La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 6 agosto 2015

La crisi infinita e un suo diario

aziende crisi

 







di Francesca Coin e Stefano Lucarelli
Scriveva Deleuze:
“quando scrivo su un autore il mio ideale sarebbe di riuscire a non dire nulla che potesse rattristarlo… pensare a lui, all’autore sul quale si scrive. Pensare a lui con tanta forza che non possa più essere un oggetto e che non sia neanche più possibile identificarsi con lui. Evitare la doppia ignominia dell’erudizione e della familiarità. Restituire a un autore un po’ di quella gioia, di quella forza, di quella vita politica e di amore che lui ha saputo donare, inventare” (Dialogues, 1977).
È con questo spirito che ci accingiamo a scrivere qualcosa sull’ultimo testo di Christian Marazzi, Diario della crisi infinita (Ombre Corte, 2015), un testo denso e articolato di cui ci piacerebbe provare a restituire almeno un po’ della forza e della vita politica che lo impregna.
Dobbiamo iniziare con una domanda. Più volte durante la lettura ci siamo chiesti, infatti, quanti economisti, in quest’epoca, potrebbero pubblicare una collezione di testi scritti in anticipo sull’oggi.

Quante volte, in altre parole, sarebbe possibile mettere alla prova della storia le proprie previsioni senza esserne imbarazzati. L’origine di questa domanda sta nella prima caratteristica spiazzante del testo: Marazzi è stato in grado di anticipare già anni addietro, precisamente, i nodi con cui si confronta il presente, a descrivere non un semplice diario – forse il titolo è troppo modesto – ma una sorta di dissezione, implacabile e ossessiva, di ogni particolare della crisi, nel tentativo di offrire, con precisione tanto raffinata quanto a volte dolorosa, una mappatura ad uso sovversivo di quella che egli stesso, in una bella intervista con Gigi Roggero, ha definito “la guerra diffusa della crisi”.
Un’analisi ostinata, dunque, affilata, talvolta forse addirittura dolorosamente vendicativa di quelle che sono le cause più profonde della crisi odierna. Quasi dolorosamente vendicativa, a descrivere, ed è il punto di vista che vogliamo usare, uno sguardo teorico, eppure profondamente intimo, sensibile, protagonista, della piega infausta che ha preso la storia da quando, alla fine degli anni Settanta, Marazzi già descriveva quel rapporto di forze avverso oggi giunto a piena maturazione.
Partiamo, dunque, dalla fine. Partiamo cioè da quella “macchina depressiva” che, scrive Marazzi, produce valore “in negativo”, ovvero tenta di compensare la crisi di accumulazione degli ultimi trent’anni con politiche di compressione dei salari, smantellamento del welfare e precarietà volte ad estrarre ricchezza dalle sfere della riproduzione e della circolazione. Dalla fine del Fordismo in poi, questa sorta di “de-sostanzializzazione” del valore fatta di precarietà e disoccupazione, di crescita vertiginosa delle diseguaglianze e di crisi della riproduzione sociale ha cercato nascondimento nel “performativo linguistico”, quel tentativo di produrre il mondo attraverso enunciazioni linguistiche incaricate di trasformare in realtà i desiderata del capitale finanziario. Nulla di nuovo, se vogliamo, fino a qui: siamo sempre dentro quella relazione tra “moneta e linguaggio” cui Marazzi ha dedicato i suoi scritti più belli e che ha introdotto un nuovo modo di intendere la governance finanziaria nel suo tentativo di mantenerne inalterate le relazioni di potere. Con questo testo, tuttavia, Marazzi sposta questa sua analisi dritto dentro il cuore d’Europa, nella nostra vita e nella nostra quotidianità offrendo chiavi di lettura inedite dell’impasse attuale.
Eccoci dunque in Europa, in quel contesto paradossalmente diviso dall’unificazione monetaria dove l’introduzione di una moneta sovranazionale fatta di tanti piccoli euro divisi per tassi di interesse, dunque per costo del denaro, ha contribuito a creare un contesto frammentato, balcanizzato, polarizzato dall’accumulo di posizioni creditizie tra i paesi del Nord e l’accumulo di posizioni debitorie tra i paesi della periferia. La distribuzione dei redditi fra paesi e dentro i singoli paesi si fa più iniqua e le condizioni materiali che caratterizzano le esistenze di chi può far affidamento solo sul salario si vanno indebolendo, divengono sempre più ricattabili, sempre più plasmabili fino a comporre “un pluriverso che difficilmente si ricompone da sé” (p. 187).
