di Roberto Fieschi
Del progetto americano per realizzare la bomba atomica durante
la Seconda guerra mondiale ormai si sa tutto o quasi. E’ bene non
dimenticare mai alcune date: il 16 luglio 1945, nel quadro del Progetto
Manhattan, a Los Alamos, nel deserto del Nuovo Messico, si realizzò la
prima esplosione nucleare sperimentale, un successo; il 6 agosto dello
stesso anno l’esplosione sulla città giapponese di Hiroshima, e tre
giorni dopo quella su Nagasaki. Ancor oggi il numero di bombe atomiche
nel mondo, nonostante sia stato avviato da anni il processo di disarmo, è
alto; secondo l’Istituto SIPRI circa 16 mila. In Italia si stima che vi siano da 20 a 40 bombe atomiche a Ghedi Torre e circa 50 ad Aviano, sotto il controllo degli Stati uniti.
E’
singolare che oggi oltre il 50% dei giovani giapponesi dichiarino di
non sapere che Giappone e Stati Uniti si sono scontrati in un sanguinoso
conflitto; quindi è improbabile anche che sappiano del massacro di
cinesi a Nanchino (1937-38) e che migliaia di donne della Corea occupata
siano state ridotte a schiave sessuali delle truppe del Sol Levante.
Contro
quest’amnesia generale, è importante ricordare una storia importante,
quella dei fisici tedeschi nella Germania nazista e dei progetti per
realizzare la bomba atomica. E’ la storia raccontata – sulla base di
nuovi documenti resi disponibili – dal volume di Philip Ball “Al servizio del Reich” pubblicato di recente da Einaudi (2015, 292 pp., 32 euro).
Durante
il nazismo due fisici illustri aderirono al regime e alla sua politica
razzista contro gli ebrei. Philipp Lenard, premio Nobel (1905) ormai
pensionato, fu aperto sostenitore dell’idea che il suo paese dovesse
appoggiarsi solo sul lavoro dei fisici tedeschi “ariani”, ignorando le
fallaci e ingannevoli idee proposte dai fisici ebrei, con riferimento
esplicito a Einstein e alla teoria della relatività. Per chiarire il suo
punto di vista affermò: “La scienza è internazionale? E’ falso. In
realtà la scienza, come ogni altro prodotto umano, e legata alla razza e
condizionata dal sangue”. Insieme a Johannes Stark (premio Nobel per la
fisica nel 1919) divenne la guida della fisica ariana sotto il regime.
La
grande maggioranza dei fisici tedeschi, quelli rimasti dopo le
epurazioni razziali, rifiutò di riconoscere valore scientifico alle
enunciazioni, peraltro confuse, della fisica ariana. Nemmeno il
regime nazista sostenne più che tanto Lenard e Stark; ma già aveva
decapitato la fisica tedesca, allora la più avanzata, con le leggi
razziali. Molti dei fisici ebrei che lasciarono la Germania, ironia
della sorte, contribuirono al progetto americano per realizzare la bomba
atomica.
Se Lenard e Stark fossero vissuti ancora qualche
decennio avrebbero potuto assistere al numero sorprendente di premi
Nobel assegnati a fisici ebrei: Otto Stern, Isidor Isaac Rabi, Felix
Bloch, Lev Davidovič Landau, Maria Goeppert-Mayer, Richard Philliphs
Feynman, Hans Albrecht Bethe, Murray Gell-Mann, Sheldon Lee Glashow,
Steven Weinberg, Leon Max Lederman, Melvin Schwartz, Jack Steinberger,
Jerome Isaac Friedman, David Morris Lee, David Gross, David Politzer,
Max Delbruck, Salvador Luria, Emilio Segre, e forse altri, oltre ad
Einstein.
La fisica ariana sparì da sola, più per la
propria inconsistenza che per la forza dei suoi oppositori, prima ancora
della fine della guerra. Altri fisici ebbero posizioni diverse, più
sfumate, verso il regime nazista: da una fuga dalle responsabilità per
rifugiarsi nelle proprie ricerche, a una adesione passiva al nazismo,
giustificata dal senso di patriottismo e di obbedienza all’autorità
dello stato.
Solo una esigua minoranza aderì al nefasto regime.
Pochissimi, all’interno della Germania, si opposero al nazismo; quasi
nessuno si dimise o emigrò per protesta nei confronti dell’espulsione
dei fisici ebrei dalle cariche pubbliche. La reazione della comunità
scientifica ai decreti razzisti che si abbatterono con violenza sui
fisici fu arrendevole; le rare espressioni critiche furono per il danno
alla cultura tedesca e alla sua reputazione internazionale, piuttosto
che per la violazione di valori morali, nonostante che, almeno fino allo
scoppio della guerra, i pericoli corsi da chi avesse dissentito non
fossero gravi.
