La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 5 agosto 2015

Nuova sinistra: stavolta spontaneamente non nasce niente (o troppo)


di Alfonso Gianni
L'intervento di Norma Ran­geri «C’é vita a sini­stra», ha il pre­gio di andare al noc­ciolo della que­stione. In un con­te­sto ove il «benal­tri­smo» è assai dif­fuso ed è una delle facce dell’immobilismo, è una occa­sione da non sprecare.
In Ita­lia non esi­ste una sini­stra degna di que­sto nome per spes­sore di pen­siero, qua­lità di pro­po­sta, massa cri­tica. È una con­danna eterna, una sorta di legge del contrappasso?
No, ma è una con­di­zione reale che ha cause pro­fonde. Lasciamo per un attimo da parte, senza dimen­ti­carle mai, quelle più strut­tu­rali deri­vanti dalla deva­sta­zione ope­rata nel tes­suto sociale dai pro­cessi indotti dal moderno capi­ta­li­smo e dal suo man­tra neo­li­be­ri­sta. Limi­tia­moci agli aspetti più pro­pria­mente politici.
Si diceva che la dege­ne­ra­zione del Pd avrebbe aperto pra­te­rie a sini­stra. Sba­gliato. Ha lasciato un deserto dove spon­ta­nea­mente cre­sce solo il ran­core. Que­sto si può anche tra­mu­tare in popu­li­smo più o meno tele­gui­dato. Ma que­sto è in altre mani, in quelle di Renzi, nella ver­sione più clas­sica del popu­li­smo dall’alto, in quella di Grillo in una ver­sione più ibrida, attra­ver­sata anche da spunti con­trad­di­tori che andreb­bero disar­ti­co­lati, se esi­stesse una forza in grado di farlo. La strada del popu­li­smo di sini­stra, oltre che incon­grua per una sini­stra di pro­getto, è comun­que già abbon­dan­te­mente occupata.

Che fare allora? Modelli cui ispi­rarsi non ce ne sono. Equi­var­rebbe a cer­care la chiave sotto il lam­pione solo per­ché lì c’è la luce. Lo vediamo anche per le migliori espe­rienze in atto in Europa, nostro ter­reno pri­vi­le­giato di scon­tro. Tsi­pras stesso ha pro­nun­ciato parole fin troppo dure e auto­cri­ti­che rispetto alo stato della sua orga­niz­za­zione, soprat­tutto in rela­zione alle nuove respon­sa­bi­lità di governo. Pode­mos sta ragio­nando sulla straor­di­na­ria occa­sione che le pros­sime ele­zioni potreb­bero offrire. Ma qual­che nuvola si sta adden­sando, come l’eventuale rot­tura tra la for­ma­zione di Igle­sias e Izquierda Unida, che cur­ve­rebbe a destra l’asse di una nuova pos­si­bile coa­li­zione di governo.
Dob­biamo per­ciò fare da soli. La cosa più nociva è dare spa­zio alla con­trap­po­si­zione dall’alto/dal basso; dai (micro)partiti/dai movi­menti. La realtà è più acida.
Tra que­sti ultimi né gli uni né gli altri attra­ver­sano periodi di grande ful­gore. Con­trap­porli è un sui­ci­dio. D’altro canto chi decide cos’é l’alto e cos’è il basso? Ogni ambito ha il suo. Nella sfera della poli­tica, quanto entro i movi­menti. Chi li pra­tica sa bene come il lea­de­ri­smo alberga anche in que­sti ultimi.
Ad esem­pio se alcuni depu­tati si uni­scono per for­mare un nuovo gruppo che si richiama all’Altra Europa con Tsi­pras, pos­sono appa­rire l’alto, che so io, rispetto al movi­mento dell’occupazione delle case, ma sono il basso nel loro ambito, rispetto ai ver­tici e ceti poli­tici domi­nanti nella poli­tica poli­ti­cienne. Infine chi ha qual­che anno di vita poli­tica alle spalle sa che fre­quen­tando par­titi o movi­menti fini­sce spesso per incon­trarvi le stesse per­sone, anche se per for­tuna non tutte e solo le stesse.
La divi­sione è quindi spesso arti­fi­ciale o fun­zio­nale, antro­po­lo­gi­ca­mente inesistente.
È giu­sto allora chie­dere che ognuno fac­cia quello che deve e può nella sua sfera d’azione e di influenza. Al mas­simo delle pro­prie capa­cità, senza con­trap­porsi ad altri livelli. Que­sto è il pro­cesso costituente.
Se rie­sce ad affon­dare le pro­prie radici nel tes­suto sociale si può par­lare anche di qual­che cosa di più: di un potere costi­tuente che si con­trap­pone a quello costi­tuito delle eli­tes eco­no­mico finan­zia­rie, che alcuni chia­me­ranno capi­tale glo­bale, altri oli­gar­chie. Ma, ai giorni nostri, non sareb­bero dif­fe­renze seman­ti­che inconciliabili.
Per avviare que­sto pro­cesso c’è biso­gno che qual­cuno lo inizi. Spon­ta­nea­mente non nasce. O ne nascono troppi, in lotta tra loro con fal­li­mento incorporato.
Riu­ni­fi­care ciò che c’è alla sini­stra del Pd e che si pone in alter­na­tiva ad esso, non è la solu­zione del pro­blema, ma può esserne una pre­con­di­zione. Un segnale di con­tro­ten­denza rispetto alla fram­men­ta­zione. Un’operazione pre­ven­tiva di igiene politica.
Il gram­sciano spi­rito di scis­sione va eser­ci­tato su ben altre que­stioni, quali quelle che sepa­rano il ren­zi­smo e la morente social­de­mo­cra­zia euro­pea da una sini­stra. Non ha senso chia­marlo in causa per indo­rare la pil­lola della pura soprav­vi­venza di misere ren­dite di posizione.
Certo, ripre­sen­tare gli stessi volti più volte puniti dalle «dure lezioni della sto­ria» non reg­ge­rebbe nep­pure per un’operazione mini­male. La costru­zione di un nuovo gruppo diri­gente è con­su­stan­ziale all’avvio del pro­cesso costi­tuente. Per sapere se ci sono le figure adatte biso­gna met­terle alla prova. Non cono­sco altro metodo.

Fonte: il manifesto

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