Marazzi situa continuamente lo sguardo qui, in questo spazio percorso da conflitti dentro e tra paesi in cui vive l’oscillazione tra percorsi di soggettivazione e forme di soggezione alla disciplina, al debito e alla colpa, come testimoniato dalla crisi greca. Lo fa legando con chiarezza le vicende monetarie e finanziarie all’analisi della produzione e della riproduzione del capitale come rapporto sociale, all’interno del quale Marazzi raccoglie in uno sguardo lucido e anticipatore l’emergenza dei nuovi soggetti, di nuove forme di vita, fragili e diverse ma per questo piene di potenzialità, quel “comune che sta alla base della nostra Europa” (p. 146).
Siamo nel cuore delle politiche monetarie della Bce, in quel tentativo di rispondere alla crisi con politiche monetarie espansive “non convenzionali” di quantitative easing. L’Autore su questo tema torna varie volte e il suo discorso qui può intimidire i non economisti, tanto è articolata – e nel contempo chiarificatrice – l’analisi. Diciamo che queste politiche finanziarie espansive finalizzate a un indebolimento dell’euro per favorire una ripresa delle esportazioni sono state la risposta di Draghi a un contesto di deflazione, bassi salari, povertà e disoccupazione; problematiche, queste, però, che non possono essere risolte affidandosi esclusivamente a politiche monetarie, e che tali politiche monetarie possono al contrario esacerbare. Gli effetti collaterali della politica monetaria della BCE, in questo senso, sono non a caso inedite. In Europa, scrive Marazzi, “uno degli effetti più pericolosi, e del tutto inediti, della creazione di liquidità è quello di abbassare a tal punto i rendimenti (i tassi di interesse) sulle obbligazioni pubbliche e private da renderli negativi. … Da una parte, si stanno preparando le condizioni per una bolla dei titoli obbligazionari, dall’altra, si profila all’orizzonte una possibile emergenza pensionistica” (p. 16).
Su scala globale tali politiche, lette congiuntamente al crollo del prezzo del petrolio e alla rivalutazione del dollaro, hanno contribuito a una fuga di capitali dai paesi emergenti, in particolare dalla Cina; si è dunque assistito ad “una forte riduzione delle riserve in valuta estera detenute dalla Banca centrale cinese, quelle riserve che per diversi anni sono state investite sul debito americano, garantendo a questo paese di crescere a mezzo di indebitamento” (p. 81). “La crisi dei subprime”, conclude Marazzi, “esplosa negli Stati Uniti nel 2008, ha in seguito contagiato l’Europa. Ora sembra contagiare i paesi emergenti. Il cerchio è chiuso” (p. 81). Parole scritte lo scorso Aprile, che lette a Luglio, a pochi giorni dalla volatilità che ha colpito la borsa cinese, hanno un sapore di premonizione. Sembrano, a dire il vero, aprire quello squarcio nel performativo linguistico o prefigurare quel “momento della verità” di cui Marazzi ci parla da anni.
Sempre con più urgenza, allora, ci chiediamo insieme all’Autore, come si esce da questa crisi? In che modo si possono sviluppare le potenzialità di chi condivide le nuove fragilità su cui le istituzioni europee tentano di legittimare il proprio modello di sviluppo?
È questo il rompicapo di Marazzi, un rompicapo difficile e tormentato, non solo alla luce della dolorosa consapevolezza dei rapporti di forza e dei rischi – in termini di sofferenza umana; ma difficile perché mette alla prova tutta quella cassetta degli attrezzi così sofisticata su cui si è costruita l’analisi teorica e l’esperienza politica italiana negli ultimi quarant’anni. Qui Marazzi, in primo luogo, evita di dare risposte facili. Questa crisi, che noi spesso definiamo europea, ci parla in verità di una specie di guerra diffusa, una specie di stato di emergenza permanente per il quale non si può indicare una sola strategia, ma semmai debolezze da aggredire, potenzialità da sfruttare.
