La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 6 agosto 2015

Dietro i tagli di Renzi, la privatizzazione del servizio sanitario nazionale

di Roberto Polillo
Dopo l’avvenuta approvazione con voto di fiducia da parte  del Senato, il DL Enti Locali con all’interno il pacchetto di emendamenti sanità , riforma AIFA e finanziamenti per il Giubileo è ora atteso martedì dall’aula di Montecitorio per il voto definitivo. Il provvedimento che  recepisce l’intesa Stato - Regioni del 2 luglio, sottoscritta da tutte le regioni con esclusione di Veneto e Lombardia,  introduce  una serie di pesanti misure per la sanità e taglia, da qui agli anni a venire, il già misero Fondo sanitario di 2,3 miliardi l’anno. Nel testo è inoltre contenuto  il riordino dell’Aifa, l’agenzia del farmaco che sarà dotata di  nuovi mezzi  e personale  e il potenziamento dei pronto soccorso romani per il Giubileo prossimo venturo.
Il voto del provvedimento che le opposizioni hanno duramente contestato ha visto anche una frattura all’interno dello stesso PD.
Particolarmente significativo lo strappo  della Senatrice Dirindin, capogruppo del PD in Commissione sanità che ha votato contro il provvedimento e chiesto di essere sollevata dall’incarico.
Questo il suo  giudizio sul DL:
“Non illudiamoci, nessuna ottimizzazione delle risorse. Nel decreto soprattutto tagli“. “Innanzitutto quell'intesa è stata sottoscritta il 2 luglio, purtroppo molto tardi rispetto a quanto era previsto. Essa si sarebbe dovuta raggiungere molto prima, dal momento che è in attuazione di quanto previsto dalla legge stabilità per il 2015. Quell'intesa, tanto per citare una cifra, porta la spesa programmata per il 2015 a meno di 110 miliardi di euro - grosso modo a 109,7 miliardi di euro - quando, in occasione dell'approvazione della nota di aggiornamento del DEF del 2013, cioè un anno e mezzo fa, avevamo previsto una spesa programmata, per il 2015, di 115,4 miliardi di euro”.
“In un anno e mezzo abbiamo dunque programmato di tagliare al settore sanitario oltre cinque miliardi di euro di finanziamento. Qualcuno potrebbe dire che ci sono ancora margini di inefficienza nel settore sanitario, che devono essere perseguiti. Siamo tutti d'accordo che sia così e che debbano essere perseguiti fino a quando siamo in grado di farlo. Il problema è un altro  dopo tutti i tagli che sono stati fatti e le restrizioni che sono state imposte al servizio sanitario, in questi anni, da molto tempo ……………la spesa pubblica per la sanità in Italia è troppo bassa e mette a rischio la tutela dei cittadini. Spendiamo due punti di PIL in meno di Francia e Germania: su questo siamo sicuramente più virtuosi della Germania”
Di fatto con un tempismo degno della scuderia di Maranello  Renzi ha iniziato a concretizzare il suo piano di risparmi con cui tentare il colpo grosso della riduzione delle tasse. Pochi giorni fa la fatwa  del premier stesso contro  l’eccesso di tassazione; subito dopo  l’intervista alla Repubblica di Yoram Gutgeld,  che del premier è consigliere economico ,   in cui si  fa la cifra di 10 miliardi di possibili risparmi dalla spending review e pochi giorni fa  la prima bollinatura  del Senato in attesa di martedì, quando la partita sarà chiusa.
E’ difficile immaginare che  questa consecutio temporum, giocata tra media e parlamento, sia figlia del caso e non sia invece il frutto di una sapiente regia. E del resto è ormai chiaro che da un punto di vista fenomenologico  il renzismo, nonostante le apparenze,  è tutto meno che spontaneismo o improvvisazione.  Altrettanto  evidente è la  capacità del premier di mettere nei punti chiavi delle istituzioni uomini a lui fedelissimi  come Chiamparino e Fassino che, al dilà di qualche mugugno di bandiera, hanno accolto  in sede di Conferenza Stato regioni tutti i desiderata del governo  che martedì la camera trasformerà in legge.
Il paradosso della vicenda è che i tagli del fondo sanitario, ammantati sotto forma di risparmi da realizzare eliminando prestazioni e ricoveri impropri, posti dirigenziali dei medici e ricontrattando prezzo dei farmaci delle forniture e dispostivi medici,   avvengono nonostante il centro studi del Senato abbia sollevato più di un dubbio sulla reale possibilità di successo e realizzabilità della manovra. Ancora più sconcertante il comportamento della  maggioranza dei Senatori che hanno approvato la manovra, nonostante l’aula avesse votato poche settimane prima  a favore della relazione  della commissione Sanità  sulla sostenibilità del SSN,  in cui erano riportate nero su bianco  le conseguenze sui livelli di assistenza del sottofinanziamento crescente della sanità del nostro paese. Lo stesso Senato solo poco tempo prima  in sede di approvazione del DPEF,  aveva votato a favore di un ordine del giorno a firma delle Senatrici  De Biasi e Dirindin, fatto poi proprio dal governo,  con cui era stato sancito l’impegno a carico del governo medesimo ad assicurare il mantenimento dei livelli e della qualità del SSN, anche in termini di risorse messe a disposizioni
Provvedimenti platealmente smentiti dal voto di fiducia di pochi giorni orsono. L’approvazione del provvedimento, contro cui si sono appellati la totalità dei sindacati e delle associazioni di tutela dei cittadini è ancora più sconcertante alla luce della recentissima pubblicazione (2015) da parte dell’OCSE  dei dati sulla spesa sanitaria nei paesi europei
Dalla tabella pubblicata dallo stesso OCSE e di seguito riportata (figura1)

