La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 agosto 2015

In memoria di Renato Zangheri, il sindaco combattente

di Giovanni Stinco
Fu il sin­daco del 2 ago­sto 1980, colui che seppe tenere unita Bolo­gna di fronte alla bomba neo­fa­sci­sta che portò morte e distru­zione in sta­zione. Ma fu anche il sin­daco del muro con­tro muro col movi­mento, del ’77, della morte di Fran­ce­sco Lorusso e dei carri armati che arri­va­rono in città. E ancora, fu il sin­daco che, prima volta in Ita­lia, diede a un’associazione lgbt uno spa­zio pub­blico, e che seppe dare gambe al wel­fare bolo­gnese, basti pen­sare che un anno prima del suo inse­dia­mento come primo cit­ta­dino sotto le Due Torri aprì il primo nido ita­liano. Un’esperienza che poi si impose in tutto il paese. Fu que­sto e tanto altro Renato Zan­gheri, sin­daco di Bolo­gna tra il 1970 e il 1983, anni com­pli­cati e insan­gui­nati dalle bombe e dagli atten­tati. Renato Zan­gheri è morto ieri, all’età di novant’anni.
«A lui, uomo delle Isti­tu­zioni — ricorda il sin­daco di Bolo­gna Merola – la città deve mol­tis­simo per essere diven­tata modello nella cre­scita del wel­fare come motore di giu­sti­zia sociale, per aver valo­riz­zato il decen­tra­mento come stru­mento di rela­zione costante coi cit­ta­dini e per aver rap­pre­sen­tato il volto migliore delle isti­tu­zioni negli anni del ter­ro­ri­smo, come nel 2 ago­sto del 1980 quando rap­pre­sentò una città ferita e capace imme­dia­ta­mente di rea­zione, civile nei soc­corsi, ferma nella richie­sta di giu­sti­zia». A pian­gere la sua morte le isti­tu­zioni, i sin­da­cati, la poli­tica.
Di lui il Pre­si­dente della Repub­blica Mat­ta­rella ha ricor­dato «l’esemplare impe­gno» l’attività di stu­dioso e intellettuale.
«Era un grande poli­tico, un uomo di visione, lucido, freddo, capace di stare un gra­dino più in un alto rispetto ai poteri eco­no­mici», sot­to­li­nea Mauro Zani, suo com­pa­gno di par­tito per decenni e, come lui, pro­ta­go­ni­sta della poli­tica bolo­gnese. «Quella – ricorda Zani — era l’epoca in cui i poteri isti­tu­zio­nali erano in grado di rea­liz­zare una media­zione tra inte­ressi sociali diversi, sem­pre man­te­nendo il pro­prio punto di vista. Oggi la chia­mano lea­der­ship, all’epoca si chia­mava ege­mo­nia». Zan­gheri è stato un pro­ta­go­ni­sta anche cul­tu­rale per Bolo­gna. Stu­dioso di eco­no­mia, del movi­mento socia­li­sta e della que­stione agra­ria, inse­gnò all’Alma Mater e già dagli anni 60, molto prima di diven­tare sin­daco, si occupò di cul­tura per il partito.
«Zan­gheri è stato uno dei costrut­tori della nostra demo­cra­zia repub­bli­cana – ha detto Simo­netta Saliera, pre­si­dente dell’assemblea legi­sla­tiva regio­nale dell’Emilia-Romagna — Come non dimen­ti­care il suo discorso in occa­sione dei fune­rali delle vit­time delle strage del 2 ago­sto 1980? Con la mano del pre­si­dente Per­tini sulla spalla, nelle sue parole Zan­gheri seppe tenere ferma la barra di una città che, pur mar­to­riata dalle bombe, non cedeva di una linea rispetto alla difesa della demo­cra­zia e della lega­lità repub­bli­cana».
Poi c’è la que­stione del rap­porto col movi­mento. «Nel Pci i gio­vani discu­te­vano e c’era anche un ten­ta­tivo di dia­logo – ricorda Mauro Zani – Zan­gheri non era certo un uomo che non capiva, ma col movi­mento ha sem­pre agito con­ce­dendo poco e muo­ven­dosi con fer­mezza». «Nel 1977 venne ucciso Fran­ce­sco Lorusso e ci fu una rivolta decisa in città. Il sin­daco invocò i carri armati e fece pre­si­diare la città dai mili­tari», ricorda Beppe Ramina, all’epoca mili­tante in Lotta con­ti­nua. «Al fune­rale di Fran­ce­sco c’era solo un espo­nente di rilievo del par­tito comu­ni­sta, la distanza tra noi era molto grande».
E non poteva che essere altri­menti vista la posi­zione di Ber­lin­guer sull’argomento. Ma quello, il 1977, fu anche l’anno del con­ve­gno con­tro la repres­sione, quando per tre giorni 100mila gio­vani — «poveri unto­relli», li aveva defi­niti Ber­lin­guer — si riu­ni­rono a Bolo­gna.
Nel 2007, inter­vi­stato dal quo­ti­diano La Stampa, Zan­gheri ammise che «non è che aves­simo capito molto di quei ragazzi, e di ciò che stava suc­ce­dendo. Il Pci era di un altro mondo… È ovvio che da me non è mai arri­vato nes­sun ordine al pugno di ferro in piazza, ma certo non fummo in grado di capire, non fummo all’altezza di quella sfida».