Per quanto riguarda il continente europeo, Marazzi non si rifiuta di tornare a riflettere sulle divisioni nazionali che lo caratterizzano, sebbene egli chiaramente aspiri ad un orizzonte sovranazionale proprio per rompere la trappola del modello tedesco di crescita asfittica: un sistema trainato dalle esportazioni tedesche, che impone una nuova divisione transnazionale del lavoro caratterizzata da un pieno impiego precario (fatto di bassi salari e di austerità assistenziale) che si fa sempre più precario man mano che si scende lungo la catena delle fasi della produzione, man mano cioè che ci si muove dal centro Europa verso i paesi periferici. Un sistema che paradossalmente inibisce le imprese tedesche ad investire in ricerca e sviluppo (“quando investono lo fanno all’estero!”, p. 68), e che trascina un intero continente verso la recessione.
Il punto politico su cui Marazzi porta il lettore a riflettere nella sua introduzione a questo diario della crisi infinita è dunque cruciale: la possibilità o meno di riportare su scala europea la volontà di uscire dalle politiche di austerità, di riconquistare sul piano locale margini di sovranità tali da permettere politiche di rilancio della spesa sociale, dell’occupazione, della lotta contro la povertà. Un tema, questo, quanto mai attuale e nel contempo ricco di contraddizioni che l’Autore non nasconde, e che anzi sembrano essergli a volte tanto chiare da indurlo a una specie di arretramento, a un ripensamento. “Essere dentro e contro l’Europa”, questa formula politica che un tempo sembrava individuare un orizzonte di lotta ha delle implicazioni tali in termini di sofferenza umana da rischiare di diventare una prospettiva “disperatamente debole”, come ha scritto l’autore qualche settimana fa in una bella intervista con Roberto Ciccarelli.
Le relazioni di forza sembrano, dunque, a volte, asfittiche, eppure Marazzi spinge sempre lo sguardo laddove il potere si rende più mostruosamente manifesto, quasi ad anticiparlo, quasi a cercarne le crine o i nodi inermi da aggredire. Ecco allora che l’orizzonte della riflessione si poggia sulle contraddizioni che caratterizzano la sovranità monetaria: “In termini monetari la questione della sovranità si pone sul terreno della costruzione di una moneta del comune, una moneta dentro e contro l’euro, che permetta di redistribuire la ricchezza riducendo le disuguaglianze, che sia in grado di monetizzare i bisogni e i diritti di chi non ha più diritti, che affermi concretamente il principio del reddito di cittadinanza” (p. 17).
Nei contributi raccolti nel Diario della crisi infinita viene dunque indicata una piccola speranza, a partire da diversi ordini di problemi, provenienti non solo dall’attualità, che Marazzi invita a ri-articolare: le connessioni costitutive fra dimensioni globali e locali nei processi di formazione della soggettività dovrebbero svincolarsi da un sistema monetario che acuisce le divisioni fra sistemi economici nazionali e rende concreta la sovranità tecnocratica così tangibile oggi, a pochi giorni dal coup d’etat finanziario che ha colpito la Grecia, e con essa l’Europa tutta. “L’Europa monetaria sta sgretolandosi a causa delle sue contraddizioni interne (monetarie e istituzionali)” (p. 58), scrive Marazzi. Fa qui eco l’intuizione di Luciano Ferrari Bravo, secondo il quale “la metafora della rete … non autorizza in alcun modo una visione dello spazio sociale ordinato in maniera simmetrica e puramente orizzontale … La rete non giace su un piano bidimensionale, i suoi nodi non sono affatto equidistanti ed equipollenti. Piuttosto, essa mette in forma un processo generale di concentrazione di potere non centralizzata” [Ferrari Bravo, L. (2001), “Federalismo”, in Zanini A. e Fadini U., Lessico Postfordista, Feltrinelli, pp. 122-123].
Alla luce di ciò diventano interessanti gli esercizi di esodo monetario che sono riscontrabili nei molti esperimenti di monete complementari, digitali e non, che si stanno diffondendo non solo in Europa. Ad esse invita a guardare anche Marazzi, ma con uno sguardo critico. Le monete complementari sono interessanti proprio perché possono favorire pratiche di autogestione della ricchezza sociale, limitando al contempo l’espropriazione alla quale conducono i processi di indebitamento abnorme che si vanno imponendo non solo sugli stati periferici dell’Eurozona, ma sulle singole esistenze dentro un modello di crescita finanziaria che vorrebbe fare dell’indebitamento privato il suo motore.
