La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 ottobre 2016

Il postcapitalismo secondo Srnicek e Williams

di Christian Dalenz 
Un caso editoriale in Inghilterra, Inventing the Future: Postcapitalism and a World Without Work di Nick Srnicek e Alex Williams, edito da Verso Books nel 2015 ed ancora non tradotto in italiano, prova ad immaginare una risposta radicale alla crisi del neoliberismo. La tesi centrale del loro lavoro è che losviluppo tecnologico è giunto o sta comunque per giungere ad un livello tale che è possibile aprire lo spazio ad un sistema non più basato sul profitto e sullo sfruttamento ma sulla libera creatività, attraverso l’automatizzazione del lavoro e lo slegamento del reddito dal lavoro salariato. 
Un progetto di respiro mondiale, volto perciò anche all’abbattimento dei limiti all’immigrazione. Insomma, il sogno socialista di Karl Marx starebbe diventando una prospettiva concretamente realizzabile.
Inventing the Future: un testo per affrontare la crisi del pensiero di sinistra
Il libro cerca in primo luogo di affrontare la crisi odierna del pensiero di sinistra: mentre i partiti socialdemocratici tradizionali non riescono più a fornire risposte alternative a quelle neoliberali, che teoricamente dovrebbero essere parte del pensiero di destra, le frange più estreme della sinistra si rifugiano in quello che gli autori definiscono folk politics.
Il termine sta a significare il proliferare di tanti piccoli gruppi che difendono le tradizionali istanze della sinistra (la protesta contro lo sfruttamento del lavoro e le crescenti disuguaglianze, le istanze ecologiste e femministe) su basi solamentelocalistiche e sempre incentrate sul raggiungimento di obiettivi a breve termine. Un approccio che, se può portare ad alcuni miglioramenti o almeno a diffondere delle idee, secondo gli autori non può essere utile per cambiare realmente lo stato di cose al mondo.
In questo senso, ampie critiche vengono condotte al movimento Occupy Wall Street che, sebbene abbia raccolto molto consenso, non è stato capace di trasformare la protesta del «99% contro l’1%» in un progetto politico a lungo raggio.
In secondo luogo, un’ampia analisi è dedicata a descrivere il progetto neoliberale nato già dopo la seconda guerra mondiale e che con successo è riuscito a cambiare l’egemonia socialdemocratica-keynesiana imperante nel dopoguerra; affermando il concetto di libertà imprenditoriale come emancipatorio e ribaltando il paradigma politico statalista verso quello liberista.
Viene poi raccontata la storia della Mont Pelerin Society, fondata da Friedrich Hayek e partecipata da altri pensatori neoliberali quali Milton Friedman e Karl Popper. 
Di essa si scrive di come sia riuscita ad imporsi grazie al lavoro dei vari gruppi di pressione e dei think-tank. La tesi qui è che le strategie della Mont Pelerinandrebbero imitate per cambiare il corso delle cose nuovamente verso sinistra, attraverso un progetto di grande scala e a lungo termine, che riveda il terminepopulismo in senso positivo per la creazione di una soggettività politica popolare che faccia nuove e precise domande per la risoluzione delle problematiche sociali (qui il riferimento sono le idee del politologo argentino Ernesto Laclau).
Un nuovo populismo che orienti nuovamente l’ideale della libertà in maniera completamente diversa da quella neoliberale, accusata di essere un velo che copre disoccupazione, povertà e diseguaglianza.
Inventing the Future: reddito di base e automatizzazione del lavoro
Dopo questa sezione viene presentato il progetto politico portato avanti dal libro: chiedere l’automatizzazione della maggior parte del lavoro esistente e un reddito di base per permettere uno sviluppo personale slegato dal lavoro comandato. 
Un tale progetto dovrà riuscire a coinvolgere non solo chi un lavoro già ce l’ha, in maniera precaria o meno, ma anche l’ampia fascia di popolazione disoccupata, nel tentativo di costruire un progetto populista come si diceva poc’anzi.
