Intervista a Gustavo Zagrebelsky di Silvia Truzzi
La settimana scorsa su Repubblica, Gustavo Zagrebelsky ha scritto:
“Se oggi diciamo che lo Stato può fallire, è perché il suo attributo
fondamentale – la sovranità – è venuto a mancare”.
Professore, la prigione per debiti non esiste più. O forse sì, guardando la Grecia?
Quando si contrae un debito, si lega la propria sorte alla volontà
del creditore. Se il debitore è inadempiente, il creditore aggredisce i
suoi beni. Il fallimento dello Stato, in passato, era inconcepibile: lo
Stato – dicevano i costituzionalisti –è un “ente necessario”. È vero che
lo Stato ha sempre contratto debiti e lo Statuto Albertino diceva che
“ogni suo impegno verso i creditori è inviolabile”. Lo Stato però
governava sovranamente la moneta, cioè il mezzo per far fronte ai suoi
debiti. Ma oggi i creditori dello Stato non sono solo i cittadini, ma
soprattutto i grandi capitali internazionali. Che hanno il controllo su
un aspetto fondamentale della sovranità, perché lo Stato ha perso la
sovranità monetaria. Se non è solvibile, possono “aggredire” i suoi beni
– imprese pubbliche, coste, isole, monumenti, cose un tempo ritenute
res extra commercium–fino a ridurlo sul lastrico. Ridurre un Paese sul
lastrico, però, vuol dire annientare il suo popolo.
Ha attaccato il “moralismo vuoto” di chi rimprovera a Paesi
come la Grecia d’essersi indebitati, quando proprio i creditori sono
interessati al loro indebitamento.
Si dice: di che si lamenta la Grecia? Bastava che non s’indebitasse.
Logico, no? Ma le bolle speculative – ricorrenti a partire dal ‘700 (si
menziona la “crisi dei tulipani” in Olanda) – non sono incidenti, ma
fasi cicliche nell’economia finanziarizzata. Perché si formano le bolle?
Perché la finanza speculativa ha necessità di espandersi continuamente e
si finisce per dare denaro a credito a soggetti che non potranno
restituirlo. Questi debiti vanno a gravare sui bilanci degli Stati più
deboli, costretti a riconoscere tassi d’interesse molto alti: dunque
investire in quei Paesi conviene. Tanto più i sistemi economici sono
fragili, quanto più hanno bisogno di finanza. E il cappio si stringe.
Gli Stati indebitati per pagare chiedono prestiti agli stessi creditori
che glieli danno, e il cappio si stringe ancora. In più, mentre il
fallimento è una tragedia per i debitori, può essere una fortuna per i
creditori che possono assicurarsi a poco prezzo i beni messi in vendita
(anzi: in svendita) dallo Stato insolvente, attraverso le
privatizzazioni. Se ci sono responsabilità “morali”, vanno almeno
equamente suddivise. Solo che i debitori ne pagano il prezzo e i
creditori, alla fine, ne approfittano. L’unica cosa che temono è il
contagio finanziario. Per questo, il fallimento non è la loro prima
scelta. La prima è stringere il cappio sempre di più.
Se “l’erosione della sovranità è la resa alla legge dei più
forti”, il popolo conta sempre meno. Ma almeno alle nostre latitudini,
sembra non accorgersene. Vero?
In Grecia è stato imposto un piano di “risanamento ” che tocca
pensioni, Pubblica amministrazione, privatizzazione dei beni pubblici,
ammortizzatori sociali, perfino articoli del codice di procedura civile!
