La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 4 agosto 2015

Una separazione nel reciproco interesse

di Franco Monaco
Non sono sicuro circa la impe­gna­tiva — me ne rendo conto — con­clu­sione di un ragio­na­mento che tut­ta­via sto matu­rando. Con­clu­sione impe­gna­tiva per chi, come me, già vent’anni orsono, con pochi altri — penso a Prodi e Parisi, con­tra­stati dai gruppi diri­genti dei par­titi eredi del cen­tro e della sini­stra del primo tempo della Repub­blica — già sognava (e lavo­rava a) un par­tito demo­cra­tico uni­ta­rio, inclu­sivo e plu­rale nel qua­dro della sta­bi­liz­za­zione di un bipo­la­ri­smo maturo. Sbloc­cando così la demo­cra­zia ita­liana, a lungo imbri­gliata dal fat­tore K e dalla gab­bia dell’unità poli­tica dei cat­to­lici. E tut­ta­via penso ci si debba misu­rare a viso aperto con fatti e pro­blemi che non si pos­sono essere esor­ciz­zati. Sinteticamente.
Primo: le mino­ranze interne al Pd non pos­sono rei­te­rare la prassi di distin­guersi siste­ma­ti­ca­mente in par­la­mento su tutti i prov­ve­di­menti che con­tano. Com­por­ta­menti alla lunga indi­fen­di­bili. È giu­sto chie­dere lealtà in ragione di un vin­colo poli­tico, prima che disci­pli­nare, e dun­que del dovere di con­for­marsi alla regola di mag­gio­ranza den­tro un par­tito e un gruppo par­la­men­tare degni di que­sto nome. Spe­cie chi è cre­sciuto den­tro la “ditta” non può non com­pren­derlo. Tal­volta ho come l’impressione che, al fondo di tale con­trad­di­zione, stia per para­dosso pro­prio la cul­tura comu­ni­sta del par­tito come casa, chiesa, mamma… Più pre­ci­sa­mente la con­vin­zione — forse un riflesso con­di­zio­nato incon­sa­pe­vole — che il Pd sia la pro­pria casa, solo al momento occu­pata dall’usurpatore Renzi, di cui tut­ta­via prima o poi ci si sba­raz­zerà. Costi quel che costi. Riap­pro­prian­dosi della casa… di pro­prietà. Lo si evince da qual­che indi­zio les­si­cale del tipo: que­sta è casa mia e non la lascio; la scis­sione non sta nel mio voca­bo­la­rio… Per­ché mai esclu­dere pro­gram­ma­ti­ca­mente tale esito? Il par­tito è uno stru­mento non un fine. Esso meri­te­rebbe una con­si­de­ra­zione più laica, meno chiesastica.
Secondo: dopo la bat­tuta d’arresto del test ammi­ni­stra­tivo ori­gi­nata dal man­cato sfon­da­mento al cen­tro e dal riflusso di elet­tori di sini­stra nell’astensionismo, l’annuncio ren­ziano di un piano di dra­stica ridu­zione fiscale denota che, posto di fronte a una secca alter­na­tiva, Renzi ha deciso di pro­ce­dere più riso­lu­ta­mente verso una poli­tica che sarebbe inge­ne­roso bol­lare come di destra, ma di sicuro posi­ziona il Pd su un asse libe­rale e cen­tri­sta. Non una bestem­mia, ma certo un pro­filo deci­sa­mente diverso da quello di un par­tito di cen­tro­si­ni­stra orga­nico, niti­da­mente alter­na­tivo al cen­tro­de­stra, nel solco dell’Ulivo. Un Pd inclu­sivo verso il cen­tro, ma anche verso sini­stra. Del resto, il for­mato del governo — con la rot­tura a sini­stra e l’alleanza con Ncd — da tran­si­to­rio sem­bra farsi regola, oriz­zonte stra­te­gico. Si pensi anche alle pro­spet­tive che si pro­fi­lano, per esem­pio, in Sici­lia e a Roma, qua­lora la situa­zione dovesse pre­ci­pi­tare. Segnali simili si avver­tono anche sulla piazza di Milano per il dopo Pisa­pia. Si pensi anche, al netto di una qual­che for­za­tura pro­pa­gan­di­stica, alla orgo­gliosa riven­di­ca­zione da parte di Ndc dei risul­tati di un governo che sta­rebbe rea­liz­zando sto­rici obiet­tivi del cen­tro­de­stra. Per farla