La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 7 agosto 2015

L'orto di casa sua. Dalla Leopolda a Viale Mazzini

di Andrea Colombo
Vin­cono Mat­teo Renzi e Sil­vio Ber­lu­sconi. Perde il ser­vi­zio pub­blico, perde la Rai, per­dono gli spet­ta­tori ma anche i pro­fes­sio­ni­sti che sognano un tele­vi­sione moderna, ben fatta, com­pe­ti­tiva nel mondo.
Esce a testa alta l’M5S, che con la nomina di Frec­cero ha dato la miglior prova da quando fre­quenta il Par­la­mento, e non se l’è cavata male, com­pa­ti­bil­mente con le esi­gue forze, Sel. Esce umi­liato e disil­luso chiun­que avesse con­cesso un minimo di cre­dito allo «sta­ti­sta» fio­ren­tino, tanto da spe­rare che allen­tasse almeno la presa fer­rea dei par­titi su quella che da sem­pre con­si­de­rano una vigna di fami­glia. Cosa loro.
Da ieri pome­rig­gio la Rai vanta un nuovo diret­tore gene­rale. Lo ha nomi­nato senza intoppi di sorta il Cda, tro­vando di sfug­gita anche il tempo per sosti­tuire la pre­si­dente Mag­gioni alla guida di Rai­news 24 con la sua vice, Mirella Mar­zoli. Il diret­tore, che si tra­sfor­merà pre­sto in ammi­ni­stra­tore dele­gato, si chiama Anto­nio Capo Dall’Orto, ha molta espe­rienza di tele­vi­sione, nes­suna di Rai e ser­vi­zio pub­blico: c’è una qual­che differenza.
Dicono che se la cavi benis­simo nel maneg­giare i bilanci, e c’è da spe­rare che sia vero dato che dopo il varo della riforma avrà mano più libera di chiun­que prima di lui nel mano­vrare fondi e capi­tali. Quando quella che pom­po­sa­mente Renzi defi­ni­sce una riforma, men­tre è solo una modi­fica auto­ri­ta­ria della gover­nance, sarà appro­vata, l’ex diret­tore di Mtv avrà poteri para­go­na­bili a quelli di cui dispo­neva l’onnipotente Ettore Ber­na­bei nella mamma Rai scudocrociata.
Con qual­che dif­fe­renza: Ber­na­bei doveva rispon­dere a un par­tito plu­rale, ricco di anime diverse, e non solo a quell’Amintore Fan­fani che lo aveva inco­ro­nato. Anche per que­sto, pur essendo con­cla­mato e orgo­glioso uomo di par­tito, riu­scì a fare una tele­vi­sione che oggi ce la sognamo. Dall’Orto dovrà ren­dere conto sol­tanto a un sin­golo lea­der, che ha già tra­sfor­mato il par­tito di cui è segre­ta­rio in massa di mano­vra a uso per­so­nale, e per for­tuna c’è una mino­ranza che conta un po’ meno di zero, come ha dimo­strato di nuovo in que­sta occa­sione, ma dà almeno l’impressione che il capo guidi un par­tito e non una pri­vata com­pa­gnia di ventura.
A con­tro­bi­lan­ciare i poteri del pro­con­sole sarà una quo­tata gior­na­li­sta che deve la nomina alla con­ver­genza di inte­ressi tra il signore di Firenze e quello d’Arcore, Monica Maggioni.
E’ pos­si­bile che dia prova migliore del pre­vi­sto, ma è legit­timo temere che dimo­strerà la stessa auto­no­mia e indi­pen­denza di giu­di­zio di cui menava vanto quando rac­con­tava la guerra al seguito della truppa e su indi­ca­zione degli stati mag­giori. Quella dell’ «embed­ded» è una voca­zione. Nep­pure i pre­ce­denti ai piani alti di viale Maz­zini auto­riz­zano troppe spe­ranze: come diret­trice di Rainews24 è stata un disa­stro, in ter­mini di qua­lità e anche di ascolto bruto.
