La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 8 ottobre 2015

Il neopopulismo di governo

di Aldo Carra
Il pae­sag­gio poli­tico ita­liano si sta ridi­se­gnando sem­pre di più attorno alla figura del pre­si­dente del Con­si­glio. Più che par­lare di regime auto­ri­ta­rio si potrebbe par­lare di ren­zime demo­cra­tico, una forma nuova di inte­gra­zione tra popu­li­smo, comu­ni­ca­zione e governo che supera la tra­di­zio­nale distin­zione tra destra e sini­stra, ma con­ser­vando uno zoc­colo duro nel popolo di sini­stra da cui nasce, un popu­li­smo di nuova gene­ra­zione che rimo­della sistema poli­tico e com­pe­ti­tors.
Di popu­li­smi ne abbiamo avuti e ne abbiamo tanti oggi in Europa. In genere essi si col­lo­cano a destra dall’opposizione e a que­sto modello si ispira la Lega. Ma in Ita­lia ne abbiamo par­to­rito altri.
Anche il M5S si è affer­mato gra­zie a un forte popu­li­smo anti­si­stema, ma con alcune novità impor­tanti: una forte attra­zione nel popolo di sini­stra su temi come la par­te­ci­pa­zione, l’ambiente, la mora­liz­za­zione della poli­tica, una inno­va­tiva capa­cità di comu­ni­ca­zione e di spet­ta­co­la­riz­za­zione della poli­tica e del rap­porto con i cittadini.
M5S e Lega nascono, comun­que, come forze anti­si­stema ed esterne al sistema dei par­titi sto­rici.
Il neo­po­pu­li­smo ren­ziano si pre­senta, invece, con due pecu­lia­rità: nasce come forza di governo, anzi solo per gover­nare (non potrebbe esi­stere senza); nasce come rottura/evoluzione/trasformazione dall’interno di un par­tito, anzi dell’ultima forza poli­tica sto­rica orga­niz­zata.
Adesso che, a metà legi­sla­tura e col com­ple­ta­mento delle riforme, si sta con­clu­dendo la prima fase di que­sta espe­rienza, può essere utile ana­liz­zare i prin­ci­pali filoni che ne hanno ispi­rato l’azione.
Il filone anti­ca­sta. Dopo quanto emerso a par­tire dall’omonimo libro, la lotta con­tro la casta era stata il prin­ci­pale cavallo di bat­ta­glia del M5S. Un tema così pre­gnante non poteva non essere caval­cato e così è stato: due tra le più impor­tanti modi­fi­che del nostro assetto isti­tu­zio­nale — Pro­vince e Senato — sono state affron­tate uti­liz­zando come moti­va­zione prin­ci­pale la neces­sità di ridurre gli eletti, la casta. Non si è com­piuta una ana­lisi delle fun­zioni e dei livelli isti­tu­zio­nali pro­li­fe­rati, dai muni­cipi delle grandi città, ai comuni, alle comu­nità mon­tane, alle pro­vince, alle regioni, per ristrut­tu­rarli in un dise­gno orga­nico, ma si è scelta la via della sem­pli­fi­ca­zione eli­mi­nando gli organi elet­tivi e dando vita in ambe­due i casi ad orga­ni­smi pastic­ciati e pres­so­ché inu­tili. La chiave con­tro la casta e i costi della poli­tica è stata fon­da­men­tale ed è ser­vita a accre­scere la con­cen­tra­zione dei poteri nell’esecutivo.
Il filone gover­na­bi­lità. Stret­ta­mente con­nesso a que­sto pro­cesso è il modello elet­to­rale deli­neato con lo slo­gan «sapere la sera delle ele­zioni chi ha vinto», pro­blema appena sen­tito dall’opinione pub­blica ed esa­spe­rato volu­ta­mente per far pas­sare un modello che cozza con la nostra cul­tura costi­tu­zio­nale e con l’equilibrio tra rap­pre­sen­tanza e governabilità.
Si è nasco­sta, così, die­tro al mes­sag­gio della gover­na­bi­lità, la sostanza di accen­tra­mento nelle mani di una sola per­sona dei poteri deci­sio­nali e di nomina senza con­trap­pesi. Una scelta gra­vis­sima e carica di rischi futuri che asse­gnerà il 55% dei seggi a un par­tito che avrà il con­senso del 30% dei votanti e del 15% degli elet­tori pas­sata col con­senso della mino­ranza di sini­stra che, di fronte a tanta gra­vità, si tra­stul­lava con le preferenze.
Il filone anti­pri­vi­legi. Anche la lotta ai pri­vi­legi non poteva non essere un cavallo di bat­ta­glia del neo­po­pu­li­smo. Spo­stando il con­cetto di pri­vi­le­gio dagli strati sociali ric­chi a tutti coloro che stanno meglio degli ultimi, si è arri­vati ad addi­tare come pri­vi­le­giati quelli che hanno un lavoro tute­lato a fronte dei tanti pre­cari e disoc­cu­pati. Tutto que­sto per arri­vare a col­mare l’ingiustizia eli­mi­nando l’articolo 18 a vita per i nuovi assunti. Un caso esem­plare di eli­mi­na­zione di una ingiu­sti­zia per alcuni eli­mi­nando la giu­sti­zia per tutti.
