La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 19 settembre 2015

L’America di Francesco

di Luca Kocci
Quello che comin­cerà sabato è il viag­gio più impor­tante di papa Fran­ce­sco dall’inizio del pon­ti­fi­cato. Per i Paesi che visi­terà, Cuba e Stati uniti. Per i poli­tici che incon­trerà, Raul, Fidel Castro e Obama. Per i discorsi che terrà, al Con­gresso Usa e all’Onu. Per il momento sto­rico in cui avviene, dal punto di vista sia poli­tico — riav­vi­ci­na­mento fra Usa e Cuba, favo­rito anche dalla media­zione vati­cana, ele­zioni pre­si­den­ziali sta­tu­ni­tensi, con­flitto in Siria, migranti -, sia eccle­siale, con la fase finale del Sinodo dei vescovi sulla fami­glia (4–25 otto­bre) – da cui si capirà real­mente in che dire­zione andrà la Chiesa di Fran­ce­sco –, pre­ce­duta dall’incontro mon­diale delle fami­glie, a Phi­la­del­phia, dove Ber­go­glio inter­verrà, anti­ci­pando i temi sino­dali e, forse, dando qual­che indi­ca­zione che potrebbe con­di­zio­nare il dibat­tito.
Per tutte que­ste ragioni la visita si pre­senta fitta di appun­ta­menti e densa di signi­fi­cati. Dal Vati­cano, Guz­mán Car­rí­quiry, numero due della Pon­ti­fi­cia com­mis­sione per l’America latina, pre­cisa che il viag­gio del papa non è di natura «poli­tica» ma «pasto­rale e mis­sio­na­rio». Una sot­to­li­nea­tura ovvia – quale pon­te­fice pre­sen­te­rebbe i suoi viaggi come mis­sioni poli­ti­che –, come però è altret­tanto ovvio che la tra­sferta ame­ri­cana di Ber­go­glio avrà ine­vi­ta­bil­mente rica­dute poli­ti­che, soprat­tutto se Fran­ce­sco affron­terà temi caldi, dal blo­queo sta­tu­ni­tense con­tro Cuba ancora in vigore, alle que­stioni ambien­tali e del riscal­da­mento glo­bale, denun­ciate nell’enciclica Lau­dato si’, for­te­mente cri­ti­cata dalla destra repub­bli­cana Usa («il papa eviti di par­lare di clima, non mi fac­cio det­tare l’agenda», dichiarò Jeb Bush, can­di­dato cat­to­lico repub­bli­cano alla pre­si­denza, appena uscì l’enciclica).
La prima tappa del viag­gio è Cuba. Fran­ce­sco – terzo pon­te­fice che visita l’isola carai­bica dopo Gio­vanni Paolo II (1988) e Bene­detto XVI (2012) – arri­verà a L’Avana sabato. Dome­nica messa a Plaza de la Revo­lu­ción e incon­tro con Raul Castro. Il pro­gramma uffi­ciale ancora non lo spe­ci­fica, ma quasi sicu­ra­mente il papa vedrà pure Fidel.
