di Silvia Niccolai
Nella riforma costituzionale si dice che la camera ha, tra le
altre, «la funzione di indirizzo politico». La disposizione è stata
introdotta, è da credere, con l’intento di rafforzare l’idea
chiave: solo la camera (non più anche il senato) ha il rapporto
fiduciario col governo (cioè ne approva il programma e s’impegna
a consentire al governo di perseguirlo, per esempio votando
i disegni di legge che il governo presenta), e solo la camera ha il
potere di far cadere il governo. Così si supera il bicameralismo
paritario.
Tuttavia: una volta precisato che una sola camera vota la
fiducia e la sfiducia, perché aggiungere quella frase sulla
funzione di indirizzo?
Non si è mai dubitato che nel nostro sistema le camere, ambedue rappresentative della nazione, abbiano la funzione di indirizzo, e la condividano col governo; ma si è sempre pensato anche che l’indirizzo politico, se ha il suo nucleo più denso nel rapporto che intercorre tra camere e governo, certo non si esaurisce lì.
Non si è mai dubitato che nel nostro sistema le camere, ambedue rappresentative della nazione, abbiano la funzione di indirizzo, e la condividano col governo; ma si è sempre pensato anche che l’indirizzo politico, se ha il suo nucleo più denso nel rapporto che intercorre tra camere e governo, certo non si esaurisce lì.
L’indirizzo politico è fatto di molti momenti, spira attraverso
l’intero circuito democratico, e rappresenta l’ambiente vivo in cui
la relazione fiduciaria tra governo e parlamento respira.
Specialmente se si considera che la riforma riduce i poteri delle
regioni, e che, nel momento in cui rafforza l’esecutivo e gli dà il
controllo dell’attività legislativa, non si preoccupa di
arricchire gli strumenti di democrazia diretta, si può avvertire,
nella riserva della funzione di indirizzo alla camera, una
intonazione asimmetrica: la politica si fa al vertice e nel
centro dello Stato, e coincide in tutto e per tutto col programma del
governo. Vi è da riflettere sulle implicazioni che la riserva alla
prima camera della funzione di indirizzo può avere anche quanto al
ruolo, nascente e non ben delineato, della seconda camera, il nuovo
senato. Quest’ultimo avrà funzioni di co-legislazione, in altri casi
potrà presentare proposte di modifica ai disegni di legge, infine
ha, in concorso con la camera, funzioni di controllo. Sono attività
che inevitabilmente incidono sull’indirizzo politico, il quale non
è disgiungibile, lo si insegna da sempre, dal controllo,
e naturalmente accompagna la legislazione. Ma: una volta
riservata alla prima camera la funzione di indirizzo politico, di
che cosa saranno riempiti i poteri della seconda? Non si vorrebbe
sentire il presidente del nuovo senato che dice ai senatori:
signori, questa proposta non la possiamo presentare e questo non
lo possiamo dire, di quest’altro non ci possiamo occupare, perché
incide sull’indirizzo, ossia sul programma di governo.
Questi timori potrebbero essere scacciati considerando che un conto è la vera e propria funzione di indirizzo politico, un conto i molteplici indirizzi che possono scaturire da diversi livelli e momenti della vita pubblica: la riforma non si riferisce ai secondi, ma alla prima; anzi, il suo ribadire che il nesso programmatico e fiduciario scorre tra la camera e il governo intende rafforzare il potere del corpo elettorale, le cui indicazioni, raccolte dal governo maggioritario, sono presidiate dalla camera.
Questi timori potrebbero essere scacciati considerando che un conto è la vera e propria funzione di indirizzo politico, un conto i molteplici indirizzi che possono scaturire da diversi livelli e momenti della vita pubblica: la riforma non si riferisce ai secondi, ma alla prima; anzi, il suo ribadire che il nesso programmatico e fiduciario scorre tra la camera e il governo intende rafforzare il potere del corpo elettorale, le cui indicazioni, raccolte dal governo maggioritario, sono presidiate dalla camera.