Eppure in questi esercizi di esodo la dimensione politica tende ad essere vissuta come se si trattasse di un qualcosa di penalizzante. Ciò si rileva anche nelle funzioni che caratterizzano questo tipo di monete del comune; non sono tutte le funzioni proprie della moneta così come Marx le aveva definite: se da un lato occorre tener conto del fatto che la funzione di riserva di valore è caratteristica precipua di una moneta capitalistica (come hanno ben messo in luce Massimo Amato e Luca Fantacci attualizzando l’insegnamento della Clearing Union keynesiana, si veda ad esempio Moneta complementare. Sai cos’è?, Bruno Mondadori, 2014), non è solo nella preservazione della funzione transattiva che si può pensare di governare una transizione istituzionale verso un’economia dell’uomo per l’uomo, della società per la società o della vita per la vita.
Qui Marazzi torna a lavorare sui problemi che tra il 1974 e il 1979 il gruppo sulla moneta della rivista Primo Maggio aveva posto: la moneta infatti, in quanto rappresentante universale della ricchezza accompagna tutte le fasi della metamorfosi del capitale, ma i rapporti monetari rimandano sempre a rapporti di produzione, o meglio alla capacità di comandare lavoro vivo. “L’equivalente generale è solo una funzione tra le altre, così come il denaro è misura del valore, mezzo di scambio, mezzo di pagamento e quindi moneta credito. Queste funzioni sottostanno, si articolano e tutte assieme definiscono la forma che storicamente il valore assume a partire da una determinata composizione organica del capitale e della composizione di classe” (p. 169).
Non è un caso che le ultime pagine del Diario della crisi infinita siano dedicato proprio alla composizione di classe. Alla luce di questi ragionamenti ci pare che Marazzi suggerisca di concentrarsi, fuori dal principio della sopraffazione e oltre l’etica della colpa, sulla funzione creditizia di una moneta che permetta di avviare dei processi di produzione indipendentemente dalla detenzione preventiva di una quantità monetaria messa a riserva. Una moneta non soggetta alle logiche capitalistiche dovrebbe innanzitutto finanziare i servizi del welfare favorendo un modello di sviluppo fondato sulla conoscenza, “nel segno di una politica monetaria che permetta di ridurre le disuguaglianze, di lottare contro la povertà, di generalizzare … l’istanza del reddito di cittadinanza … su scala europea” (p. 110).
Ciò significa innanzitutto che la politica monetaria espansiva deve da un lato essere portata avanti insieme ad una politica fiscale espansiva, e che la politica fiscale espansiva deve tradursi in scelte chiare circa quelle voci del bilancio pubblico che finanzino politiche sociali capaci di rilanciare la dinamica innovativa, riconoscendo al contempo una paternità collettiva delle innovazioni. “Riuscire a ristabilire un ordine fiscale che abbia al suo centro ciò che di comune c’è nella crescita e nell’innovazione è un criterio per affrontare la questione fiscale” (p. 122).
Ci sono dei margini per questa determinazione della moneta del comune all’interno di una politica keynesiana della liquidità, cioè di creazione della liquidità? È possibile agire dentro e contro la politica monetaria della Bce di Draghi per trovare un modo – magari a livello degli Enti locali e delle Regioni – di far affluire questa liquidità laddove crediamo sia necessario per costituire delle istituzioni del comune?
Le recenti vicende greche ci conducono quantomeno a fermarci a riflettere di fronte a queste domande, nella consapevolezza – maturata dopo la lettura del libro di Marazzi – che ciò che in gioco non è in fin dei conti il sogno europeo, ma il ripensamento di una produzione e un lavoro liberati dal capitale. Un ripensamento che può essere vivo nei momenti delle lotte contro i poteri oppressivi, quando si resta sospesi verso il possibile.

Fonte: Effimera

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.