Anche per­ché il giorno dopo lascerà la capi­tale e si tra­sfe­rirà prima a Hol­guín e poi a San­tiago. Si ipo­tiz­zava un incon­tro con alcuni rap­pre­sen­tanti delle Farc – a L’Avana sono in corso i nego­ziati di pace con il governo colom­biano – e la visita ad una pri­gione. Ma padre Lom­bardi, diret­tore della sala stampa vati­cana, ha smen­tito entrambe le pos­si­bi­lità (ci sarà la visita ad un peni­ten­zia­rio di Philadelphia).
Sul fronte car­cere c’è però da segna­lare che il governo cubano, anche in seguito ad un appello dell’arcivescovo dell’Avana Ortega (pro­nun­ciato subito dopo le parole di Ber­go­glio sull’amnistia per il pros­simo Giu­bi­leo), ha con­cesso un indulto per 3.522 dete­nuti (esclu­dendo i reati gravi, fra cui i delitti con­tro la sicu­rezza dello Stato), incas­sando l’apprezzamento del papa e, ovvia­mente di Ortega, gran tes­si­tore dei rap­porti fra Chiesa e governo e per que­sto for­te­mente cri­ti­cato dai dissidenti.
Poi Fran­ce­sco par­tirà per gli Usa, atter­rando a Washing­ton nel pome­rig­gio del 22 set­tem­bre. Il giorno suc­ces­sivo tre eventi impor­tanti: il col­lo­quio con Obama, l’incontro con i vescovi Usa – fra i quali c’è una signi­fi­ca­tiva fronda con­tro Fran­ce­sco – e la cano­niz­za­zione di p. Juni­pero Serra, fran­ce­scano spa­gnolo (bea­ti­fi­cato da papa Woj­tyla nel 1988), «evan­ge­liz­za­tore» della Cali­for­nia con­qui­stata dalla Spa­gna (nel ‘700), col­pe­vole delle peg­giori nefan­dezze nei con­fronti degli indi­geni (con­ver­sioni for­zate, vio­lenze, ridu­zione in schia­vitù). Una cano­niz­za­zione for­te­mente cri­ti­cata dalle tribù cali­for­niane, che però Ber­go­glio ha scelto di celebrare.
Quindi due incon­tri poli­tici: al Con­gresso Usa (24 set­tem­bre, la prima volta di un papa), dove pro­nun­cerà un «ampio discorso in inglese» – ha anti­ci­pato padre Lom­bardi – e all’Onu (25 set­tem­bre), per un «discorso impe­gna­tivo in spa­gnolo». Si dà per scon­tato che Ber­go­glio dica parole forti e asse­sti qual­che bac­chet­tata, soprat­tutto agli Usa. Ma non è detto che accada. Più volte Fran­ce­sco, quando si è tro­vato di fronte ai suoi inter­lo­cu­tori diretti, è stato piut­to­sto «timido», riser­van­dosi le cri­ti­che più forti a distanza.
La con­clu­sione della visita sarà tutta eccle­siale, con la fase finale dell’incontro mon­diale delle fami­glie a Phi­la­del­phia (26 e 27 set­tem­bre). I gruppi pro-life e la destra repub­bli­cana già scal­dano i motori. E dif­fi­cil­mente reste­ranno delusi. 
 
