La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 18 ottobre 2016

Il coraggio che serve. Della sinistra, ma anche delle donne


di Bia Sarasini, per lo speciale di facciamosinistra! 
Anche le donne votano. Questo il senso dei 60 milioni che la legge di stabilità 2017 destina alle Pari Opportunità, una cifra che va divisa tra interventi a favore dell’impresa femminile, e il sostegno alle azioni contro la violenza sulle donne. Che si tratti di un punto importante, lo mostra l’attivismo della ministra Maria Elena Boschi, che in questi giorni onora la sua delega alle P.O. e concede con grande enfasi interviste in merito a queste misure. Di fatto, si tratta di sanare una situazione scandalosa, l’azzeramento dei fondi destinati a centri antiviolenza, un punto sensibile di conflitto tra governo e settori di movimento e opinione pubblica femminile.
La violenza contro le donne è uno dei temi caldi della cronaca quotidiana, Renzi e il suo governo hanno deciso che per cercare un consenso femminile non sono sufficienti i fondi destinati alle famiglie, alle mamme.
È facile notare il carattere elettoralistico di questa misura, al pari dell’intera legge di stabilità 2017, tutto da vedere, per esempio, come e quali centri saranno finanziati, con quali criteri. E questo sarà oggetto del confronto tra centri, associazioni, movimento anche oltre la manifestazione del 26 novembre contro la violenza sulle donne, che di nuovo dopo anni è un appuntamento nazionale. Qui interessa soprattutto sottolineare che il modo obliquo in cui le donne entrano nell’agenda governativa è esemplare dello stato attuale delle relazioni tra donne e politica. Sia nel campo mainstreaming dei governi e delle istituzioni, sia nel campo alternativo, nella sinistra. 
Basta ricordare Angela Merkel, Hillary Clinton, nella politica, o Christine Lagarde, presidente del Fmi come Janet Yellen, presidente della Federal Reserve per quanto riguarda settori cruciali della finanza, per comprendere il cambiamento di scena. Non ci sono limiti alle possibilità femminili. A quale prezzo? Queste signore cosa portano di diverso nella scena pubblica?
Una domanda che non vale solo per la scena del potere, per le donne che si fanno interpreti e figure della femminilizzazione della politica, uno degli aspetti più insidiosi del neo-liberismo. La domanda – la ripeto – cosa portano di diverso le donne? – investe il campo dei conflitti, dello scontro sociale. La sinistra fa fatica a comprendere che il conflitto che investe la vita, le relazioni tra i sessi, l’organizzazione sociale della riproduzione, oltre che della produzione, è costitutivo del conflitto sociale. E della possibilità di agirlo con efficacia, di farne il campo della propria forza. O meglio, lo si è accolto in teoria. Ma il tutto viene categorizzato sotto l’etichetta ormai rituale di bio-politica, all’interno della quale spariscono di nuovo i corpi e i soggetti. 
Tutto diventa chiaro se si guardano le trasformazioni del lavoro. Ci sono voluti anni se non decenni per comprendere che al fordismo, alla catena di montaggio, alla fabbrica si sostituiva una nuova forma di parcellizzazione del lavoro. Che incorpora nel lavoro le conoscenze, gli stili di vita, l’affettività dei nuovi soggetti sociali. Il caso Foodora, l’azienda che distribuisce cibo pronto attraverso fattorini in bicicletta o motorino, convocati – e licenziati – attraverso WhatsApp è esemplare: schiavizzazione spacciata per hobby. Sono cambiamenti radicali, profondi che investono in modo diretto il formarsi della soggettività, della possibilità di organizzarsi, di superare la frammentazione. Questo è il modo in cui il neocapitalismo a partire dagli anni Ottanta ha rovesciato a proprio vantaggio i rapporti di forza. Le strutture tradizionali sono state buttate all’aria, compresa la famiglia, dove necessario. Il comando, se così lo vogliamo nominare, entra nella nuda vita. 
Quello che risulta incomprensibile è come mai la sinistra resista a comprendere che questo è il terreno dello scontro. Che la nuda vita è fatta di donne e uomini. Compreso il conflitto tra loro, comprese le asimmetriche relazioni tra i sessi, compresa la ridefinizione dei generi, dei ruoli sessuali. Che la nuova divisione del lavoro ridisegna anche la divisione del lavoro tra i sessi, a ben vedere perfino quello riproduttivo.
Una resistenza che è molto alta nella sinistra italiana. Anche nelle proprie pratiche, nel modo di organizzarsi. Che ripropongono forme antiche di verticalizzazione, di cordate autoreferenziali da cui le donne scivolano via. Perché non ne fanno parte dal principio, da una parte, per noia e disinteresse, dall’altra, di fronte a una dinamica politica che si ripete stancamente. Dopo il risultato positivo, anche se limitato, dell’Altra Europa con Tsipras alle elezioni europee del 2014, il tavolo che avrebbe dovuto portare a un nuovo soggetto politico non ha raggiunto il suo obiettivo. Ora SI e Rfc si preparano al loro congresso. Mentre è altissima, come sempre, la partecipazione e la responsabilità femminile nei comitati per il NO al referendum costituzionale, anche se poco o nulla rappresentata nelle voci ufficiali che parlano per il No. Anche questo come sempre.
Perché i femminismi dovrebbero sentire che le questioni generali, del potere e dell’organizzazione sociale, sono la loro questione? Dove trovano interlocutori e interlocutrici? Dove si possono formare visioni comuni?
Il rischio è evidente. Che la sinistra non trovi una forma adeguata. Che i femminismi, come altri movimenti, agiscano in proprio. E interloquiscano con i governi di turno, abbastanza furbi da comprendere che le donne non sono più solo mamme.
Soluzioni? La prima è dare parola, alle tante donne che hanno da dire. Che portano con sé istanze, esperienze ricche e plurime. Ma che non amano annoiarsi assistendo all’ennesima ripetizione di conflitti per il potere. Che non c’è. Non per cercare la salvezza, di per sé le donne non sono salvatrici come nessun altro, o per cosmesi politica, non si tratta di trovare portavoce oramigradevoli. Ma di mettere in gioco dinamiche reali e aperte a ciò che avviene realmente nella vita, nella società. Di fare spazio ai conflitti reali e renderli vitali, creativi. 
Ci vuole un certo coraggio. Non solo della sinistra. Anche delle donne.

Bia Sarasini, giornalista e saggista, e soprattutto femminista. Ha scritto e condotto programmi a Radiotre. È stata direttrice di Noidonne. Con altri ha fondato il sito DeA- www.donnealtri.it. È nella redazione di Leggendaria. È stata presidente della Società Italiana delle Letterate, di cui ora dirige il settimanale online LetterateMagazine. Collabora con diverse testate tra cui il Manifesto e il SecoloXIX , il quotidiano di Genova, la città dove è nata.

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