alte sui grandi
redditi, statalizzazione di ferrovie e sanità, abolizione delle rette
universitarie (alzate dal governo Cameron da 3mila a 9mila sterline nel
2010). Un programma vecchio stampo, se nel Regno Unito odierno non fosse
quasi un’eresia, anche fra i ranghi laburisti.
A questo Corbyn aggiunge una patina di democrazia diretta con venature
quasi grilline, per quanto la funzione salvifica della “Rete”, pur
presente, sia ridimensionata a favore degli incontri sul territorio.
“Gli inglesi sono pronti per un approccio diverso alla politica, e sono
stanchi dell’eccesso di parlamentarismo,” spiega Corbyn. “La politica
del futuro verrà da fuori il parlamento: da un movimento popolare, non
da manovre di palazzo”. Una sorta di Tsipras in versione inglese,
insomma.
Il personaggio Corbyn piace soprattutto in virtù del suo curriculum e persino del suo aspetto.
Barbuto, ciclista, repubblicano, oppositore della guerra in Iraq,
pescetariano (il Daily Mail aggiunge “astemio”, ma è non è vero), i fan
di Corbyn lo descrivono spesso con un solo aggettivo: “principled”, una
persona che crede nei suoi principi. La sua casa di Finsbury Park,
ingombra di libri sulla storia dei popoli —dalla Palestina all’Irlanda,
dal Sahara Occidentale, a Cuba, al Messico—è una sorta di riassunto di
oltre trent’anni in cui Corbyn ha passato i weekend agitando megafoni a
picchetti e manifestazioni, e ad arringare folle da palchi in mezzo alle
piazze londinesi. È su quella nave scuola che Corbyn ha imparato due
cose: la prima è “mai ripetere lo stesso discorso davanti a due pubblici
diversi,” la seconda è che bisogna sempre dire chiaramente quello che
si pensa. Soprattutto la seconda fa brillare Corbyn nei confronti con
gli altri tre candidati leader: Cooper, il liverpudliano Andy Burnham e
la blairiana Liz Kendall. Mentre i suoi rivali più giovani, benvestiti e
usciti da Oxbridge hanno elevato la replica evasiva a forma d’arte,
Corbyn (che non ha finito l’università) dà risposte immediate. Questo
sì, questo no. Ciò gli ha valso l’accusa di essere un semplificatore e
un populista, ma allo stesso tempo ha dato la sensazione che Corbyn
sappia chi è, e dove sta andando.
Il successo annunciato di Corbyn alle prime elezioni in cui il leader
verrà scelto principalmente dal voto dei supporter del Labour (un po’
come nelle primarie del Pd italiano), ha scatenato il panico nei ranghi
del partito, e in gran parte della politica britannica. Accanto alla
prevedibile risposta negativa dei quotidiani conservatori—Daily Mail,
Sun, Daily Telegraph— anche il più progressista The Guardian (e la sua
incarnazione domenicale, The Observer) ha sposato una linea anti-Corbyn,
spiegando che le sue idee radicali “non sono la risposta ai problemi
del Labour.” All’interno del partito già si parla di un piano per
rovesciare Corbyn nel caso dovesse essere eletto (serve la sfiducia di
47 deputati), o addirittura di scisma dell’ala blairiana del partito. Lo
stesso Tony Blair, in quello che —data la popolarità sottozero dell’ex
primo ministro— è stato probabilmente un assist a Corbyn, ha dichiarato
che “se il cuore degli elettori è con Corbyn, dovrebbero fare un
trapianto cardiaco.”
Gran parte delle critiche si basano sulla'idea che la batosta elettorale
di maggio, in cui i conservatori di David Cameron hanno sconfitto i
laburisti di quasi cento seggi, sia stata dovuta alle idee troppo
sinistrorse dell’allora leader Ed Miliband. Un partito che voglia
farcela nel 2020 dovrebbe quindi di necessità spostarsi più al centro:
Corbyn , con le sue idee da sinistra Old Labour, sarebbe semplicemente
“ineleggibile”.
“Questo non è vero: sono stato eletto otto volte nel distretto che
rappresento”, .è la pacata risposta del candidato. “L’ultima volta sono
stato eletto con la maggioranza più schiacciante nella storia di
Islington North, e tutto ciò accadeva mentre il Labour era sconfitto nel
resto del Paese”.
Corbyn parte da un’interpretazione diversa della débâcle: il Labour
avrebbe perso perché’ troppo centrista, perché avrebbe proposto una
sorta di versione light delle politiche di austerity dei Tory.
“La realtà è che i nostri elettori non si sentivano abbastanza motivati a
votare: l’affluenza è stata del 64 percento [in realtà e stata del 66,
ed e’ alta per gli standard britannici, ndr] e il numero di elettori
giovani che hanno votato e stato molto basso”, dice Corbyn. “ In Scozia,
abbiamo regalato seggi al Partito Nazionalista Scozzese perché loro
sono riusciti a presentare se stessi come un partito anti-austerity,
per cui anche li non c’era motivo di votare il Labour.” La ricetta di
Corbyn sarebbe quindi vincere recuperando quei voti.
Gli attacchi della stampa, che in Gran Bretagna sa essere spietata, non
lo preoccupano più’ di tanto. Più che trovare un modo per gestirla,
Corbyn parla di maniere per aggirarla. “Dobbiamo cercare innanzitutto di
parlare con la gente direttamente, in incontri faccia a faccia,”
spiega. “Poi dobbiamo cercare di apparire in TV, in programmi in diretta
che sono difficili da manipolare. La carta stampata scrive un sacco di
cose negative, ed è una specie di barzelletta”.
Poi, ovviamente, c’è Internet. Due diversi articoli del The Guardian e
del New Statesman hanno notato come gran parte dei “corbyniti” siano
under-30, il che probabilmente spiega l’ondata pro-Corbyn sui social
network, che fin dall’inizio ha dato al deputato di Londra Nord una
visibilità inaspettata. È singolare che il più anziano dei candidati, i
cui modelli politici sembrano provenire da un’altra epoca ( fra gli eroi
di Corbyn ci sono Salvador Allende e Aneurin Bevan, creatore del
sistema sanitario nazionale) rappresenti, per i giovani laburisti “un
nuovo inizio”. Ma Corbyn deve aver toccato le corde giuste (abolizione
delle rette, riduzione degli affitti) se qualcuno sui social è arrivato a
paragonarlo ad Albus Silente, il preside saggio della saga di Harry
Potte(“Non mi piace come paragone, è un po’ sciocco,” è la sua
reazione).
Resta da vedere se l’impresa possa davvero essere fatta. Il sistema
elettorale laburista è abbastanza insidioso (è strutturato con un
sistema di doppie preferenze) da non dare a Corbyn la certezza di essere
eletto, anche se l’attuale previsione di un risultato vicino al 42 per
cento si rivelasse giusta. Comunque vada, la Corbyn-mania costringerà il
partito laburista a fare i conti con se stesso, e con il suo
elettorato.
“Sono molto felice di come sta andando,” dice lui con un luccicore negli
occhi. “ Mi diverto a viaggiare in treno, mi diverto a incontrare la
gente. E poi, abbiamo cambiato il dibattito interno al partito. In un
certo senso, abbiamo già vinto.”
Fonte: L'Espresso
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