Uno dei fisici che ricoprì per lungo tempo
posizioni della massima responsabilità nelle istituzioni scientifiche
tedesche fu un olandese, Peter Debye (Premio Nobel nel 1936);
Debye,presidente della Società tedesca di fisica, pressato dalle
autorità, almeno una volta cedette e firmò una lettera in cui chiedeva
le dimissioni dei membri ebrei della Società. Ma in genere, come molti
altri, si preoccupò soprattutto delle proprie ricerche non belliche e di
proteggere la propria carriera e la propria influenza. Quando, nel
1939, a guerra iniziata, lasciò la Germania, non fu per dissidi col
nazismo, ma perché si rifiutava di rinunciare alla cittadinanza
olandese. In seguito, negli Stati Uniti, collaborò alle ricerche
belliche, ma non ai progetti per la bomba atomica.
Max Planck, lo
scienziato che nel 1900 aprì la strada alla nuova fisica, era un
conservatore tradizionalista, pervaso da un senso del dovere civico
verso lo stato, anche verso lo stato nazista; la sua autorità
scientifica era indiscussa, ma, di fronte alla pretese dei nazisti, si
affliggeva e tergiversava. Caratterizzavano la personalità di Planck la
mitezza, la fiducia nelle istituzioni, la dedizione al dovere,
l’assoluta onestà. Nonostante ciò, egli fu uno dei molti scienziati
tedeschi che, nell’ottobre 1914, firmarono il famigerato Manifesto a
sostegno delle azioni militari tedesche; ebbe però il coraggio di
ritrattare pubblicamente in seguito, durante la guerra.
In seguito
alle leggi razziali, di fronte alla perdita del posto di molti
colleghi, ritenne che non avesse senso protestare, perché inutile. In un
colloquio con Hitler (maggio 1933) sostenne che sarebbe stato un danno
far emigrare ebrei del cui lavoro la scienza aveva bisogno, ma non
ricevette risposte rassicuranti. Planck morì nel 1947, vecchio e col
morale distrutto; aveva perso un figlio nella Prima guerra mondiale e un
altro figlio era stato ucciso dai nazisti dopo il fallito complotto (20
luglio 1944) per assassinare Hitler.
Werner Heisenberg, uno dei
fisici più brillanti dell’ultimo secolo, fondatore della meccanica
quantistica, condivideva il patriottismo di Planck e riteneva che la
speranza di rinascita dello spirito tedesco dopo l’umiliazione della
Prima guerra mondiale sarebbe venuta da un movimento che esaltava un
attaccamento romantico alla natura e al cameratismo. La sua famiglia era
benestante e militarista. Nell’ottobre 1933, dopo l’ascesa di Hitler al
potere, Heisenberg scrisse: “Adesso si stanno provando anche molte cose
buone, e le buone intenzioni vanno apprezzate”. L’anno seguente
firmò, come Debye, il giuramento di fedeltà alla persona di Hitler. Nel
suo campo di ricerca resistette alle crociate di Stark e Lenard, difese
la meccanica quantistica e la relatività, osando citare pubblicamente il
nome di Einstein e buscandosi per questo le reprimenda delle autorità.
Nella sua azione difensiva fu sostenuto da Heinrich Himmler, il capo
delle SS, aiutato in questo dalla madre, che aveva un buon rapporto con
la madre di Himmler. Ma durante la guerra Heisenberg si astenne dal
citare Einstein nelle conferenze che tenne per diffondere la cultura
tedesca nei territori occupati, e fu uno dei principali attori nei
progetti per realizzare la bomba atomica nazista.
Il libro di
Philip Ball ripercorre gli sviluppi di quegli anni. Nel dicembre 1938
Otto Hahn e Fritz Strassmann (giovane antinazista, al quale era stato
precluso ogni incarico accademico) scoprirono la fissione dell’uranio,
ossia la rottura del nucleo pesante, bombardato con neutroni, in due
nuclei di elementi di massa intermedia, pur senza capire chiaramente il
fenomeno. L’interpretazione corretta fu fornita, pochi giorni dopo, da
Lise Meitner (collaboratrice per molti anni di Hahn) e Otto Fritsch,
fisici austriaci fuggiti dalla Germania per sottrarsi alle leggi
razziali e in seguito ricercatori in Francia e negli Usa. Essi
mostrarono che nel processo di fissione venivano generati altri
neutroni, così da rendere possibile una reazione a catena con la
liberazione di un’energia enorme. Il resto della storia che portò al
Progetto Manhattan da parte degli Stati Uniti è ben noto: venne avviato
per contrastare la possibilità di una bomba atomica nelle mani del
regime nazista.
Nell’aprile 1939 due chimici tedeschi informarono
il Ministero della guerra della possibilità di sfruttare la fissione
dell’uranio per ottenere un esplosivo potentissimo. Dopo una prima,
immediata, riunione informale all’Università di Gottinga, l’Ufficio Armi
dell’esercito decise di convocare un gruppo di esperti per valutare le
azioni di intraprendere; venne così istituito l’Uranverein (Club
dell’uranio), che si riunì nel settembre, guidato dal fisico Kurt
Diebner: si decise che le ricerche su questa potenziale nuova fonte di
energia e di supremazia militare iniziassero subito.