Approfondimento - Papa a Cuba, pronti al «cambiamento di un’epoca»
di Enrique Lopez Oliva e Roberto Livi

«Tre vescovi di Roma e il socia­li­smo cubano» è il titolo col quale il quo­ti­diano dei gio­vani comu­ni­sti, Juven­tud Rebelde, ha pre­sen­tato due giorni fa la visita di papa Fran­ce­sco. La tesi dell’analisi è dimo­strare quanto siano cam­biati i tempi e le rela­zioni tra Chiesa e socia­li­smo cubano dalla visita del primo papa, Woj­tyla, nel 1998 a quella che sabato ini­zierà il primo pon­te­fice latinoamericano.
17 anni fa in molti, in par­ti­co­lare della destra neo­li­be­ri­sta, erano con­vinti che Gio­vanni Paolo II avrebbe con­tri­buito al crollo del «socia­li­smo criollo» come negli anni pre­ce­denti era avve­nuto con i «socia­li­smi reali» dell’Europa dell’Est. Le cose anda­rono diver­sa­mente e Woj­tyla lasciò l’isola con l’auspicio che «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». Ed è pro­prio que­sto mes­sag­gio che verrà ripreso e ampliato da Fran­ce­sco. Con mag­giore forza, perchénell’isola, da più di cin­que anni è in corso un pro­cesso defi­nito di «attua­liz­za­zione del socia­li­smo cubano», ma che in realtà ha una valenza e uno scopo ben più pro­fondi e che dovrebbe por­tare, per usare un’espressione di Juven­tud Rebelde, a «una nuova geo­gra­fia» nell’economia e nella società e, si spera, anche aper­ture poli­ti­che. Il pro­getto di «un socia­li­smo pro­spero e soste­ni­bile», però, si scon­tra con dif­fi­coltà e le tra­sfor­ma­zioni in corso non hanno por­tato a quei bene­fici nella vita quo­ti­diana che gran parte della popo­la­zione spera e reclama.
Oltre al socia­li­smo cubano, anche il movi­mento cat­to­lico e la Chiesa, hanno vis­suto e vivono la pro­pria sta­gione di cam­bia­menti trau­ma­tici. In accordo col pre­si­dente dell’Ecuador, Rafael Cor­rea, papa Fran­ce­sco è con­vinto che non sia suf­fi­ciente vivere un’epoca di cam­bia­menti, ma sia neces­sa­rio un cam­bia­mento di epoca. La Chiesa cubana si trova in sin­to­nia con que­sto mes­sag­gio. Il vescovo dell’Avana, car­di­nale Jaime Ortega ha messo in chiaro che non è com­pito della Chiesa cam­biare i governi, ma con­qui­stare il cuore degli uomini, di coloro cioè che cam­biano la società. Seguendo que­sta linea la Chiesa cubana è diven­tata di fatto la mag­giore Ong di Cuba: dispone di nume­roso per­so­nale spe­cia­liz­zato, 600 chiese sparse in tutta l’isola, una rete assi­sten­ziale che è andata cre­scendo, una pro­pria rete di inse­gna­mento pre­sente in quasi tutte le par­roc­chie, può già rice­vere direttamente-cioè senza la media­zione del governo– una parte dei fondi che neces­sita. Que­sta situa­zione per­mette alla Chiesa di agire come un media­tore tra la società cubana e il governo e, assieme al Vati­cano, tra il governo e l’Occidente, Stati uniti e Unione euro­pea soprattutto.
L’efficacia di que­sta media­zione è stata ampia­mente lodata sia dal pre­si­dente Barak Obama, sia dal suo omo­logo cubano Raúl Castro i quali hanno rico­no­sciuto l’importanza della diplo­ma­zia vati­cana e soprat­tutto di papa Fran­ce­sco nel pro­cesso che ha per­messo di met­tere fine a più di cinquant’anni di guerra fredda tra gli Stati Uniti e Cuba. Quello com­piuto lo scorso dicem­bre è stato «un passo sto­rico», ma sem­pre un primo passo.
Per pro­ce­dere nelle riforme di strut­tura essen­ziali per ridare fiato all’economia cubana, il governo dell’Avana ha biso­gno di una mas­sic­cia dose di inve­sti­menti esteri, molti dei quali potreb­bero arri­vare dagli Stati uniti se il pre­si­dente Obama con­ti­nuerà a chie­dere il pro­gres­sivo svuo­ta­mento delle leggi fede­rali che danno sostanza al blo­queo, il blocco com­mer­ciale, eco­no­mico e finan­zia­rio con­tro Cuba deciso cinquant’anni fa dagli Usa. La seconda parte della visita pasto­rale di Fran­ce­sco, quella negli Sta­tes sarà dun­que impor­tan­tis­sima per Cuba, se il papa lati­noa­me­ri­cano avval­lerà l’immagine di un governo cubano socia­li­sta, sì, ma poli­ti­ca­mente sta­bile (Gli Stati uniti temono un’ondata migra­to­ria mas­sic­cia di cubani in caso di som­mosse nell’isola: con l’attuale legge infatti i cubani che met­tono un «piede secco» negli Usa hanno diritto alla carta verde) e pro­penso a aper­ture eco­no­mi­che, sociali e un domani anche politiche.
Un ruolo sif­fatto di media­zione e di garante di sta­bi­lità implica però un raf­for­za­mento della Chiesa cubana e del nuovo movi­mento cat­to­lico laico che sta con­tri­buendo a for­mare. In sostanza una sua mag­giore pre­senza nelle istanze edu­ca­tive, della comu­ni­ca­zione sociale, dei ser­vizi sociali, della carità e in tutti gli ambiti della vita pub­blica del Paese. Pro­ba­bil­mente que­ste saranno le richie­ste che Fran­ce­sco farà per otte­nere una chiesa che possa favo­rire lo svi­luppo della società civile nell’isola.
 
Fonte: il manifesto

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