La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 4 marzo 2017

Oltre il concetto di Periferia-Centro per rigenerare le nostre città

di Alessio Conti
Una delle sfide che le principali città italiane dovranno affrontare nei prossimi anni, sarà quella di riuscire a ricucire il proprio tessuto urbano dal punto di vista urbanistico, economico e sociale; da nord a sud ciò che accomuna queste realtà è il crescere della distanza tra il centro e le periferie, spazi che non rappresentano distanze fisiche ma che si declinano in gap sociali, economici e infrastrutturali, fenomeni di marginalizzazione individuali e di piccole realtà ai quali si deve porre rimedio guardando al benessere della collettività e allo sviluppo economico sostenibile locale. In questo contesto le Istituzioni hanno un ruolo chiave per indirizzare il cambiamento che passa anche dal voler recuperare e svolgere quel ruolo di guida nei processi sociali di trasformazione urbanistica che gli è proprio.
Spesso le nostre città sono cresciute senza che una pianificazione urbanistica ne abbia guidato l’espansione territoriale la quale, di contro, si è plasmata per rispondere ad esigenze contingenti, economiche, territoriali, logistiche, speculative o di necessità. Nella maggior parte dei Comuni medio-piccoli italiani, con un picco che si riscontra nel periodo di boom economico degli anni ’70, l’urbanizzazione è avvenuta lungo le principali vie di comunicazione provinciali, costituendo un continuum abitativo dove centro e periferia si alternano e le città scorrono senza poter distinguere dove inizi l’una e finisca l’altra. Nelle città metropolitane, Roma fra tutte, laddove per decenni sono mancati gli strumenti di pianificazione ordinaria (il piano regolatore ad esempio) la periferia è nata in forma diffusa con insediamenti sparsi nel territorio, dal nulla sono nati interi quartieri, molti dei quali tuttora privi di servizi locali e d’infrastrutture viarie, mentre le aree che un tempo ospitavano fabbriche ed opifici ed erano collocate ai margini della città ora costituiscono archeologia industriale situata all’interno del tessuto urbano: recuperare queste fratture è una delle sfide che le Istituzioni devono affrontare per ricucire i territori e dar loro un ruolo e nuove funzioni poste in un disegno più grande che, appunto superi il dualismo centro-periferia.
Tuttavia, urbanistica e pianificazione territoriale non sono le uniche leve su cui agire. Se con gli strumenti di pianificazione, pur postumi, si può prendere atto dell’esistente e creare programmi di intervento per dotare, ad esempio, i quartieri delle opere mancanti e delle infrastrutture viarie o attuare interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, resta un altro tema complementare da affrontare relativo ad investire con forza sulla ricucitura del tessuto sociale, lacerato dalla crisi economica e dalla percezione diffusa di chi abita le zone di cintura di essere esclusa dai processi di vita cittadina.
L’aumento nelle città metropolitane dei prezzi delle abitazioni, la crisi economica che ha causato la perdita di numerosi posti di lavoro, la contrazione dei mutui erogati dalle banche, hanno fatto si che molte persone abbiano cercato al di fuori dei centri urbani i luoghi dove vivere. Luoghi lontani, in una periferia estrema o addirittura in paesi limitrofi, con il rischio di trovarsi nell’ambigua situazione di non sentirsi neanche più cittadini: infatti spesso il luogo di lavoro è lontano e difficile da raggiungere, per colpa del traffico congestionato o per l’inefficienza del trasporto pubblico locale, e al termine della giornata si ha solo voglia di tornare alle propria abitazione, stanchi dopo un lungo viaggio e senza tempo per socializzare, dove la casa stessa diventa luogo dormitorio e camera di compensazione delle tensioni familiari. Questa realtà, nella sua drammaticità, è vissuta da un numero sempre più grande famiglie e singoli individui; il fenomeno è concentrato soprattutto nelle località che, non solo in passato, sono state frutto di un’espansione irregolare e anche in quelle prodotte da Piani di Zona e da interventi programmati da Amministrazioni incapaci poi di portare gli adeguati servizi e le necessarie infrastrutture.
Abusivismo e fallimento degli strumenti di pianificazione sono elementi che, in passato e tuttora oggi, contribuiscono all’alienazione dei cittadini nelle moderne metropoli, insieme al crescente individualismo, che in maniera preponderante caratterizza sempre di più le relazioni umane e alla crisi economica, che crea nuovi poveri e aumenta l’esclusione sociale. La socialità è l’elemento più facile da perdere in queste realtà: lo spirito di stare insieme e di essere comunità non trova, infatti, spazi nei tempi veloci della metropoli e nei “non luoghi” degli insediamenti urbani periferici.
Uscire da questa impasse è possibile ma ci vogliono interventi coordinati che, intanto, superino il concetto stesso di periferia, cancellando un termine che deve uscire dal vocabolario di chi amministra e pianifica. Occorre iniziare a ripensare gli aggregati urbani come rete di relazioni umane, di infrastrutture, di luoghi dove mitigare i conflitti e fare sintesi di idee e proposte, una rete dove tutto funziona solo se le singole maglie tengono. In questo quadro vanno posti in essere interventi di rigenerazione urbana, non realizzando nuove abitazioni ma riqualificando e trasformando a seconda delle esigenze della città quanto già costruito, collegando quartieri con la mobilità pubblica e facendo investimenti sulle infrastrutture, anche tecnologiche e di cablaggio digitale perché queste fungano da volano per lo sviluppo economico e facilitino il sistema di relazioni, senza dimenticare i servizi pubblici di base e i luoghi di aggregazione, centrali nel recupero della socialità persa. La tutela del patrimonio verde e la sostenibilità ambientale delle scelte di pianificazione sono altri punti su cui investire, insieme alla tenuta idrogeologica delle aree a rischio, puntando a realizzare una città resiliente capace di resistere agli shocks naturali che sempre più frequentemente si abbattono incidendo negativamente nella vita di chi le abita.
Per raggiungere questi obiettivi le Istituzioni devono tornare protagoniste e utilizzare al meglio le opportunità che vengono offerte dalla costituzione delle città metropolitane, dove i fenomeni sono più accentuati, definendo un assetto istituzionale che vada oltre i confini e le competenze delle vecchie Province, che abbia il coraggio di presentare una suddivisione del territorio che, nel valorizzare le singole vocazioni, le sappia declinare creando sinergie tra i diversi Comuni. L’obiettivo vero cui tendere è quello di definire nell’area vasta, zone omogenee per caratteristiche ambientali, culturali, economiche, territoriali, sociali, promuovendo al contempo l’esercizio aggregato delle funzioni amministrative dei singoli Comuni per puntare ad un sistema policentrico, dove ogni parte, ogni unione di Comuni, ogni zona ha un ruolo specifico, porta un contributo, costituisce un pezzo indispensabile ed unico del puzzle che noi chiamiamo Città metropolitana.
Qui la parola “periferia” non ha più senso, perché nulla è più ai margini ma tutti sono parte di un sistema, di una rete di funzioni ed opportunità, che recupera efficienza amministrativa, che mitiga e media i conflitti sociali, che valorizza le vocazioni dei territori e tutela l’ambiente, e che favorisce uno sviluppo infrastrutturale ed economico ordinato attraverso la programmazione strategica e territoriale. In questo contesto il cittadino vivrebbe una piena cittadinanza, parteciperebbe alle decisioni strategiche e sarebbe protagonista del percorso di cambiamento, sviluppando al contempo un senso di appartenenza, recuperando quella centralità che molto spesso è stata considerata alla “periferia” delle priorità politiche-amministrative.

Fonte: MicroMega online 

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