breve, dopo un tempo con­tras­se­gnato da un movi­men­ti­smo cor­saro di dif­fi­cile defi­ni­zione sull’asse destra-centro-sinistra, ho l’impressione che quello di Renzi sia final­mente un posi­zio­na­mento stra­te­gico defi­ni­tivo e che si debba pren­derne atto sine ira ac stu­dio. Non c’è biso­gno di agi­tare il fan­ta­sma del soc­corso vero o pre­sunto, auto­nomo o con­cor­dato, di Ver­dini. Dif­fi­cile negare che la svolta ren­ziana non ponga il pro­blema dell’adeguata rap­pre­sen­tanza di un certo elet­to­rato di sini­stra altri­menti desti­nato a gon­fiare le fila degli asten­sio­ni­sti o a rifluire sui 5 stelle. Del resto, Renzi e più ancora taluni suoi bal­dan­zosi pre­to­riani non sem­brano ado­pe­rarsi per inclu­dere, sem­mai il con­tra­rio. Lo si può com­pren­dere: per un Pd così ripo­si­zio­nato certe istanze egua­li­ta­rie di sini­stra rap­pre­sen­tano un impiccio.
Terzo: uno dei punti di con­tra­sto interno al Pd in tema di legge elet­to­rale è quello rela­tivo al pre­mio alla lista anzi­ché alla coa­li­zione, come nella ver­sione ori­gi­na­ria. Non a caso. Il cam­bia­mento è inter­ve­nuto a valle della grande per­for­mance del Pd alle euro­pee (e, prima ancora, della rot­tura a sini­stra con Sel). Ora i son­daggi atte­stano che la sot­tesa pre­sun­zione di una quasi auto­suf­fi­cienza suona vel­lei­ta­ria. Ma sem­bra impro­ba­bile che Renzi rimetta mano all’Italicum. Nono­stante il rischio, impru­den­te­mente sot­to­va­lu­tato, di un bal­lot­tag­gio insi­dioso tra fronte ren­ziano e fronte del Tcr = tutti con­tro Renzi.
A meno che non inter­venga un fatto poli­tico di rilievo. Come appunto lo svi­luppo di una for­ma­zione poli­tica di una certa con­si­stenza alla sini­stra del Pd. Dichia­ra­ta­mente di sini­stra, con cul­tura di governo e infor­mata a un rifor­mi­smo forte. Essa non potrebbe certo cam­mi­nare sulle gambe di Lan­dini con il suo pan­sin­da­ca­li­smo o di qual­che sin­golo che ha lasciato il Pd. Dovrebbe sor­tire da un sog­getto col­let­tivo solido e plau­si­bile. A copro­muo­verla non potrebbe che essere l’attuale mino­ranza Pd o parte di essa. Penso a una sepa­ra­zione civile, senza ana­temi. Come presa d’atto di una dif­fe­renza poli­tica e pro­gram­ma­tica incom­po­ni­bile den­tro un mede­simo par­tito. Per­sino nel reci­proco inte­resse. Cioè ope­rata in modo da non esclu­dere, anzi dal pro­spet­tare future alleanze. Sì, un centro-sinistra con il trat­tino. Quel trat­tino che, da uli­vi­sta, in pas­sato con­tra­stai. Un’alleanza siglata prima o dopo il voto. In dipen­denza appunto del pre­mio asse­gnato dall’Italicum.
A Vel­troni, vor­rei dire che non deve con­vin­cere me che sini­stra sia una bella parola. Solo che reste­rebbe una mera parola se si pen­sasse di occul­tare dif­fe­renze e con­flitti poli­tici con la reto­rica con­cor­di­sta delle endiadi tipo innovazione-uguaglianza. Bob­bio e Foa, che egli evoca, sul punto sono assai meno ire­nici: inno­vare ok, ma è l’uguaglianza la cifra della sini­stra e delle sue poli­ti­che. Ciò che conta è il senso, la dire­zione del cam­bia­mento.
Dun­que ha ragione Renzi, quando osserva che non ser­vono micro­scis­sioni. Altra cosa sarebbe se si trat­tasse di un’operazione poli­tica di rilievo per quan­tità (diciamo, l’obiettivo di un par­tito a due cifre) e qua­lità, nella cul­tura e nel per­so­nale poli­tico. È ciò che da tempo teo­rizza e pro­pone Cac­ciari. Non lo fac­cio volen­tieri, ma temo di dover­gli dare ragione.

Fonte: il manifesto

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