La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 18 settembre 2015

Un mondo di sponsor. Ma è questo il mondo che vogliamo?

di Claudio Bazzocchi
Se Renzi dice che le scuole potranno avvalersi di sponsor si solleva un polverone gigantesco di proteste, scioperi, manifestazioni ecc… Se lo dice a proposito dei musei non si scandalizza nessuno, o quasi. La cosa è interessante perché ci dice quale sia la nostra percezione del valore dell’arte. L’arte è ormai un divertimento, un piacere estetico fra gli altri, un insieme di immagini da gustare assieme alle tantissime altre che provengono a noi dai più svariati player di cui ormai disponiamo. Quindi, non c’è niente di scandaloso se qualche privato decide di sponsorizzare musei, mostre o restauri.
Insomma, ormai noi non pensiamo più che l’arte sia il deposito del secolare sforzo per interpretare il mistero della presenza al mondo degli esseri umani, sia la continua sfida per rappresentare il sublime, ciò che non ha volto ma segnala la nostra aspirazione all’infinito, il tentativo inesauribile di trovare un equilibrio tra sfrenatezza pulsionale e libertà fondata sulla cultura.
Non pensiamo che quello sforzo compiuto in un dato luogo, all’interno di un ambito geografico e di una lingua rappresenti la storia di una nazione e quindi il suo patrimonio più sacro per mantenere viva la domanda sull’umano e allo stesso tempo una comunità nazionale che si riconosca in quello sforzo.
Ci sfugge ormai, anche a sinistra, che quell’immenso patrimonio sia anche una grande risorsa politica e spirituale per opporre il nostro no all’omologazione del consumismo, al narcisismo e allo stile di vita neoliberale.
L’arte è semplicemente l’occasione per partecipare a un evento di cui parlano tutti, come viaggio fra centinaia di immagini che creano calore e piacere e una qualche forma di curiosità per la vita di epoche passate.
Le immagini diventano poi materiale pop per magliette, quaderni e poster e per la nostra autostima di cosiddetti fruitori di cultura che ormai non significa altro che consumo di immagini o pagine di letteratura qua e là, senza alcuna connessione con il mistero della vita, con il problema dell’umano e della sua libertà, con la morte e il significato della vita, con Dio e la sua esistenza o meno.
Possiamo quindi affidarla tranquillamente ai privati che contribuiranno sempre più a farne occasione per eventi, merchandising, turismo enogastronomico con la solita retorica del territorio, delle eccellenze e di uno stile di vita che sempre meno possono permettersi. E quel patrimonio spirituale si ridurrà a merce tra le merci, ancora di più.
C’è poi un aspetto politico che ancora meno viene considerato. Le grandi imprese multinazionali, come sappiamo, pagano sempre meno tasse da trent’anni a questa parte grazie alla compiacenza dei governi che risentono del mutamento del rapporto di forza tra capitale e lavoro, che è anche mutamento culturale, di immaginario.
Dunque, il gettito fiscale diminuisce e ci accorgiamo che non ci sono fondi per preservare il nostro patrimonio spirituale, la geneaologia della nostra nazione, ciò che ci tiene insieme. La soluzione pare dunque semplice: affidiamo ai privati il restauro delle opere d’arte o la sponsorizzazione dei musei. Allora, le imprese che pagano sempre meno tasse, con le briciole dei loro immensi guadagni si fanno belle di fronte all’opinione pubblica grazie a qualche restauro. Dopo di che, i loro amministratori delegati, forti della posizione nobile di mecenati, vanno in TV a dire che il pubblico è inefficiente e bisogna privatizzare tutto.
Domanda: è questo il mondo che vogliamo? Altra domanda: quando Della Valle, che sta restaurando il Colosseo vorrà dire la sua sul nuovo sindaco di Roma, non avrà nessuna voce in capitolo e soprattutto non godrà della simpatia e della benevolenza di milioni di italiani quando a andrà in TV a dire come vede lui l’Italia e la sua capitale?
Vi siete di dimenticati di Berlusconi? Vi siete dimenticati che è diventato Presidente del Consiglio in pochi mesi anche grazie all’immensa benevolenza guadagnata mediante le sue TV, allo stile di vita che indicavano, al divertimento che offrivano gratis e senza canone? Anche allora si diceva che un conto era la politica e un conto un innocuo divertimento concesso alle persone…
Oggi i ricchi mecenati sono esaltati nella nostra società, perché vengono visti come coloro che si mettono a disposizione per il bene della comunità con fondazioni caritatevoli, restauri, borse di studio, sponsorizzazioni varie.
E si dice anche: in questo momento di crisi sono da ammirare. Eh sì, sono proprio da ammirare. Riescono a farvi credere che i ricchi bravi e laboriosi sono meglio dello Stato e vi riescono a convincere che tanto vale smantellarlo.
A quel punto, vi faranno entrare nelle loro cliniche private, nelle loro scuole, nei loro musei, nelle loro fondazioni e vi renderete conto che saranno a pagamento e che l’unico modello, l’unica cultura a cui sono interessati è quella del pensiero unico neoliberale in cui ognuno deve farcela da solo, salvo la concessione di qualche briciola per i più poveri (i barboni invece in galera, fuori dalla vista, per città perbene e pulite e per rispondere all’immancabile – soprattutto e purtroppo a sinistra – principio della legalità).
E pongo di nuovo la domanda: è questo il mondo che vogliamo?

Fonte: Essere Sinistra 

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