La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 19 settembre 2015

Klavdianos: “Perché dare una seconda chance a Syriza”

Intervista a Pavlos Klavdianos di Steven Forti
Membro storico di “Epohi”, settimanale della sinistra greca fondato nell’ormai lontano 1989, Pavlos Klavdianos è in prima linea da mezzo secolo. Nato nel 1946, membro della Gioventù Lambrakis – creata da Mikis Theodorakis dopo l’omicidio di Gregoris Lambrakis a Salonicco nel 1963 –, Klavdianos ha preso parte fin dai primi giorni alla resistenza contro la dittatura dei colonnelli. Arrestato e torturato, ha passato in carcere più di cinque anni. Schieratosi con il Partito Comunista dell’Interno nella scissione del 1968, ha aderito alla corrente di Sinistra Rinnovatrice, vicina a Ingrao, e in seguito all’AKOA (Sinistra Comunista Ecologista e Rinnovatrice). È stato uno dei fondatori di Syriza, facendo parte per alcuni anni anche della sua segreteria. Nel congresso costituente del partito è stato eletto nel Comitato Centrale.
Secondo lei, quali sono i possibili scenari dopo le elezioni di domenica?
"L’obiettivo di Syriza è quello di conquistare la maggioranza del parlamento, in modo da poter mantenere la stessa coalizione di governo con i Greci Indipendenti e i Verdi. Non si tratta di arroganza.
È che le posizioni espresse finora dai possibili alleati (Pasok, To Potami) o da chi si offre come alleato (Nuova Democrazia) rendono evidente il pericolo di restare intrappolati nella logica che vorrebbero imporre i creditori. Syriza deve tener conto del memorandum, ma anche superarlo. Ed ha bisogno della maggioranza assoluta. Secondo i recenti sondaggi, sarà il primo partito ed avrà dunque la possibilità di formare governo secondo il proprio programma. In ogni caso, Syriza rifiuta le possibilità di un governo di “grande coalizione” (con Nuova Democrazia), di “unità nazionale”, “tecnico” o “a destinazione specifica”. "
Con l’uscita della Piattaforma di Sinistra, del gruppo di Glezos e di Rinaldi, quale sarà il futuro di Syriza?
"Non c’è stata solo la formazione di Unità Popolare o l’allontanamento da Syriza della KOE (Organizzazione Comunista della Grecia) con a capo Rudy Rinaldi, ma anche un grande numero di dimissioni di compagne e compagni che lottavano prevalentemente nei movimenti e in particolare molti giovani. La composizione di tali perdite obbliga la dirigenza ad un’analisi profonda, in cui non si deve perdere di vista la necessità di fare politica con una volontà unitaria e partendo dalla fisionomia di sinistra di Syriza. Nel caso fossero rispettati tali principi – e la corrente a cui appartengo si batterà molto per questo – Syriza potrà continuare la propria strada come un partito della sinistra rinnovatrice, radicale e legata ai movimenti. Dal 2012 in poi, cioè quando è diventato il maggiore partito di opposizione, Syriza si è allontanata dai movimenti, dando maggior peso alla propria partecipazione alle istituzioni, soprattutto al Parlamento. Allo stesso tempo è stato trascurato il partito, in particolare la regola dello statuto secondo cui ogni sezione di militanti è “il partito nel proprio territorio” e là deve avere un’azione costante, visibile e utile ai cittadini, alla società. In poche parole, ciò che ha fatto di Syriza un partito grande e attivo a livello sociale. Se si tornasse su questa strada e se, contemporaneamente, riuscissimo ad approfondire le nostre posizioni programmatiche, Syriza andrebbe avanti, di nuovo, in modo radicale e riunendo attorno a sé la gente."
Quanto pesa sulla rottura di Syriza la storia della sinistra greca?
"Pesa moltissimo. La firma dell’accordo del 13 luglio, naturalmente, come anche lo spiazzamento degli organi del partito, è stata una causa rilevante per la crisi, gli allontanamenti e le delusioni. Ma la scissione ha delle radici più profonde e ci riporta ai punti di partenza di chi ha formato Syriza dal 2000 in poi. Dopo la caduta dello stalinismo, nel movimento comunista greco abbiamo avuto due scissioni cruciali, mentre esistevano e agivano dei soggetti politici di origini maoiste e trotzkiste. La prima scissione ha avuto luogo nel 1968: da lì è nata la corrente eurocomunista (Partito Comunista dell’Interno), una corrente più debole di quella filosovietica (Partito Comunista Greco - ΚΚΕ). Allora, però, lo scontro – nonostante la dittatura – e le differenze erano teoriche, ideologiche e politiche. La seconda è avvenuta nel 1990, quando il ΚΚΕ si è rotto dopo la caduta del socialismo reale. 
A differenza del 1968, questa scissione è stata quasi “silenziosa”, senza controversie chiare, anche se esistevano. Non vi è mai stato un dibattito su ciò che è stato il “socialismo reale”, sul perchè è crollato e su cosa non andava bene nel ΚΚΕ. E, naturalmente, non si è mai discusso sulla scissione del 1968 e sugli elementi rinnovatori che aveva prodotto. Elementi che, in gran parte, arricchiti con la partecipazione ai movimenti e con i nuovi contributi, sono la base teorica e ideologica di Syriza. 
Per molto tempo, hanno fatto parte della dirigenza di Syriza dei compagni che non capivano tali questioni o le vedevano in modo ostile. Questioni come la sostanza della via democratica al socialismo. Il gruppo dirigente di Unità Popolare, o meglio della Piattaforma di Sinistra di Synaspismos, che era entrata nella Syriza unitaria, proviene da questa corrente. Una cosa che è diventata subito evidente nella politica e nella pratica di Unità Popolare, che la porta, o meglio la riporta, molto vicino al ΚΚΕ."
