La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 9 ottobre 2015

Legge di stabilità a misura di ricco

di Fabio Veronica Forcella
Sono ore fre­ne­ti­che per i tec­nici del mini­stero dell’Economia (Mef), da giorni alle prese con le coper­ture dispo­ni­bili per la ridu­zione delle tasse pro­messa, a più riprese, dal pre­si­dente del Con­si­glio. Il pro­blema più com­pli­cato adesso, secondo indi­scre­zioni, sarebbe anche quello legato all’equità delle misure.
Per­ché, una cosa è certa. Nella pros­sima Legge di Sta­bi­lità il taglio delle tasse, sia quello sulla prima casa, sia quello sulle imprese, rischia di essere pro­fon­da­mente ini­quo.
Quello che a via XX Set­tem­bre vor­reb­bero evi­tare è che i bene­fici mag­giori inte­res­sino quasi esclu­si­va­mente le classi sociali più abbienti — nel caso del pos­si­bile taglio o abo­li­zione della Tasi, la tassa sulla prima casa -, e le grandi imprese, con il taglio di un punto per­cen­tuale dell’Ires, l’imposta sul red­dito delle società, isti­tuita nel 2004 dal governo Ber­lu­sconi.
Il pre­mier vor­rebbe a tutti i costi anti­ci­pare il taglio dell’Ires al 2016, ma il pro­blema al Mef sono le coper­ture e la soste­ni­bi­lità dei conti da por­tare a Bruxelles.
Dai cal­coli ela­bo­rati dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, l’associazione degli arti­giani sem­pre pronta con la cal­co­la­trice in mano tutte le volte che il governo annun­cia una nuova misura, si sco­prono pro­fonde iniquità.
Se nella pros­sima mano­vra verrà abo­lita la tassa sulla prima casa per tutti (le fami­glie che potreb­bero bene­fi­ciare di que­sta abo­li­zione sono circa 19 milioni), i van­taggi mag­giori saranno — ovvia­mente — per chi pos­siede una villa, un castello o anche solo un appar­ta­mento signo­rile nel cen­tro sto­rico di una grande città.
Infatti, se per i pos­ses­sori delle abi­ta­zioni resi­den­ziali di cate­go­ria A2, il “taglio” sarà di circa 227 euro l’anno, e per gli alloggi popo­lari di cate­go­ria A3, di 120 euro, quelli che avranno un bene­fi­cio ben più grande, saranno pro­prio i pos­ses­sori di una abi­ta­zione di tipo signo­rile o di una villa, con un “regalo” che si aggira intorno ai 1.830 euro l’anno.
Per non par­lare dei pro­prie­tari di castelli, che potranno godere di un rispar­mio che la Cgia di Mestre ha cal­co­lato vicino ai 2.300 euro. Anche per que­sto, forse, per­fino il governo Ber­lu­sconi, quando inter­venne sull’Ici, tenne fuori dall’abolizione que­sti ultimi tipi di “abitazione”.
È impor­tante sot­to­li­neare, inol­tre, che — come già avvenne l’anno scorso con il bonus degli 80 euro in busta paga, che esclu­deva chi un lavoro non lo aveva — rimar­reb­bero fuori tutti quei con­tri­buenti che non pos­seg­gono alcun immo­bile. Un det­ta­glio non da poco.
La stessa dispa­rità di trat­ta­mento la si riscon­tra ana­liz­zando i dati rela­tivi all’ipotetico taglio di un punto per­cen­tuale dell’Ires, la tassa sul red­dito delle società, che Mat­teo Renzi, nel corso della tra­smis­sione In mezz’ora, ha annun­ciato di voler abbas­sare gra­dual­mente già dall’anno prossimo.
L’intervento inte­res­serà sola­mente il 12% delle imprese ita­liane e, anche in que­sto caso, i van­taggi mag­giori riguar­de­ranno le grandi società e le mul­ti­na­zio­nali. E in un paese sto­ri­ca­mente carat­te­riz­zato da un tes­suto impren­di­to­riale fatto all’85% da pic­cole e medie imprese, non si può certo soste­nere che la misura sia equa.
Tenendo conto che le società inte­res­sate dalla misura sono circa 620 mila e che gli utili sono tas­sati con un’aliquota al 27,5%, gli arti­giani di Mestre hanno cal­co­lato che ogni punto di ridu­zione dell’aliquota Ires con­sen­ti­rebbe alle società di capi­tali e ai grandi gruppi di società di pagare com­ples­si­va­mente 1,2 miliardi di euro in meno di tasse l’anno.
Ma anche tra le grandi imprese, si regi­strano dif­fe­renze signi­fi­ca­tive. Se il taglio di un punto per­cen­tuale di Ires per le società di capi­tali signi­fica rispar­miare 1.232 euro, per cia­scun gruppo di società (società finan­zia­rie e di inve­sti­mento, società con­trol­late e col­le­gate, etc.), il bene­fi­cio fiscale sarebbe molto più con­ve­niente: ben 137.889 euro.
Una dispa­rità messa in evi­denza da Paolo Zabeo, respon­sa­bile dell’Ufficio studi della Cgia che sot­to­li­nea come con il taglio dell’Ires pro­messo da Renzi «i van­taggi fiscali andreb­bero pre­va­len­te­mente alle grandi imprese». Al con­tra­rio, una ridu­zione dell’Irap coste­rebbe di più, ma inte­res­se­rebbe tutte le imprese, anche quelle più pic­cole come le ditte indi­vi­duali o le società di per­sone. Un inter­vento che vale circa 4 miliardi di euro, ma che lo stesso Zabeo non esita a defi­nire «più giu­sto e più equo».
Forse, anche per que­sto, il pre­si­dente di Con­fin­du­stria, Gior­gio Squinzi, ha mostrato molta pru­denza nel com­men­tare la noti­zia. E non solo per­ché vuole vedere se effet­ti­va­mente il taglio dell’Ires sarà già nella pros­sima Legge di Sta­bi­lità, come enne­simo regalo del governo Renzi alle grandi imprese, ma anche per non sca­te­nare imme­diate rea­zioni dal mondo della micro, pic­cola e media imprenditoria.

Fonte: il manifesto 

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