Lo dice sul blog di Beppe Grillo Mas­simo Lafran­coni, e poco male, si sa che quelli gufano. Lo dicono anche i dati a pre­ci­pi­zio dello share, ed è un po’ peg­gio.
A fianco della pre­si­dente tar­gata Naza­reno ci sarà un drap­pello di con­si­glieri d’amministrazione cali­brati con un bilan­cino tanto mil­li­me­trico da far risal­tare l’antico Cen­celli come modello di auto­no­mia dalla poli­tica. Tra i magni­fici nove qual­che pro­fes­sio­ni­sta capace c’è, ma è una coin­ci­denza e comun­que non è a quelle doti che deve la nomina.
Però c’è lo spin doc­tor di Renzi, Guelfo Guelfi, per non par­lare di Rita Borioni, sino a poche ore fa assi­stente del pre­si­dente della comis­sione Cul­tura del Senato, una vita sinora spesa e gua­da­gnata lavo­rando con i gruppi par­la­men­tari del Pd, più qual­che espe­rienza pere­grina nella tele­vi­sion­cina del Pd, Red-Tv. Non sa cosa sia Sky, per­sino disqui­sire di digi­tale ter­re­stre la mette in dif­fi­coltà, però è «una pro­fes­sio­ni­sta, mica un’astrofisica o una girotondina».
Parola di Mat­teo Renzi e viene quasi voglia di applau­dire per­ché una fac­cia di bronzo tanto spu­do­rata nem­meno Sil­vio il Gran Maestro.
Il mede­simo Mae­stro viene giu­sta­mente dato ovun­que per risorto. Dalla par­tita Rai è uscito con le tasche piene, e non solo meta­fo­ri­ca­mente. La «riforma» di Renzi con­ferma il duo­po­lio, e poco male se quell’assetto è ormai una gab­bia che costringe la tele­vi­sione ita­liana a restare sugli spalti, senza nem­meno poter par­te­ci­pare alla com­pe­ti­zione internazionale.
L’ex Cava­liere ha mie­tuto suc­cessi anche sul fronte, certo di minore impor­tanza ma non per que­sto tra­scu­ra­bile, della poli­tica pro­pria­mente detta, e non solo per­ché inca­mera a sor­presa due con­si­glieri d’amministrazione, in virtù dell’imperizia di una mino­ranza Pd che avrebbe potuto facil­mente eleg­gere un con­si­gliere lavo­rando di con­serva con le oppo­si­zioni. Il piatto forte è l’aver usato la ghiotta occa­sione per tor­nare in campo come inter­lo­cu­tore pri­vi­le­giato del governo, anzi del gover­nante unico, che gli altri non contano.
Non si tratta della resur­re­zione del Naza­reno, come da vul­gata gior­na­li­stica. Fi non rien­trerà in mag­gio­ranza die­tro la maschera di un’opposizione incon­si­stente, come nei mesi pre­ce­denti al fat­tac­cio Mat­ta­rella. Non voterà per la riforma costi­tu­zio­nale, a meno che Renzi non con­ceda in cam­bio una modi­fica dell’Italicum con lo spo­sta­mento del pre­mio di mag­gio­ranza dalla lista alla coa­li­zione, ed è un’ipotesi fra le più improbabili.
Però da ieri gli ex soci non si guar­dano più in cagne­sco, su qual­cosa il dia­logo potrà ripren­dere, l’opposizione azzurra sarà, se non sem­pre mor­bida, almeno modu­lata. Il che potrebbe tor­nare pre­zioso quando don Mat­teo gio­cherà in autunno la vera carta su cui punta per inver­tire la ten­denza in pic­chiata negli indici di popo­la­rità: un bel taglio delle tasse, per finta. Anche qui, Ber­lu­sconi docet.

Fonte: il manifesto

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