La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 ottobre 2015

Stop Ttip, senza se e senza ma

di Marco Bersani
Men­tre leg­gete que­ste righe, oltre 500.000 per­sone stanno sfi­lando per le strade di Ber­lino per chie­dere un deciso stop al Ttip, il trat­tato di libero scam­bio, che, da oltre due anni, Stati Uniti e Unione Euro­pea stanno nego­ziando nelle segrete stanze. La mani­fe­sta­zione di Ber­lino inau­gura una set­ti­mana di mobi­li­ta­zioni in tutte le città d’Europa, accom­pa­gnate dalla con­se­gna all’Unione euro­pea di oltre 3,2 milioni di firme di cittadini.
Si apre una fase deci­siva per quello che si pro­fila come il più grande trat­tato di libero scam­bio del pia­neta, non­ché il nuovo qua­dro legi­sla­tivo glo­bale, cui tutti, volenti o nolenti, dovranno conformarsi.
La pres­sione delle mul­ti­na­zio­nali e dei governi spinge per­ché si arrivi ad una bozza di accordo prima che negli Stati Uniti inizi la cam­pa­gna elet­to­rale delle pre­si­den­ziali (pre­vi­ste nel novem­bre 2016), e la recente appro­va­zione dell’omologo nego­ziato sul ver­sante Paci­fico (TPP) ha gal­va­niz­zato le truppe di quanti vogliono tra­sfor­mare lo stato di diritto in stato di mer­cato e rea­liz­zare l’utopia delle mul­ti­na­zio­nali: unico faro della vita eco­no­mica, poli­tica e sociale devono essere i pro­fitti, cui vanno sacri­fi­cati tutti i diritti del lavoro e sociali, i ser­vizi pub­blici, i beni comuni e la democrazia.
L’aspetto più para­dos­sale è che tutto que­sto por­terà, secondo le stime più rosee, pro­pa­gan­date dalla stessa Com­mis­sione Euro­pea, van­taggi eco­no­mici ridi­coli: +0,48% del Pil in Europa e + 0,39% negli Usa a par­tire dal 2027 (!!).
Come abbiamo visto con la costru­zione ideo­lo­gica della trap­pola del debito pub­blico, anche il TTIP per­se­gue il mede­simo scopo: cri­stal­liz­zare le poli­ti­che di auste­rity ren­den­dole defi­ni­tive, quali nuove colonne d’Ercole insu­pe­ra­bili da nes­suna ipo­tesi di tra­sfor­ma­zione della società.
Le enormi masse di denaro accu­mu­late sui mer­cati finan­ziari in que­sti decenni hanno strin­gente neces­sità di essere inve­stite in nuovi mer­cati: da qui la dra­stica ridu­zione dei diritti sul lavoro, da qui la neces­sità di tra­sfor­mare in merci i beni comuni, costruendo busi­ness ideali, per­ché rego­lati da tariffe e flussi di cassa ele­vati, pre­ve­di­bili e sta­bili nel tempo, con titoli ten­den­zial­mente poco vola­tili e molto gene­rosi in ter­mini di divi­dendi. Un ban­chetto per­fetto.
Ma con un pro­blema: l’applicazione delle poli­ti­che di auste­rity, paese per paese e governo per governo, suscita ribel­lioni e mobi­li­ta­zioni desti­nate ad aumen­tare nel tempo e a deter­mi­nare pos­si­bili cam­bia­menti nel qua­dro poli­tico, ren­dendo insta­bile l’intero con­ti­nente europeo.
Il TTIP serve esat­ta­mente a que­sto scopo: a de-storicizzare le poli­ti­che libe­ri­ste, tra­sfor­man­dole nel nuovo qua­dro giu­ri­dico ogget­tivo, all’interno del quale pos­sono senz’altro con­vi­vere tutte le opzioni poli­ti­che pos­si­bili, a patto che non lo rimet­tano in discussione.
Per troppo tempo abbiamo con­si­de­rato scon­tato il bino­mio liberismo/democrazia (per quanto for­male). Vale la pena ricor­dare come l’atto di nascita del labo­ra­to­rio libe­ri­sta, dive­nuto mon­diale, sia stato il Cile di Pino­chet: allora furono schie­rati i carri armati, oggi migliaia di titoli d’investimento. In entrambi i casi con un unico obiet­tivo: le nostre vite.
Pre­ten­dono il TTIP per­ché li abbiamo scon­fitti per più di vent’anni, fer­mando il Mai (Accordo Mul­ti­la­te­rale sugli Inve­sti­menti), il Wto (Orga­niz­za­zione Mon­diale del Com­mer­cio) e la diret­tiva euro­pea Bol­ke­stein. A tutte e tutti noi il com­pito di dimo­strare che, ancora una volta, hanno fatto male i conti.

Fohte: il manifesto 

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