La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 19 settembre 2015

Gli altri messaggi di Bergoglio

di Geraldina Colotti
«Il peg­gior nemico è l’ipocrisia». Papa Ber­go­glio ha rispo­sto così a quanti gli hanno chie­sto un mes­sag­gio forte durante un con­ve­gno sul clima. E ha rice­vuto anche il plauso di quelli che il Van­gelo chia­me­rebbe «sepol­cri imbiancati».
La sua Enci­clica — Lau­dato si’, ispi­rata al Can­tico delle Crea­ture — sug­ge­ri­sce infatti una denun­cia forte delle asim­me­trie sociali e inter­na­zio­nali, delle guerre e delle grandi imprese mul­ti­na­zio­nali: temi poco pra­ti­cati nelle ricette impo­ste alle «demo­cra­zie della disil­lu­sione». Una denun­cia che, durante il recente viag­gio in Ame­rica latina, Ber­go­glio ha messo al dia­pa­son dei movi­menti e dei pre­si­denti che scom­met­tono su una nuova indi­pen­denza lati­noa­me­ri­cana (la Patria grande di Simon Boli­var): nei toni del «socia­li­smo indi­ge­ni­sta» di Mora­les in Boli­via, in quelli della «revo­lu­cion ciu­da­dana» di Cor­rea in Ecuador.
Per quelli del «socia­li­smo boli­va­riano» dell’operaio Maduro in Vene­zuela, la cosa si com­plica un poco: per­ché le gerar­chie eccle­sia­sti­che, che hanno soste­nuto i colpi di stato e il lati­fondo, restano legate ai gruppi di potere modello Fmi e al loro cat­to­li­ce­simo con­ser­va­tore, osteg­giano la chiesa di base e i suoi preti «boli­va­riani». Ber­go­glio manda altri mes­saggi da quelli del papa guer­riero amico di Rea­gan, Karol Woj­tyla. Nell’83, durante il suo viag­gio in Nica­ra­gua, Gio­vanni Paolo II venne accolto da un car­tello che diceva: «Bien­ve­nido a la Nica­ra­gua libre gra­cias a Dios y a la revo­lu­ción». Come rispo­sta, sospese a divi­nis Erne­sto Car­de­nal, uno dei sacer­doti che, dopo aver con­tri­buito a cac­ciare il dit­ta­tore Somoza, par­te­ci­pa­vano al governo sandinista.
Nel ’98, il papa polacco andò all’Avana in pieno periodo espe­cial: quando, dopo la caduta dell’Unione sovie­tica, Cuba era inca­pret­tata dal feroce blocco eco­no­mico impo­sto dagli Usa nel ’62 e ora ricon­fer­mato per un anno da Obama. Allora, rac­co­mandò a Cuba «di aprirsi al mondo per­ché il mondo si apra a Cuba». Come dire a un tor­men­tato: bacia lo sti­vale che ti schiac­cia, e poi si vede.
In un paese in cui la pub­bli­cità non esi­ste, fece eri­gere un car­tel­lone in cui tro­neg­giava la sua imma­gine con la scritta: «Qui si costrui­sce la Chiesa». Nel 2012, il papa tede­sco Ratzin­ger è andato all’Avana a par­lare della «pro­fonda crisi spi­ri­tuale e morale» e dell’uomo indi­feso «di fronte all’ambizione e all’egoismo di poteri che non ten­gono conto del bene auten­tico delle per­sone e delle fami­glie». Raul Castro ha riba­dito che Cuba «o resterà indi­pen­dente o non esi­sterà più come nazione».
Allora, era già attivo l’arco di alleanze soli­dali ideato nel con­ti­nente da Fidel Castro e Hugo Cha­vez (l’Alba), e Cuba non era più sola. «Ben­ve­nuto papa Fran­ce­sco», dice ora un car­tello. E ad essere sul piede di guerra restano le grot­te­sche «Dame in bianco» che nean­che Washing­ton sa come liqui­dare. Alle ultime ele­zioni a Cuba, i loro rap­pre­sen­tanti hanno tota­liz­zato 300 voti. Intanto, il 9 set­tem­bre, la Usaid ha annun­ciato che cerca per­so­nale per i suoi nuovi pro­grammi con­tro Cuba (segue det­ta­glio del sala­rio): serve espe­rienza in «pro­mo­zione della demo­cra­zia, diritti umani, svi­luppo della società civile e for­ma­zione di gruppi giovanili».
