La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 2 marzo 2017

Lo straniero, il nome dell’uomo. Psicoanalisi e forme dell’alterità

di Giancarlo Ricci e Alberto Russo
“Lo straniero, il nome dell’uomo” è il sesto numero di “Lettera. Quaderni di clinica e cultura psicoanalitica”, rivista monografica che punta a cogliere l’incidenza della psicoanalisi nella complessità della nostra epoca, interrogando la società, la cultura, i legami sociali, le forme dell’attuale disagio della civiltà. Ideati e promossi dall’Associazione Lacaniana Italiana di psicoanalisi, i numeri precedenti hanno trattato temi quali i legami e l’inconscio, psicoanalisi e legge, Joyce e la sublimazione, cura e soggettivazione, debito, economia e desiderio. Il titolo monografico di questo numero, Lo Straniero, il nome dell’uomo, intende proporre la parola Straniero come una metafora capace di aprire un’ampia irradiazione di sensi e ibridazioni. È una metafora che chiama in causa sia il piano soggettivo sia quello sociale e storico, e che si svolge a partire dal contributo concettuale della psicoanalisi.
La psicoanalisi è sorta infatti quale interrogazione sull’inconscio inteso come «continente straniero» che da sempre ci abita.
Senza dubbio la parola straniero si espande nell’attualità con toni tragici, epocali, imprevedibili. Sollecita un’urgenza che non proviene più dai margini, più o meno remoti, dell’Occidente, ma che si insinua prepotentemente nel cuore stesso della civiltà. A ben analizzare, sono parecchi i motivi che spingono a constatare che la «nostra» civiltà ormai risulta straniera a se stessa, e pertanto straniera agli individui che la abitano, a noi stessi. Possiamo azzardare che l’inconscio – l’inconscio freudiano e lacaniano – rimane permanentemente quella regione sconosciuta che alberga in ogni soggettività e che è anche all’opera, silenziosamente, negli ambiti sociali, relazionali e istituzionali. È una regione feconda, ricca di incontri e di connessioni inedite.
Il titolo del volume riprende una frase decisiva che il linguista Jean-Claude Milner utilizza nel suo testo, che apre il volume: «lo straniero è il nome dell’uomo», perché l’uomo è un essere parlante. Ossia, lo statuto umano è attraversato da un duplice versante: il soggetto in quanto straniero a se stesso, e il soggetto costretto a confrontarsi costantemente con l’Altro e con altri, irrimediabilmente stranieri. Il piano soggettivo e quello sociale s’intersecano e si mescolano. Viviamo in un’epoca di sconvolgimenti epocali e geopolitici, di migrazioni ed esodi che rilanciano il problema dell’identità, dell’appartenenza, della complessità di un’effettiva integrazione. Si tratta di figure di diverse alterità che permangono nel cuore della nostra epoca, nella rete dei legami e dell’organizzazione sociale, e che si muovono lungo scenari imprevedibili. 
Con i suoi contributi, questo Quaderno cerca di introdurre orizzonti e prospettive differenti. Parlare dello Straniero non guarisce dallo Straniero, non ci sana e nemmeno ci salva da quell’alterità con cui non possiamo smettere di convivere. È questa la cifra fondamentale che emerge dai Materiali, sezione di apertura del Quaderno costituita dal testo citato di Milner (trascrizione di una sua conferenza del 2015) e da un testo dello psicoanalista Fethi Benslama. Si tratta di due interventi che mostrano l’esistenza della possibilità di coniugare in modi politici e sociali differenti il complesso binomio identità-alterità. Milner esplora l’etimologia e la storia del termine straniero tracciando dapprima una sorta di mappa semantica nelle relazioni tra i tre termini latini hospes (ospite), hostis (nemico) e hostia (vittima sacrificale), e indagando poi diversi modi in cui si può interpretare il termine greco xenos. Benslama si concentra invece sull’attuale mito identitario del musulmano, rileggendo il concetto di «servitù identitaria» alla luce della condizione in cui si trovano oggi tutti i cittadini nati nella tradizione dell’Islam, obbligati a rispondere a un’identità predefinita imposta loro a livello sociale. 