APPROFONDIMENTO - Quando si poteva litigare
di Franco Berardi Bifo

La morte di Renato Zan­gheri, intel­let­tuale, sto­rico ed eco­no­mi­sta che fu anche sin­daco della città di Bolo­gna, mi rat­tri­sta per ovvie ragioni umane, ma anche per­ché sono costretto a para­go­nare l’epoca pre­sente con quella in cui io e tanti altri liti­gammo con Zan­gheri.
Liti­gammo per tutti gli anni Set­tanta, a Bolo­gna come altrove, ma forse a Bolo­gna più spesso, dato che la città in que­gli anni sem­brava un tea­tro nel quale con­fron­tare idee. Con Zan­gheri, e con altri diri­genti del Par­tito comu­ni­sta ita­liano, era pos­si­bile liti­gare, discu­tere, acca­pi­gliarsi, per­ché erano por­ta­tori di un pen­siero. Nell’epoca pre­sente il con­fronto con i poli­tici di governo è reso impos­si­bile dal fatto che essi non sono por­ta­tori di alcun pen­siero. La poli­tica è oggi mera appli­ca­zione di regole mate­ma­ti­che scritte dal sistema finan­zia­rio.
Se penso a colui che fu sin­daco di Bolo­gna nella seconda parte degli anni Set­tanta e si trovò quindi a fron­teg­giare la rivolta degli stu­denti e dei gio­vani pro­le­tari, il primo ricordo che mi viene in mente non è un bel ricordo.
Nel marzo del 1977, rivol­gen­dosi alle forze di poli­zia man­date dal mini­stro degli interni Fran­ce­sco Cos­siga, Zan­gheri disse: «Siete in guerra e non si cri­tica chi è in guerra».
Nei giorni pre­ce­denti le forze dell’ordine ave­vano ucciso uno stu­dente di medi­cina di nome Fran­ce­sco Lorusso spa­ran­do­gli alle spalle, ave­vano occu­pato la zona uni­ver­si­ta­ria con i mezzi coraz­zati, ave­vano arre­stato tre­cento per­sone e ave­vano chiuso una radio libera distrug­gen­done i locali.
Non c’era niente da cri­ti­care? Forse sì, ma quella era la poli­tica del com­pro­messo sto­rico cui Zan­gheri si piegò.
Lo scon­tro tra il movi­mento auto­nomo e il Pci rag­giunse il suo cul­mine nel 1977, e vide Zan­gheri assu­mere un ruolo cen­trale nella pole­mica, forse suo mal­grado. In quello scon­tro si scon­tra­vano due visioni del futuro, anche se ne era­vamo solo con­fu­sa­mente consapevoli.
Non credo che abbia senso chie­dersi: chi aveva ragione nel 1977? Il par­tito comu­ni­sta o il movi­mento auto­nomo? Non ha senso per­ché la sto­ria non fun­ziona in quella maniera. Men­tre cer­chi una solu­zione per il pro­blema, il pro­blema è cam­biato, e gli attori sono scom­parsi e quelli nuovi hanno altro cui pen­sare.
Eppure il senso gene­rale della pole­mica di que­gli anni oggi si potrebbe rias­su­mere cosi: il movi­mento auto­nomo pen­sava che lo sca­te­na­mento delle forze sociali è un fatto posi­tivo, per­ché inne­sca una dina­mica libe­ra­to­ria della cul­tura, della tec­no­lo­gia, della spe­ri­men­ta­zione. Il par­tito comu­ni­sta pen­sava che lo sca­te­na­mento è peri­co­loso e va represso per­ché la società va gover­nata dalla razio­na­lità della poli­tica.
Credo che il deva­stante trionfo del neo­li­be­ri­smo, negli anni imme­dia­ta­mente suc­ces­sivi, nasca pro­prio dal fatto che lo sca­te­na­mento era ine­vi­ta­bile e pieno di poten­zia­lità posi­tive, ma fummo inca­paci di fare del movi­mento ope­raio l’interprete poli­tico con­sa­pe­vole dello sca­te­na­mento delle forze sociali desideranti.

Fonte: il manifesto

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