Non sono misure economiche, è un programma di governo di stampo
ultraliberista. Tsipras ha dovuto dire in Parlamento: altro era il mio
programma e su quello sono stato eletto, ma voi dovete votare l’esatto
contrario perché lo chiedono i mercati finanziari. È un conflitto
radicale, esplicito, che mette in discussione la democrazia. Si
determina un cortocircuito tra la sovranità che “appartiene al popolo” e
la sovranità che appartiene alla finanza. Diciamo finanza, come se
fosse un mondo monolitico. Non è così e, per questo, se può far fallire
gli Stati, non è in grado di assicurare un ordine mondiale. Dove c’è
l’egoismo dei mercati, lì c’è disordine e i deboli soccombono. L’ordine
spontaneo degli egoismi non esiste. Tanto più che la finanza globale non
ha interessi solo finanziari, ma anche geopolitici conflittuali. Così,
il Fondo monetario, che non è un soggetto speculativo, cerca di arginare
la cecità del capitalismo finanziario a favore di visioni politiche
strategiche diverse da quelle prevalenti nella parte forte dell’Europa.
Christine Lagarde, contro l’opinione degli altri, ha detto che il debito
greco è insostenibile e bisogna tagliarlo.
C’è un problema di sovranità anche in Italia, dove non solo c’è la
questione dell’erosione di sovranità nel rapporto con l’Europa, ma da
anni non riusciamo a esprimere un governo con il nostro voto?
In Italia ci sono stati slittamenti costituzionali progressivi di cui
non si è avvertito il significato d’insieme. I governi tecnici
successivi a Berlusconi non si basavano su una piattaforma elettiva
democratica. Ma sulla legge della necessità: con Monti si è incominciato
a dire: “Non ci sono alternative”. Vuol dire che sopra di noi c’era una
forza a cui non si poteva resistere, ci si poteva solo piegare. Era la
famosa lettera Draghi-Trichet, che conteneva molte delle richieste che
sono poi state fatte alla Grecia: riforma della Pubblica
amministrazione, interventi sul lavoro… C’è un disegno di cui non si è
avvertita, all’inizio, la pervasività. Si è accettata la soluzione Monti
perché ci liberava da Berlusconi, ma era l’inizio di una messa tra
parentesi dei principi democratici.
Mica ci hanno puntato la pistola .
Non ce n’è bisogno. Basta congelare la situazione, evitando le
elezioni o, almeno, privandole del loro significato politico. I partiti
si mettono d’accordo: il patto del Nazareno è stato un modo per
sterilizzarle. Prima si dice di essere alternativi, poi ci si accorda.
Ma nel grande accordo, esplicito o implicito, la politica sparisce,
perché la politica è il luogo delle scelte. Norberto Bobbio diceva che
la democrazia è non solo il luogo della contesa, ma (etimologicamente)
della discordia. Oggi impera la retorica della coesione, della
condivisione. I governi tecnici ci hanno lentamente abituato a essere
apolitici.
Come se ne esce?
Si può premere sulle condizioni di vita delle persone fino a un certo
punto. La finanza non conosce regole e andrà avanti fino a che i popoli
non reagiranno. Già oggi succede, con il rigetto dell’euro che molti
partiti sostengono in Europa. Si arriverà probabilmente a un conflitto
radicale. La soluzione secondo me non dovrebbe essere il ritorno agli
Stati-nazione, perché così si distruggerebbe l’Europa ma non la
speculazione finanziaria. Si dovrebbe riprendere in mano la questione di
un’Europa politica e in grado di fronteggiare le crisi finanziarie con
un proprio, autonomo, sistema creditizio basato sulla solidarietà
comune. Prima, però, credo che si debba toccare il fondo della crisi.
Si è riacceso il dibattito sulla riforma costituzionale. Lei pensa che ci saranno aperture sul Senato elettivo?
Renzi non disdegna le scommesse: penso che proverà ad andare fino in
fondo. All’Europa non importa molto che ci sia o non ci sia il
bicameralismo perfetto. Eliminare il Senato è un atto simbolico, una
prova di forza all’interno e di soggezione all’esterno. Nel 2013 il
report della banca d’affari americana JP Morgan diceva che le
Costituzioni dei paesi del sud Europa, pluraliste e garantiste, dovevano
essere modificate. Quello che sta accadendo da noi è un inchino.
Lei è sempre stato attento ai temi di etica pubblica: cosa pensa del caso Azzollini?
Legge della politica: subito si è etici; subito dopo si diventa pragmatici. Subito si salva l’anima; subito dopo, il corpo.
Fonte: Il Fatto quotidiano
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