La sezione L’inconscio lo straniero s’inoltra nel cuore del tema. Le forme dell’alterità costituiscono i modi con cui il soggetto si confronta con la logica dell’inconscio. Il tema dell’Altro, come evidenzia il contributo di Angelo Villa, risulta fondante per situare lo statuto dello straniero. Ne va di un’estraneità costitutiva senza la quale ogni idealità deraglia. Lo Straniero non è immediatamente riconoscibile, suggerisce l’intervento di Giancarlo Ricci, al punto che l’intero sistema sociale pare oggi orientarsi verso un’economia della fobia che crea un soggetto atomizzato, coatto al consumo, schivo di relazioni e legami sociali. Nella dimensione tragica dell’esilio e della derelizione si addentra la riflessione di Pier Giorgio Curti; sullo sfondo, come una ferita sempre aperta, le immagini dei migranti che annaspano a pochi metri da una riva sicura. Di fronte a questi scenari, in quest’epoca di transizione, secondo lo psicoanalista di origine argentina Aldo Becce, la psicoanalisi non può che perdere la purezza delle origini e meticciarsi, per ritrovare forme e modalità nuove che consentano una reinvenzione. 
La sezione centrale Il sintomo, il sociale, l’alterità interseca diverse dimensioni. Lacan, affermando che «il sintomo è il sociale», getta un ponte tra il soggettivo e il collettivo, tra l’individuo e il sociale. L’intervento di apertura di Jean-Pierre Lebrun situa l’istanza dell’alterità e della sua struttura: se non viene più collocata al «suo posto», l’alterità produce un effetto di vacillamento dell’identità stessa, vacillamento che si rispecchia, a un livello più ampio, nell’ambito della politica e del sociale. Il concetto stesso di democrazia è allora fortemente chiamato in causa. 
In questa direzione si muove il contributo di Alberto Russo, una dettagliata lettura della questione del terrorismo, della sua logica, dei fantasmi che esso mette in scena. L’analisi esplora gli effetti mediatici di questa azione che, al di là di un’effettiva progettualità, riesce a porre i media nella posizione ambivalente di strumento di propagazione del terrore e di filtro addomesticante, per gestirne l’eccesso spaventoso e crudele. Il paradosso, che ha il sapore di una tragica beffa, emerge silenzioso: la visibilità e la riconoscibilità dello straniero risulterebbero delle evidenze che non lasciano dubbi; eppure, c’è qualcosa che sfugge alla cattura delle immagini e alla gestione dell’immaginario. Lo Straniero continua a sfuggirci, non si lascia riconoscere là dove crediamo di vederlo. Lo riconosciamo ma non lo conosciamo. Del resto i discorsi mediatici fanno di tutto per saturare la parola straniero riempiendola di immagini, figure, stereotipi, quasi nel tentativo di depotenziare e anestetizzare l’enigma inquietante che essa porta con sé. Il tentativo è di circoscrivere lo straniero, di neutralizzarlo situandolo in un luogo (materiale ma anche mentale e immaginario) in cui poterlo contenere, isolare, tenere a distanza. Le sue figure sono portatrici di sciagure, predazioni, soprusi. Questo straniero, questo «più-che-straniero» come lo definisce Milner, oggi è rappresentato con l’abito integrale dell’abietto per meglio governare i poteri dell’orrore. 
Infine L’altra lingua, l’altra logica: sezione che affronta la questione dell’alterità sul terreno della lingua eccentrica, sconosciuta, radicalmente straniera, nelle sue implicazioni poetiche e filosofiche. Massimo Recalcati, seguendo le linee programmatiche del suo lavoro su Lacan, introduce alcune riflessioni intorno all’urgenza di rifondare la lingua della psicoanalisi, di mantenerla viva impedendone la codificazione scolastica, pratica che rischia sempre di degenerare in una trasmissione ingessata del sapere, in cui l’inconscio viene messo a tacere. L’alternativa all’esclusione dell’inconscio – scrive Recalcati – sarà allora quella della sua ospitalità, della sua accoglienza. Si tratta di un movimento di apertura che riguarda innanzitutto gli psicoanalisti e la psicoanalisi […]. In sintesi estrema, si tratta di accogliere l’inconscio come eccedenza, di dare “accoglienza del femminile”. Ci si deve incamminare, come suggeriva anche Lacan, in una direzione opposta a quella della compattezza identitaria». Prosegue Recalcati: «Piuttosto si tratta, ancora una volta, di mettere in movimento “un’altra logica”. Di nuovo risorge il problema della lingua, di un’altra lingua per la psicoanalisi. “Come scrivere tutto questo?”, si chiedeva Fachinelli. Come, dunque? Come dare figura all’eccedenza irraffigurabile del femminile? All’ospite che ci attraversa? 

Fonte: lavoroculturale.org 

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