Figura 1: Spesa Pubblica e privata paesi OCSE
si evince, infatti,  che il livello di finanziamento della sanità del bel paese è punto 8,8 del PIL,   inferiore perfino a quello della  Grecia che si attesta a 9,2,  per non parlare di quelli di Francia e Germania rispettivamente a 10,9 e 11.
In Italia la riduzione del finanziamento nell’ultimo triennio è stata di  oltre 8 punti di PIL in termini reali a fronte di un aumento medio del 3% nel complesso dei paesi OCSE ( figura 2).
 
Fig 2: Definanziamento del SSN in termini reali rispetto OECD
Lo stesso dicasi per la spesa pro-capite che in  termini di equivalenza è 3.077 USD a fronte di una media di 3.453 USD.
La strategia del premier è dunque abbastanza chiara: la riduzione della spesa pubblica , pre-condizione per l’abbattimento  del carico fiscale, non risparmierà nessun settore e i risparmi ottenuti da eventuali misure di razionalizzazione non saranno reinvestiti in nuovi servizi, nonostante le buone intenzioni del Ministro della Salute, che si è prodigata nel sostenere il contrario.
La domanda è allora la seguente: cosa resterà del nostro già disastrato SSN? e come saranno reperite le risorse necessarie al suo finanziamento? La risposta non credo tarderà ad arrivare e inevitabilmente riguarderà  l’introduzione di quel secondo pilastro assicurativo che era stato un cavallo di battaglia del Ministro Sirchia e del primo Berlusconi e che forse Renzi, come insegna la vicenda dell’art. 18, questa volta riuscirà a realizzare. Qualcuno, come anche il leader di Federmanager su questo stesso giornale,  ha giustamente sostenuto che già i cittadini italiani spendono una cifra enorme  per la sanità privata essendo questa di oltre 30 miliardi di euro e che quindi i fondi integrativi , appositamente estesi e defiscalizzati,  potrebbero svolgere il ruolo di ottimizzare una spesa che già c’è.
Ragionamento questo solo apparentemente giusto perché l’introduzione di fondi integrativi con funzioni sostitutive nei confronti delle prestazioni ricomprese nei LEA aprirebbe inevitabilmente una corsa allo scaricabarile da parte di uno Stato sempre più schiacciato dalla montagna del debito pubblico e dalla scarsissima crescita. Le conseguenze, già visibili in tema di future pensioni,  sarebbero allora il ritiro da parte dello Stato che in breve tempo finirebbe per garantire ai suoi cittadini solo la tutela dai grandi rischi (ovvero sia l’assistenza ospedaliera e le vaccinazioni obbligatorie) lasciando il resto alla libera negoziazione delle parti. Una brutta copia di quello che per un secolo è avvenuto in America e che il presidente Obama ha cercato contro enormi resistenze di modificare per avvicinarsi a quel modello di welfare europeo che oggi noi stessi mettiamo in crisi.

Fonte: il diario del lavoro

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