Si scrive così e si legge «inge­renza»: quella che il governo cubano ha denun­ciato in que­sti giorni all’Onu pren­dendo le difese del Vene­zuela (Raul Castro par­lerà all’Onu tra una set­ti­mana). Serve quel tipo di «demo­cra­zia» in Ame­rica latina? Serve il «mul­ti­par­ti­ti­smo» modello Troika (votato al mas­simo dal 30%) per far star meglio le per­sone? Le cifre dell’America latina che va alle urne per la demo­cra­zia par­te­ci­pata e per la giu­sti­zia sociale (e vota oltre il 70%) con­sen­tono di farsi un’idea.
Nella Colom­bia del neo­li­be­ri­smo e della repres­sione (47 milioni di abi­tanti), solo il 32% dei gio­vani può andare all’Università. In Vene­zuela, preda dell’analfabetismo e della fame prima dei governi Cha­vez, su 29 milioni di abi­tanti, l’83% dei gio­vani va all’università pub­blica e gra­tuita. Cifre dell’Unesco. O della Fao, che ha dedi­cato a Cha­vez il pro­gramma mon­diale di lotta con­tro la fame e la povertà: per­ché, men­tre in Colom­bia il 15% sof­fre la fame, in Vene­zuela gli affa­mati sono il 5%. E chi potrebbe dire che i pro­grammi sociali del più mode­rato Bra­sile o quelli dell’Argentina non hanno por­tato bene­fici reali agli esclusi di sem­pre e anche alle tanto cele­brate «classi medie»?
E come sono state ridotte invece le popo­la­zioni dei Bal­cani dopo la caduta dell’Unione sovie­tica? Die­tro l’ipocrisia, c’è la truffa feroce del capi­ta­li­smo, la sua crisi siste­mica e la rapina delle risorse. Dal 2008 (quando anche gli eco­no­mi­sti bor­ghesi hanno rispol­ve­rato Marx per spie­gare la crisi “finan­zia­ria”), a fronte della cre­scente com­pres­sione delle con­di­zioni di vita dei lavo­ra­tori e dei ceti popo­lari, si fa strada l’esigenza di razio­na­lità nel governo e nella distri­bu­zione delle risorse: del tutto pos­si­bile con lo svi­luppo rag­giunto dalle forze produttive.
Con­tro le pic­cole patrie xeno­fobe, si fa strada un biso­gno di uni­ver­sa­li­smo, che la chiesa vuole col­mare, “appro­prian­dosi” della que­stione sociale: fino a con­vo­care cen­tri sociali e orga­niz­za­zioni popo­lari, inter­ro­gando dal basso la lega­lità delle mani pulite, che uccide lascian­doti senza «casa, terra e lavoro» (le «tre T» di Ber­go­glio). Fino a donare 2.000 euro al pre­si­dio auto­ge­stito dai migranti al No Bor­der di Ven­ti­mi­glia. Fuori dai sin­cre­ti­smi e dalle chiese, fuori da pro­ie­zioni e rimo­zioni delle «demo­cra­zie senza illu­sioni», ritorna il senso antico della parola com­pa­gno (cum-panis, ovvero condivisione).
Da Cuba che cerca di «attua­liz­zare» il suo modello, all’America latina «par­te­ci­pata e pro­ta­go­ni­sta» di Vene­zuela, Boli­via e Ecua­dor, e dal ritorno in forze del grande capi­tale inter­na­zio­nale che cerca di sof­fo­carla, rie­merge con forza la poli­tica come con­fronto con la sto­ria e ten­ta­tivo di guidarla.

Fonte: il manifesto
Originale: http://ilmanifesto.info/gli-altri-messaggi-di-bergoglio/

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