La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 19 settembre 2015

La nuova via della seta

di Riccardo Barlaam
Per una curiosa coincidenza della storia, appena qualche ora prima dell’arrivo di Barack Obama in Kenya, per il suo recente viaggio in terra d’Africa – ennesimo, ma vano tentativo di un presidente americano di rilanciare le relazioni commerciali tra Usa e quel continente – la formica operaia Cina annunciava un prestito di 12 milioni di dollari proprio al Kenya per la realizzazione di infrastrutture. Nel prestito sono compresi anche i soldi per il restauro dello stadio di Karasani, lo stesso che ha fatto da palcoscenico, a Nairobi, alla visita di Obama, il quale da quel prato ha lanciato il suo anatema contro la corruzione, madre di tutti i mali africani.
Nonostante le tante attese legate all’elezione del primo presidente afroamericano, Obama, nel suo primo mandato, non si è visto o quasi in Africa. Troppo occupato a fare i conti con la crisi economica internazionale, con il terrorismo, con l’uscita da Iraq e Afghanistan. Nel 2009, la Cina ha sorpassato gli Stati Uniti per volume di scambi commerciali con l’Africa.
Pechino, ironia della sorte, è diventato il primo partner economico del continente durante il mandato del primo presidente americano nero.
Nel 2013, al suo secondo mandato, durante il suo primo vero viaggio africano, Obama spiegò bene la sua visione sull’Africa: «Se vi sviluppate è un bene per noi». Questo vuol dire che non ci saranno guerre e che «voi comprerete i nostri iPad», disse agli studenti del campus di Soweto, in Sudafrica. Ma la gara con la Cina, ormai, è persa. E la politica americana in Africa punta su due pilastri: gli investimenti economici e la sicurezza, in termini di lotta al terrorismo e stabilizzazione.
Gli americani continuano a parlare, i loro programmi faticano a partire. Mentre i cinesi continuano instancabilmente a fare, progettare, far crescere la loro enorme ragnatela di relazioni economiche per quella che qualcuno ha già ribattezzato la nuova via della seta.
Solo con il Kenya, nell’ultimo anno, gli scambi commerciali di Pechino hanno raggiunto i 5 miliardi di dollari nel 2014. Con un aumento del 53% da un anno all’altro. Cinque volte di più degli scambi bilaterali tra Usa e Kenya.
Nel 2014 gli scambi commerciali tra Cina e Africa hanno raggiunto quota 222 miliardi di dollari, contro i 73 miliardi di zio Sam. Nonostante i tanti proclami e discorsi epici di Obama, non ci sono stati passi avanti rispetto ai suoi predecessori. Mentre sono bastati pochi anni alla Cina per diventare il primo alleato del continente. E le sue strategie sono completamente diverse da quelle dei vecchi partner coloniali. Il 70% degli aiuti cinesi all’Africa è legato alla realizzazioni di infrastrutture: noi vi diamo i soldi (una buona parte) e voi ci fate realizzare le strade, le autostrade, i porti, le ferrovie gli aeroporti, gli stadi, con la nostra tecnologia, le nostre aziende, i nostri ingegneri e architetti, la nostra manovalanza e le vostre materie prime.
Pochi mesi fa la Cina ha siglato un grande programma di infrastrutture con l’Unione africana (Ua), destinato a legare tra loro le capitali africane con autostrade, treni ad alta velocità e linee aeree interne. «È il progetto più importante mai firmato dall’Ua con un paese partner», ha sottolineato il presidente della commissione africana, Nkosazana Dlamini-Zuma.
Sul modello delle antiche vie commerciali che legavano la Cina all’Europa, Pechino sta realizzando la sua tela sull’Africa. Ha già realizzato 2.200 km di reti ferroviarie e una serie infinita di infrastrutture. Treni legano già Addis Abeba a Gibuti, Nairobi a Mombasa. In Nigeria, la China Railway Construction (Crc) sta realizzando una rete ferroviaria di 1.400 km che legherà le città costiere, mega contratto da 12 miliardi di dollari. Cinquemila operai cinesi lavorano in Kenya. In Angola, sempre la Crc sta costruendo la linea che collegherà il porto di Lobito a Katanga, in Rd Congo. Pechino, inoltre, stanzierà 40 miliardi di dollari per 7 nuovi grandi porti commerciali in altrettanti paesi: Gibuti, Tanzania, Mozambico, Gabon, Ghana, Senegal e Tunisia. E ha in programma di rimodernare o creare da zero una cinquantina di stadi in altrettante capitali africane. Panem et circenses. Si stima che più di 20 milioni di tonnellate di materie prime verranno utilizzate ogni anno. Cemento, acciaio, locomotori, ma anche automobili, camion e moto, tecnici e progettisti e gran parte della manodopera: tutto made in China.
Alcuni media hanno criticato l’accordo parlando di “diplomazia del cemento”, di “neocolonialismo”, di sfruttamento delle materie prime. Mentre i cinesi hanno salutato l’accordo parlando di “miglioramento dei trasporti”, “crescita economica”, “apertura al mondo”. Secondo l’Ua, l’accordo-quadro sulle infrastrutture permetterà all’Africa di realizzare “Agenda 2063”. Quel che è certo, è che la Cina ormai presta più soldi all’Africa che alla Banca mondiale. Il conto forse lo pagheranno le generazioni future.

Fonte: Nigrizia

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