La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 agosto 2015

A chi cedere sovranità?

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di Suan Morelli
In queste ultime settimane il dibattito sull’Europa sta acquistando notevole rilievo nella discussione politica (e non solo).
Un dibattito contornato da un caos quasi indecifrabile, un cortocircuito culturale a tutto tondo, in cui un momento siamo tutti con Tsipras e l’attimo dopo lo vorremmo vedere alla gogna per aver tradito le speranze non solo dei greci ma anche di tutti coloro che si oppongono alle politiche di austerity.
La firma sull’accordo con la Troika rischia di essere un colpo da ko assestato a tutti coloro che legittimamente chiedono dignità all’oligarchia europea che si è impossessata della democrazia di un intero continente.

Questo ha dato il via ad un nuovo confronto sull’Europa – che ancora una volta rischia di vedere estromessa la sinistra considerata più radicale – che si basa su due visioni che appaiono diametralmente opposte.

In realtà sono due visioni pressoché identiche, che si guardano bene dall’affrontare il vero problema (ossia quello portato alla ribalta dai cinque mesi di governo Tsipras), che hanno come unico obiettivo quello di portare i paesi membri ad una cessione di sovranità.
Tant’è che nella narrazione che ci offrono gli “esperti” non è in dubbio la cessione di sovranità (quella è ormai data per scontata) quanto a chi affidare il compito di governare questa turbolenta epoca.
Da un lato chi vorrebbe che la ripresa fosse trainata dalla Germania, unico paese che i media definiscono in crescita, dall’altro chi vorrebbe gli Stati Uniti d’Europa.
Tuttavia manca una terza strada, che si smarchi da queste due posizioni entrando nel merito della questione.
A guardare gli ultimi quindici anni, con un pizzico di pragmatismo, appare evidente come il fallimento del sud Europa sia attribuibile a politiche economiche promosse da chi, anziché guardare all’Europa come ad un insieme di valori, ha pensato bene di appropiarsi delle ricchezze e della democrazia dei paesi in difficoltà.
Una crisi nata da Wall Street che ha generato notevoli vantaggi per la classe politica tedesca e francese a danno di paesi come Italia, Spagna e Grecia, grazie a politiche di austerità che hanno inflitto il colpo di grazia alle nostre economie.
La Germania, grazie allo sciacallaggio economico è rimasta l’unico paese che, seppur molto meno di quanto ci viene raccontato, ha continuato a crescere nonostante la crisi avendo avuto la possibilità di scaricare su altri le proprie difficoltà.
Gli Stati Uniti, tuttavia, dalla crisi hanno potuto sfruttare l’occasione per far spalancare le porte europee alle proprie multinazionali, grazie al servilismo tedesco (in primis) e francese.
Impossibile non leggere, tra le righe, le responsabilità della classe politica (totalmente succube del potere finanziario) in una crisi economica, sociale e culturale senza precedenti.
Da tutto ciò che sta accadendo da qualche anno a questa parte, gli unici ad aver tratto benefici sono stati i banchieri (prevalentemente americani, francesi e tedeschi), le multinazionali (anche in questo caso prevalentemente americane) e le oligarchie europee.
Oggi, anziché mettere in dubbio questo, lavorare per un taglio al debito pubblico (che coinvolga i paesi del sud del mondo) e per il recupero di un sistema economico fatto a brandelli, la migliore idea che sta maturando la classe politica riguarda l’unione del debito pubblico, che anziché alleggerire i paesi più in difficoltà rischia di diventare uno strumento per indebolire paesi considerati più in salute.
Senza un blocco politico (europeo, e non nazionale) che si ponga in contrasto con una visione del mondo totalmente a vantaggio delle oligarchie e delle elitè con un conseguente indebolimento delle classi sociali più deboli, qualunque sia la strategia adottata sarà un colossale fallimento.
In una situazione di questo tipo, la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, rischia di essere solo uno strumento utile al colonialismo economico made in Usa, il quale operando sulla moneta unica ha la possibilità di imporre le politiche più utili al proprio sistema economico.
Del resto pensare che l’economia mondiale non sia condizionata da quella americana è un’ingenuità che non possiamo permetterci come non possiamo permetterci di fingere di non vedere gli interessi che ruotano intorno al focolaio di libertà acceso in Grecia.
Ciò che serve, e non è certo un Europa che risponda alla Germania, non è tanto la struttura che l’Europa assumerà, quanto gli obiettivi che si proporrà la classe dirigente chiamata a governare questo momento.
Ciò che accade nel nostro paese è diretta conseguenza di ciò che il Parlamento europeo decide per noi; decide sulla base di ciò che Fmi e Bce chiedono.
Promuovono i TTip?
Il parlamento europeo ratifica e i governi nazionali applicano.
Chiedono un taglio del welfare?
Il parlamento europeo ratifica e i governi nazionali calano la mannaia.
Chiedono una deregolamentazione per le multinazionali?
Il parlamento europeo ratifica e i governi nazionali obbediscono.
E così potremmo andare avanti per ore, raccontando di come le politiche nazionali disincentivino la coltivazione delle terre per lasciarle in mano alla criminalità organizzata e alle multinazionali interessate a coltivare Ogm, o alle trivelle nell’Adriatico, o alla privatizzazione del sistema idrico e energetico nazionale, e così via.
La questione, con tutta probabilità, è che la finanza si è comprata la politica e con essa stringe il cappio intorno al collo di tutti noi, troppo impegnati a difendere quel poco che abbiamo (come del resto ci esortano a fare) anziché preoccuparci di allargare gli spazi di democrazia e di benessere.
Comunque vada ci troveremo a cedere sovranità all’Europa, germanocentrica o meno cambia poco; ciò che davvero può fare la differenza è palesare la pressione che subiamo dal sistema finanziario, decostruendolo e ricostruendolo affinchè sia al servizio dell’uomo e non viceversa.


Fonte: NonMollare blog

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