Heisenberg
redasse un rapporto sulla fattibilità di ottenere energia dalla fissione
controllata dell’uranio anche per i motori di carri armati e
sottomarini (un reattore nucleare), e sostenne che, disponendo di
quantità sufficienti di U235, l’isotopo leggero dell’uranio, presente
nell’uranio naturale in piccola quantità (7 per mille) ma difficile da
separare dall’isotopo pesante (U238), si sarebbe potuto ottenere un
esplosivo di smisurata potenza. Ma i ricercatori tedeschi non riuscirono
mai a ottenere quantità significative di U235. Inoltre Heisenberg,
sbagliando i calcoli, aveva sopravvalutato di molto la quantità di U235
necessaria per la bomba, e questo risultato aveva allontanato la
prospettiva di realizzare l’ordigno.
In seguito si capì che da un
reattore si sarebbe potuto ottenere un nuovo elemento, il plutonio (Pu),
adatto per una bomba nucleare, ma i tedeschi non riuscirono a ottenerne
quantità significative. Il Plutonio fu il materiale impiegato dagli
americani nell’esplosione sperimentale del 16 luglio 1945 e nella bomba
di Nagasaki, il 9 agosto.
Buona parte delle ricerche tedesche si
concentrarono sulla costruzione di un reattore nucleare e si scelse,
come moderatore necessario per rallentare i neutroni, l’acqua pesante.
Nell’impianto di Gottow fu realizzato su piccola scala l’esperimento
G.III, che mostrò la generazione di un flusso intenso di neutroni dalla
fissione dell’uranio. Ma la più importante fonte disponibile di acqua
pesante, in Norvegia, fu distrutta dai partigiani nel febbraio 1943.
Così i progetti nucleari della Germania, sempre sotto-finanziati, furono
quasi abbandonati, visto che, a detta degli scienziati, non vi erano
prospettive di realizzazione che potessero portare contributi decisivi
alla guerra. Le distruzioni provocate dai bombardamenti alleati ne
accelerarono il fallimento.
Dopo la partenza di Debye per gli
Stati Uniti, alla presidenza della Società tedesca di fisica fu nominato
Carl Ramsauer, fisico industriale e nazionalista, ma non iscritto al
partito nazista. Egli riconobbe che la scienza aveva il dovere di
contribuire alla difesa della nazione e protestò con David Rust, capo
della divisione scientifica del Ministero dell’Istruzione, perché la
“fantasia della fisica ebraica” era stata così dannosa che la fisica
tedesca aveva perso la sua supremazia su quella americana. Più tardi
ottenne anche l’esenzione dal servizio militare attivo di molti fisici,
sostenendo che, mentre le forze armate avrebbero potuto fare a meno di
3000 uomini, 3000 fisici in più avrebbero forse potuto decidere le sorti
della guerra; ma dei 6000 scienziati che i nazisti cercarono di
richiamare dal fronte nel 1944, ne tornarono solo 4000, mentre altri
erano morti o introvabili. E la guerra era già praticamente persa.
Al
contrario, gli Stati Uniti nell’avviare il progetto Manhattan e lo
sviluppo del radar, avevano reclutato tutte le migliori menti
disponibili, inclusi gli scienziati tedeschi appena rifugiatisi
all’estero.
Quando, verso la fine della guerra, Heisenberg fu
catturato dagli alleati, nei primi colloqui si mostrò arrogante: si
sarebbe degnato di spiegare agli americani come costruire un reattore,
ma non poteva accettare di andare a lavorare negli Usa perché la
Germania aveva ancora bisogno di lui. In seguito insieme ad altri nove
fisici fu confinato, in Inghilterra, in una villa nota come Farm Hall;
la villa era piena di microspie che consentivano di conoscere le
discussioni che i prigionieri tenevano fra di loro. Quando vennero a
sapere dell’esplosione su Hiroshima, sulle prime Heisenberg si mostrò
incredulo, convinto ancora che gli scienziati tedeschi avessero una
superiorità sui rivali alleati. Solo Hahn ne fu tanto scosso che si
temette che volesse suicidarsi.
Venticinque anni dopo Heisenberg
sostenne che i fisici tedeschi avevano deliberatamente agito per
prevenire lo sviluppo della bomba atomica da parte della Germania, ma
tale tesi difensiva non è sostenibile alla luce dei fatti.
Dieci
anni dopo la fine della guerra Heisenberg, von Laue, Hahn, von
Weiszacker e altri coinvolti nei progetti atomici tedeschi furono tra i
promotori di una campagna contro le armi nucleari (il manifesto di
Gottinga). Ma dalla ricostruzione di Philip Ball in “Al servizio del Reich”
colpisce l’assenza, da parte della stragrande maggioranza dei fisici
tedeschi, di una riflessione morale sulla loro attività e sulle
responsabilità della Germania. Molti di essi non capivano nemmeno dove
fosse il problema. Fra le grandi personalità scientifiche (pochissime)
che non condivisero questo atteggiamento possiamo soltanto ricordare Max
von Laue.
Fonte: Sbilanciamoci
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