La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 ottobre 2016

La scuola si mobiliti per dire NO!

di Marina Boscaino
Francesca Puglisi, uno degli esempi più limpidi del voltagabbanismo italico, esulta. Esulta perché non sarebbe stato raggiunto un numero di firme necessario a celebrare in primavera un referendum contro quattro parti della “Buona Scuola”, la legge 107 che ha definitivamente messo in ginocchio la scuola italiana. La notizia non dirà nulla a molti di voi, o quasi.
Pochi conosceranno Puglisi – nonostante la sua incontenibile smania di farsi conoscere, considerando i funambolici passaggi da bersaniana di ferro a renziana oltranzista – oscuro personaggio nello squallido panorama in cui viviamo, responsabile della crescente e pericolosa tendenza all’antipolitica, nonché alla pervicace difesa di una legge che ha suscitato il più partecipato sciopero della scuola di tutti i tempi. E pochissimi sapranno che la scorsa primavera si sono raccolte le firme per quattro quesiti referendari, che chiedevano l’abolizione di quattro provvedimenti previsti dalla 107: le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro; lo School Bonus; i superpoteri del dirigente scolastico; il comitato di valutazione.
Per chi come me ha partecipato con passione e convinzione alla stagione della raccolta delle firme, indubbiamente una grande delusione, nonostante la società civile abbia dimostrato – nella disponibilità a comprendere e a firmare ai banchetti – una significativa sensibilità. Nel meccanismo di raccolta e nella compagine di forze sindacali e di movimento che si sono adoperate, alcune cose non hanno però sempre funzionato, con l’aggravante indubitabile della quasi totale assenza delle forze presenti in Parlamento, che – pronte a dare adesioni entusiaste durante il processo di costruzione della campagna – si sono letteralmente o quasi liquefatte durante i duri mesi della raccolta; sfido chiunque, infatti, a trovare una sola dichiarazione - da parte dei parlamentari delle forze che si sono dette contrarie alla “Buona Scuola” - relativa al referendum e alla necessità di andare a firmare. E, a proposito di media, nonostante un continuo tentativo di richiamare l’attenzione sulla campagna primaverile di raccolta firme, nessuno ha mai fatto cenno al tema, salvo poi rimbalzare la notizia del no della Cassazione.
Ma torniamo alle affermazioni della senatrice Puglisi, tratte da Orizzonte Scuola del 12 ottobre. Dopo l’esultanza e la sua personalissima lettura del buon funzionamento nelle scuole di abomini conclamanti quali l’alternanza scuola-lavoro, il comitato di valutazione e il dirigente reclutatore-valutatore, conclude: “Evitando di perdere tempo in un perenne conflitto demagogico, adesso lavoriamo insieme per migliorare le croniche criticità che affliggono la scuola, sulla quale negli anni si sono affastellate norme contraddittorie che bloccano l’autonomia scolastica. L’attuazione delle deleghe contenute nella legge 107 e la riapertura del contratto, già annunciata dal governo, possono essere l’occasione del definitivo superamento delle incomprensioni e del rilancio della scuola pubblica”. Quanta saggezza; eppure, a pochissimi giorni da quelle dichiarazioni, veniamo a scoprire che non esistono risorse nella Legge di Stabilità per il rinnovo contrattuale. Apprendiamo che viene garantito il consueto obolo alle scuole paritarie. Tra un crollo e un altro di tetto di scuola – due scuole venete, una a Milano e una a Rho, solo negli ultimissimi giorni, a parte il caso dell’IPSIA Ferrari di Brindisi, inagibile, e i cui studenti sono costretti a fare lezione all’esterno – siamo nel pieno dell’offensiva delle reti di scuole, uno dei più recenti atti vandalici ai danni della scuola pubblica di qualità e della dignità del lavoro. L’attuazione delle norme previste nel Piano nazionale di Formazione dei Docenti – che vincola la formazione dei docenti, “obbligatoria, permanente e strutturale” non solo ad un numero di ore, ma anche ad ambiti che con le discipline scolastiche hanno ben poco a che fare – rappresenta un ulteriore abbattimento dei margini di praticabilità della libertà di insegnamento, principio costituzionale già calpestato con il comitato di valutazione, il bonus e la chiamata diretta.
Checché ne pensi Puglisi, il malcontento nelle scuole è estremo e palpabile. Non sono state “incomprensioni”, come la senatrice sostiene, quelle tra un governo che ha imposto violentemente e a colpi di fiducia una legge odiosa, osteggiata da gran parte della scuola, inascoltata nella sua democratica contestazione e nellealternative che pure costruttivamente venivano proposte. Furbescamente la pubblicazione delle pesantissime deleghe al Governo contenute nella 107 – in scadenza a gennaio – viene posticipata all’ultimo momento utile, dopo il 4 dicembre, data del referendum costituzionale: interventi sulla disabilità, sul sistema 0-6, sul diritto allo studio, sulla revisione dell’esame di Stato e del Testo Unico sulla scuola. Inutile dire che i temi precedenti, uniti al caos dell’algoritmo impazzito – dei danni in termini professionali ed esistenziali che ha configurato – nonché delle scuole ancora – a metà di ottobre – prive di docenti, non possono non allarmare Renzi, ovviamente in chiave referendaria; ed ecco, puntuale, guarda caso, la notizia – sussurrata, ventilata, bisbigliata a mezza voce – di una possibile rimessa in discussione delle parti più indigeribili della Pessima Scuola. Destituita di ogni fondamento, possiamo esserne certi; finalizzata esclusivamente e strumentalmente a non esacerbare ulteriormente il malumore del mondo della scuola. Tutti motivi in più per ribadire alla signora Puglisi e a tutti quelli come lei, che hanno tradito il dettato costituzionale degli artt. 3, 9, 33 e 34, che non si è trattato di “incomprensioni”.
Votare No significa anche affermare che se un Parlamento delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale (1/14) che ha ravvisato profili di incostituzionalità nella legge elettorale con cui è stato eletto ha potuto distruggere la scuola pubblica con “la Buona Scuola”; il diritto e la dignità del lavoro con il Jobs Act; prevedere la devastazione ambientale con lo Sblocca Italia; nominare i vertici del sistema di informazione pubblico sulla base della loro fedeltà alla causa del Governo; votare una legge elettorale (l’Italicum) che ricalca ed amplifica i vizi della precedente, dichiarata incostituzionale; infine, pensare persino di mettere mano a 41 articoli della Costituzione Italiana – quella basata sul principio di uguaglianza, di solidarietà, di libertà, quella che prevede il ripudio della guerra – ebbene, votare NO significa evitare che dalla combinazione tra riforma della Costituzione ed Italicum emerga un potere legislativo tale che i princìpi della prima parte della Costituzione (quella che il Governo dice non essere toccata dalla “riforma”) possano rapidamente e legittimamente essere messi in forse. “Ci riguarda” è lo slogan attraverso il quale la Scuola per il No argomenta la propria partecipazione alla campagna referendaria.
Il 22 ottobre è prevista a Roma la manifestazione del No Renzi Day, anticipata da una giornata di sciopero generale indetta da una serie di sigle del sindacalismo di base. Organizzazioni sindacali di base, movimenti civili e sociali, organizzazioni politiche militanti della lotta per la democrazia, il lavoro e l’ambiente, partigiani, hanno dato vita al Coordinamento per un NO sociale alla riforma costituzionale. Finora a Roma per sabato è previsto bel tempo. Facciamo in modo che sia anche un buon tempo: quello per ribadire un NO all’attacco concentrico a diritti e libertà. La scuola non può mancare.

Fonte: Micromega online - blog dell'Autrice 

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