Il filone anti­bu­ro­cra­zia. A que­sto filone, anch’esso molto sen­tito dalla popo­la­zione, si è ispi­rata la cosid­detta riforma della pub­blica ammi­ni­stra­zione che ha par­to­rito finora solo slo­gan e bana­lità ele­vati a prin­cipi, ma tanto basta per far sfo­gare sui fan­nul­loni il males­sere dei cit­ta­dini. Anche la riforma della scuola con la con­cen­tra­zione di poteri nei pre­sidi pro­mossi a mana­ger per decreto, si col­loca in que­sto filone.
Il filone anti­spre­chi. E’ stata caval­cata con nomine e con­tro­no­mine la ridu­zione della spesa pub­blica ed enti locali e sanità sono stati addi­tati come i respon­sa­bili da dare in pasto all’opinione pub­blica. Con­se­guenze imme­diate: gli enti locali depe­ri­scono e tas­sano di più i cit­ta­dini. Con­se­guenze future: alcune ana­lisi saranno rese più dif­fi­cili a meno di non pagar­sele, chi può.
Il filone distri­bu­tivo. Casta, pri­vi­legi, buro­cra­zia, spre­chi: fin qui niente di diverso dagli altri popu­li­smi. Ma trat­tan­dosi di neo­po­pu­li­smo di governo si sono potuti atti­vare anche altri canali.
Uno in chiave com­pen­sa­tiva nella scuola: a con­di­zione che accet­tas­sero sedi lon­tane e la nuova orga­niz­za­zione si è offerta la siste­ma­zione a una parte dei pre­cari. Altri in chiave distri­bu­tiva: gli 80 euro, i con­si­stenti finan­zia­menti alle imprese che tra­sfor­mano i pre­cari in sta­bili per tre anni e adesso la pro­messa di detas­sare le prime case rien­trano in que­sto filone. Gio­cati al momento oppor­tuno per far pas­sare prov­ve­di­menti indi­ge­sti e soprat­tutto nei tempi giu­sti essi costi­tui­scono l’altra fac­cia delle poli­ti­che ren­ziane. Natu­ral­mente non si tratta di una redi­stri­bu­zione volta a ridurre le disu­gua­glianze: se gli 80 euro sono andati ai red­diti medio bassi, gli incen­tivi sono andati alle imprese e la detas­sa­zione della casa favo­rirà i ric­chi. Gli effetti eco­no­mici con­creti saranno dif­fi­cili da cal­co­lare, ma i con­sensi elet­to­rali facili da raccogliere.
Da que­sta sche­ma­tica rivi­si­ta­zione delle poli­ti­che del governo emerge una stra­te­gia che ha una sua orga­ni­cità e che risponde a una visione.
Così il nostro paese si sta tra­sfor­mando in un deserto nel quale cre­scono solo varietà diverse di una stessa pianta — il popu­li­smo — tutte ger­mo­gliate da un ceppo ori­gi­na­rio, il ber­lu­sco­ni­smo, che sta malin­co­ni­ca­mente rinsecchendosi.
In que­ste con­di­zioni ambien­tali stiamo svol­gendo un dibat­tito ampio sulla sini­stra e sul suo futuro. In pre­senza di due popu­li­smi di oppo­si­zione e di uno di governo il com­pito non è affatto facile. E forte può essere la ten­ta­zione di impor­tare le piante che cre­scono in altri paesi, o pro­vare a ripian­tare i semi originari.
Ma se que­sta è la situa­zione occorre ben altro. Dovremo sca­vare in pro­fon­dità, arri­vare alla sor­gente, rige­ne­rare il ter­reno, creare le con­di­zioni per­ché nuove piante attec­chi­scano e crescano.
E’ pro­ba­bile che incas­sate le riforme la prima fase ana­liz­zata si chiuda e se ne apra un’altra.
Essa dovrà fare i conti con una ripresa tanto strom­baz­zata quanto infe­riore a quella, pur fra­gile, dell’Europa. I pro­blemi finan­ziari ed eco­no­mici non potranno sem­pre essere rin­viati e molto dipen­derà dalla capa­cità di sini­stre e sin­da­cati di rimet­terli al cen­tro dell’agenda politica.
Se posso per­met­termi una sol­le­ci­ta­zione forse, dopo que­sta prima fase del nostro dibat­tito, dovremmo avviarne un’altra. Potremo seguire anche noi un filone refe­ren­da­rio per ten­tare di can­cel­lare alcune leggi e dovremmo farlo insieme, con­vin­cendo e costruendo unità e con­sensi. Ma non pos­siamo limi­tarci a que­sto. Penso che dovremmo aprire una nuova fase di discus­sione incen­trata for­te­mente sui con­te­nuti, per met­tere a punto un pre­ciso pro­gramma di governo rivolto a quella parte ampia della popo­la­zione che sta pagando il prezzo della crisi e soprat­tutto alle nuove generazioni.
Qui forse abbiamo qual­cosa da ripren­dere da quanto si muove in Spa­gna, in Gre­cia, in Gran Bre­ta­gna: in que­sti paesi le forze di sini­stra sono impe­gnate ad affron­tare il pro­blema del gover­nare e di come gestire da sini­stra una fuo­riu­scita dalle poli­ti­che di auste­rità.
Que­sto sì che sarebbe un metodo di lavoro da impor­tare per dare un nostro con­tri­buto ad una bat­ta­glia che non può che essere europea.

Fonte: il manifesto 

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