Bisogna però considerare che la nostra Costituzione si
riferisce all’indirizzo in un altro caso, quando dice che il
presidente del Consiglio «mantiene l’unità di indirizzo politico
e amministrativo». Questa disposizione non è toccata dalla
modifica costituzionale, e rimarrà. Un tempo si pensava che essa
significasse che, nel governo, l’organo che elabora gli indirizzi
è il Consiglio dei ministri, oggi sopravvive a dirci che il governo
ha un suo programma e il presidente del Consiglio ne è il primo
responsabile. Domani però, quando a questa disposizione se ne
affiancherà una che dice che la camera — sola — ha la funzione di
indirizzo, potrebbe uscirne una strana configurazione, in cui il
governo si scopre comitato esecutivo delle decisioni della camera,
ciò che rimetterebbe il programma a una dimensione assemblearista
e le sue sorti agli umori della maggioranza che nella camera siede.
Qualora si ripresentasse, nei futuri scenari, una situazione più
che ricorrente nei rapporti politici nel nostro paese, ossia un
governo sostenuto da una maggioranza infedele, potrebbe per esempio
accadere che il governo solleciti, per una sua proposta, la
procedura prioritaria (il nuovo strumento che gli consente di
chiedere alla camera di deliberare entro un dato termine su una sua
proposta, «essenziale per il programma di governo»), per sentirsi
rispondere dalla camera (dalla maggioranza nella camera): non ci
risulta che sia così, i signori dell’indirizzo politico siamo noi
e questa cosa che ora ci portate nel programma non ci stava (del
resto nessun programma potrebbe mai prefigurarsi tutte le scelte
che un governo deve fare nel corso di una legislatura).
Sotto questo profilo, la riserva alla camera della funzione di
indirizzo potrebbe anche rivelarsi il primo e più importante
contrappeso al governo e ai suoi nuovi poteri. Per quanto la riforma
di contrappesi abbia bisogno, c’è da chiedersi se sia questa la
soluzione migliore per individuarli. Siccome i congegni e i
meccanismi possono esser modificati, ma le prassi e le mentalità
molto meno, e siccome il nostro sistema dei partiti ha le
caratteristiche note (difficile coesione delle maggioranze,
opacità dei rapporti tra maggioranza e opposizione), la riserva
alla camera della funzione di indirizzo potrebbe essere la
condizione che, non si sa quanto consapevolmente, vuol garantire
che tutto cambi affinché nulla cambi. La camera non potrebbe mai più
essere accusata di aver tradito le indicazioni dell’elettorato, che
compete solo ad essa tradurre, appunto, in indirizzo, e l’idea che il
maggioritario rafforzi le indicazioni del corpo elettorale
dimostrerebbe tutta la sua ingannevolezza. Non serve la fantasia,
basta l’esperienza, per immaginare che il senato potrebbe acquisire
un ruolo politico che oggi la riforma vorrebbe sottrargli: non però
per far valere interessi e visuali distinti e dialettici rispetto
a quelli della rappresentanza partitica, ma solo in funzione di
contrasti interni alla maggioranza. Modificazioni della forma di
governo possono avvenire in via di prassi, lo dimostra l’esperienza
di molti Paesi, e del nostro.
Il progetto di revisione costituzionale è molto concentrato
nell’assicurare al governo stabilità ed efficienza d’azione, ma
riservare espressamente alla sola camera la funzione di indirizzo
politico, oltre al rapporto fiduciario, è stato un eccesso che, come
tutti gli eccessi, può provocare squilibri, rivelare
contraddizioni profonde. Al centro della riforma batte il cuore
trasformistico che ci accompagna da più di 150 anni? Questo
spiegherebbe, da un lato, la difficoltà che il progetto incontra
nel fare del nuovo senato un organo capace, per composizione
e funzioni, di aprire una dialettica effettiva con i partiti che
siedono nella prima camera, così come nel rinvigorire i referendum
e tutte le articolazioni e le voci di cui, in una democrazia, la
politica ha bisogno per vivere. Dall’altro lato, la facilità con cui
invece (ed è il caso di dirlo: solo sulla carta?) esso concede così
tanto al mito del rafforzamento del governo, e sbandiera davanti
all’opinione pubblica le capacità taumaturgiche che nuovi
meccanismi avrebbero per cambiare l’Italia.
Fonte: il manifesto
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