In questo modo, andrebbero superate alcune modalità più consolidate di fare politica a sinistra, che vedevano partiti e sindacati come il fulcro dell’azione. I sindacati dovrebbero diventare più aperti alle istanze post-lavoriste, facendo in questo modo anche gli interessi di chi non vi è iscritto.
Parte delle richieste dovrebbero essere la richiesta di salari più alti e riduzione del tempo di lavoro nei vari comparti lavorativi, riuscendo così a sconfiggere il precariato non attraverso più ore di lavoro ma attraverso aumenti delle paghe. 
Un tale progetto dovrebbe aprire lo spazio non solo alla libera creatività, ma all’organizzazione di forme comunitarie di organizzazione delle risorse e del tempo.
Gli autori tengono anche a rimarcare che, sebbene li si possa criticare per essereutopici, a loro avviso è proprio il discorso utopico che va riattivato per immaginare una società e un mondo migliore.
Inventing the Future: altre proposte editoriali per approfondire
Non è questo il primo libro che affronta il tema della progressiva tecnologizzazione del lavoro e di come questa si relazioni con le prospettive occupazionali, né il primo che suggerisca il reddito di base. 
Il reddito di base o di cittadinanza, in alcune sue versioni, è stato già visto come la chiave per superare l’eventuale, o già in corso secondo alcuni studiosi, crisi.
Possiamo segnalare i recenti:
Postcapitalism: A Guide to Our Future del giornalista Paul Mason;
The Rise of the Robots: Technology and the Threat of Mass Unemploymentdi Martin Ford.
Inventing the Future: Postcapitalism and a World Without Work è però forse uno dei libri più influenti di questo filone, visto che in Inghilterra si sono già formati gruppi di azione nel senso da esso indicato, che hanno cercato di inserirsi all’interno delle recenti lotte contro l’austerità.
Questo si deve probabilmente al fatto che il tema del post-lavoro e del reddito garantito strizza più volte l’occhio all’operaismo, che vede in famosi intellettuali come Toni Negri i principali riferimenti. 
Molto simile inoltre è il punto di vista del post-operaista Andrea Fumagalli che analizzammo in un’intervista allo stesso l’anno scorso.
Qui in particolare Fumagalli ci ha aiutato a capire che per post-lavoro si intende in realtà il diritto alla scelta del lavoro. Sembrerebbe più o meno anche il punto di vista di Srnicek e Williams, che rimarcano anch’essi il diritto a scegliere cosa fare della propria vita in base al valore di ciò che si sceglie piuttosto che alla sua profittabilità; in questo consiste la loro lotta contro l’etica del lavoro.
I problemi di tutto il discorso però sono due: il primo è capire se davvero latecnologia porterà o no verso la disoccupazione di massa o verso nuove categorie di lavori salariati. 
Nel primo caso sarà probabilmente più facile coinvolgere le masse verso un tale progetto, ma nel secondo caso sarà più difficile, a meno che i nuovi lavori creati non siano per la maggior parte precari e sottopagati. In questa ultima evenienza, sarà assolutamente legittimo provare a scommettere anche su una società del post-lavoro come quella qui idealizzata.
Il secondo riguarda il senso economico della richiesta di reddito minimo: per poterlo erogare occorre comunque produrre ricchezza da cui trarre risorse. Non è un problema insormontabile, ma occorre quantomeno mantenere il profitto privato, eventualmente poi tassabile (si potrebbe anche ricorrere alla stampa di moneta per erogare il reddito minimo, ma senza corrispondente creazione di ricchezza si tratterebbe di carta straccia).
In questo senso parlare di post-capitalismo apparirebbe allora eccessivo.
L’alternativa, qui immaginata seguendo la proposta del libro, potrebbe essere lottare per un sistema diverso per davvero a quello capitalista, dove uno Stato ipertecnologico permetta sia la sopravvivenza che la libertà di autodeterminazione, andando persino oltre il concetto di reddito erogato in moneta. 
Questi punti però, sebbene se ne discuta, non sono affrontati con sufficiente definitezza da questo lavoro.

Fonte: forexinfo.it

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