
di Daniele Ciravegna
Un recente articolo di Etienne Balibar “La Grecia e noi” (10.07.2015) – sul
cui contenuto concordo – contiene due affermazioni non corrette: «La
volontà popolare di una nazione non può prevalere sui trattati»;
«Tsipras, con il suo governo e il suo popolo, [vuole] la rifondazione
dell’Europa».
Sono piuttosto la gestione dell’UE e quella della BCE a non rispettare i trattati europei.
Con
riferimento all’UE, i “valori” sono innanzitutto evidenziati nel
preambolo della Carta dei Diritti Fondamentali: «I popoli d'Europa, nel
creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di
condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. […] Sui valori
indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, […] nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa nonché dell'identità nazionale degli stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale. Essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali nonché la libertà di stabilimento».
L’Art.
3, comma 3, del Trattato dell’Unione Europea ribadisce i principi
fondamentali del governo dell’Europa: «L'Unione instaura un mercato
interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato
su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su
un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla
piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di
tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove
il progresso scientifico e tecnologico. L'Unione combatte l'esclusione
sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione
sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni
e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione
economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli stati
membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e
linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio
culturale europeo».
Le parti sopra evidenziate in corsivo
definiscono gli obiettivi, in campo economico e sociale, dell’UE, non
distinguendo però chiaramente fra obiettivi finali e obiettivi
intermedi. Invece è proprio su questa distinzione che si gioca la bontà o
meno del modello economico-sociale europeo.
Una lettura attenta
porta, a mio avviso, all’individuazione, quale obiettivo finale
dell’Unione, della realizzazione dello «sviluppo sostenibile dell’Europa
basato su:
1) una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi;
2) un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale;
3) su un elevato di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente».
Ora,
le tre “basi” non si presentano sullo stesso livello di finalità. Se il
valore di fondo sta – come evidenziato sopra – nella “dignità della
persona”, pare evidente che il livello più avanzato di finalità sta
nella “piena occupazione e nel progresso sociale” (che si realizza
“combattendo l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuovendo la
coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione Europea” –
successivi due capoversi dello stesso comma) e che la crescita economica
equilibrata, la stabilità dei prezzi, l’economia sociale di mercato
fortemente competitiva, la tutela e il miglioramento della qualità
dell’ambiente, il progresso scientifico e tecnologico, la giustizia, la
protezione sociale, la parità fra donne e uomini, la solidarietà tra le
generazioni (e perché non anche fra le persone della stessa
generazione?), la tutela dei diritti del minore, la solidarietà tra gli
stati membri, e, ancor più, la creazione di un mercato interno e
l’istituzione di un’unione economica e monetaria (la cui moneta è
l’euro) siano, con diversi livelli di prossimità rispetto all’obiettivo
finale, obiettivi intermedi o meri strumenti operativi.
Con un’espressione di sintesi, alla luce dei trattati dell’UE, l’enfasi va posta sulla dimensione sociale piuttosto che sulla dimensione dell’elevata competizione di mercato.
Infatti il sintagma “economia sociale di mercato fortemente
competitiva” viene specificato con l’indicazione “che mira alla piena
occupazione e al progresso sociale. “Piena occupazione” e “progresso
sociale” sono così gli unici obiettivi esplicitamente indicati, mentre
tutti gli altri sono presenti in quanto caratteristiche di àmbito necessarie affinché si possano realizzare i due obiettivi finali predetti.
Il
continuo martellamento della Commissione Europea e del Consiglio
dell’UE nonché del Presidente della BCE (e di quest’ultimo non vedo la
competenza in merito!) nei riguardi delle “riforme”, che quasi tutti i
paesi dovrebbero introdurre in tempi brevi – e dal conclamato o supposto
imbocco di processi di realizzazione delle quali viene fatto dipendere
il riconoscimento dello status di paese virtuoso o di paese vizioso, con conseguente applicazione di bonus o di malus
nei rapporti economici, finanziari, o anche solo fiduciari, fra il
governo centrale dell’UE e i singoli stati – risente della presenza di
un modello di valutazione e di comportamento non in sintonia con gli obiettivi finali fissati nei trattati europei.
Si
tratta di riforme, in parte, non del tutto chiare nei loro contenuti,
che garriscono al soffiare di venti di origine non ben chiara, ma che
richiamano generici odori di efficienza – disgiunti da considerazioni
circa l’efficacia in termini di bene comune per la collettività – di
oscuri equilibri di lungo periodo, difficili da monitorare, di vaga
solidarietà intergenerazionale ecc. In parte, di riforme che chiaramente
tendono a smantellare il Welfare State e il sistema di relazioni
industriali create in Europa – specie a partire dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale – riducendo i diritti, le garanzie e le
condizioni dei lavoratori, subordinandoli agli interessi dei proprietari
del capitale. La motivazione sta nella difesa della capacità
dell’economia dell’UE di competere con il Resto del mondo in termini di
prezzi; a beneficio di quella parte del mondo imprenditoriale europeo
che, per sopravvivere, punta sulla capacità di competere in termini di
prezzi, non essendo capace di competere in termini di qualità, nei
confronti della quale capacità la presenza di un robusto sistema di
protezione sociale, di giustizia sociale, costituisce invece un
importante atout.
D’altra parte lo statuto del Sistema
Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea dice che
«obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei
prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi [che è la
situazione attuale], esso sostiene le politiche economiche generali
dell’Unione, al fine contribuire alla realizzazione degli obiettivi
dell’Unione definiti nell’art. 3 del TUE. […] Còmpiti fondamentali
assolti tramite il SEBC sono […] promuovere il regolare funzionamento
dei sistemi di pagamento». Anche la politica in atto di strangolamento
delle banche greche – che risulta a sostegno di una certa soluzione
dell’attuale disputa fra Governo dell’UE e Grecia – non è affatto
rispettosa di quanto dovrebbe essere il comportamento della BCE, alla
luce del suo statuto.
In conclusione, la gestione attuale dell’UE
risulta non rispettosa degli obiettivi finali contenuti nei trattati
europei. Alla luce dei valori e principi etici che presiedono il
contenuto di bene comune, il modello d’Europa definito dai trattati
europei (da ultimo, il Trattato di Lisbona del 2007) appare assai
migliore rispetto all’effettiva gestione che alla comunità europea
stanno dando gli organismi investiti del governo dell’Unione Europea.
Fonte: Sbilanciamoci
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