Che cosa rimarrà di questi sette mesi al governo?
"Molte cose. La prima, che riguarda noi, è l’esperienza del primo tentativo di realizzare il nostro programma, perchè abbiamo scoperto le nostre lacune, abbiamo capito i nostri errori, ci siamo resi conto delle resistenze dello stato borghese e dell’incredibile forza materiale di imposizione delle istituzioni comunitarie neoliberiste. Ma abbiamo anche realizzato delle cose in questi mesi – meno di quanto avremmo voluto – che rimarranno. Si dovrà anche a questo se Syriza riuscirà ad avere una “seconda opportunità”."
Syriza deve fare autocritica?
"Certamente. Ha una certa responsabilità per come sono andate le cose, soprattutto dal 2012, e per il modo in cui si è gestita la crisi. L’autocritica è il punto di partenza per riunire il partito. Chi si è allontanato da Syriza o ha seguito Unità Popolare senza credere nelle sue idee, che consistono in un modello di sinistra chiuso e sorpassato, aveva abbastanza ragioni per farlo e questo deve essere percepito dal gruppo dirigente."
Esiste un “gap” tra società e partito? E se è così, che cosa si può fare per colmare questo gap?
"Sì, esiste. Syriza è diventata molto presto un grande partito e si è concentrata sull’organizzazione politica, ma non su quella sociale. Vi è una tradizione negativa nel nostro paese, legata alla poca organizzazione sociale dei cittadini: i movimenti agiscono con delle campagne mirate e il Pasok, negli ultimi decenni, ha creato sindacati, cooperative e amministrazioni locali come fossero dei rami del governo e come clientela elettorale. Ma anche Syriza non ha lavorato per colmare tale vuoto ed è urgente che questo venga fatto, partendo dall’autonomia d’azione della società."
Si è sbagliato qualcosa nella maniera in cui si è gestito il negoziato con le istituzioni europee? 
"Vi sono stati degli errori, certamente. Ma anche senza gli errori fatti durante il negoziato credo che non avremo ottenuto un risultato migliore: i creditori avevano come obiettivo la sconfitta di Syriza. Per farlo hanno perfino imposto un programma economicamente irrazionale."
Con il Memorandum ci sono dei margini per poter applicare delle politiche sociali?
"Penso di sì. Syriza non è solamente un partito contro il memorandum, ma un partito di sinistra che è molto legato ai movimenti. Il suo obiettivo è la trasformazione della società. Ci sono grandi spazi per dei cambiamenti profondi in un paese come la Grecia, in cui hanno governato per quarant’anni solo due partiti, Nuova Democrazia e Pasok. D’altra parte, il memorandum ha già delle crepe e durante il duro negoziato sono state ottenute anche delle soluzioni alternative per alcune misure troppo dolorose. Dal momento in cui si riuscirà a creare una “federazione anti-memorandum” composta dai movimenti autonomi e da Syriza – una Syriza che agirà nei movimenti e che tornerà con la propria indipendenza ad “incontrarsi” con il governo –, allora possono darsi le condizioni per una “ribellione” contro il memorandum, affiancata da un programma di profonde trasformazioni. Naturalmente contiamo molto sugli sviluppi politici e dei movimenti in Europa."
Le drammatiche giornate di luglio hanno dimostrato le relazioni di potere all’interno delle istituzioni europee. Hanno anche dimostrato, però, che l’Europa non la può cambiare un solo paese: è necessaria una rete internazionale e l’appoggio di più governi. In questo senso, che possibilità ci sono attualmente? E in che maniera bisogna lavorare per raggiungere questo obiettivo?
"Le crepe aperte dal negoziato greco sul corpo delle istituzioni della zona euro non si chiuderanno, perchè l’Unione Europea ha dei grossi problemi, non solo a causa della Grecia. E sì, siamo d’accordo, l’Europa non può cambiare in un solo paese, né può essere sconfitta l’austerità neoliberale, la “globalizzazione”, da un solo paese. È per questo che non siamo d’accordo con i compagni di Unità Popolare che vogliono ritornare alla moneta nazionale. Un piccolo paese, da solo, non potrebbe sciogliere la zona euro per formare una nuova unione monetaria su altre basi o per formare anche due unioni. Verrebbe schiacciato. Lo abbiamo visto tutti. La scelta che abbiamo preso, con una pistola puntata alla tempia, è stata fatta prima di tutto per organizzare meglio la nostra lotta. E continueremo a lavorare per cambiare l’Europa. "
C’è il rischio che Tsipras si converta, malgré lui, in un nuovo Zapatero?
"No, non c’è tale rischio. Le ragioni sono molte. Primo, la formazione del compagno Alexis che ha lavorato duramente per creare l’organizzazione dei giovani di Synaspismos, ha preso parte all’organizzazione del Forum e anche all’amministrazione locale con grande successo. Secondo, Syriza stessa, la sua struttura, i suoi legami con i movimenti, il passato della sua gente, i suoi riferimenti sociali. Queste sono le nostre fondamenta. Quelle di Zapatero, invece, credo che siano state il proseguimento del lavoro di due anticipatori di Blair: Felipe González e Almunia. La politica neoliberale di Rajoy che tuttora viene applicata è stata coltivata ai tempi di Zapatero. L’ex presidente del governo spagnolo si è adattato alla socialdemocrazia europea che accettava il corpus della politica neoliberale." 

Fonte: MicroMega online 

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