La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 18 settembre 2015

Burkina, l’incubo del ritorno al passato

di Cristiano Lanzano
L’interruzione, da parte di alcuni sol­dati della guar­dia pre­si­den­ziale, della riu­nione del con­si­glio dei mini­stri di mer­co­ledì asso­mi­gliava ad altri epi­sodi di ammu­ti­na­mento che hanno carat­te­riz­zato gli ultimi mesi della tran­si­zione poli­tica in Bur­kina Faso, tutti risol­tisi nel giro di poche ore. Si è invece tra­sfor­mata in un «clas­sico» sce­na­rio da colpo di stato, con la deten­zione pro­lun­gata del pre­si­dente e di alcuni mini­stri, l’interruzione delle tra­smis­sioni tv, e infine l’annuncio, nella mat­ti­nata di ieri, della sospen­sione del governo.
Come si è arri­vati a un simile punto di rot­tura? La que­stione irri­solta del rap­porto tra forze armate e auto­rità civili per­dura almeno dall’insurrezione dello scorso otto­bre. In par­ti­co­lare, il ruolo del Reg­gi­mento di sicu­rezza pre­si­den­ziale (Rsp), un corpo d’élite a lungo con­si­de­rato feudo di fede­lis­simi dell’ex-presidente Blaise Com­paoré, ha sur­ri­scal­dato il dibat­tito interno. L’ipotesi di un suo sman­tel­la­mento, riven­di­cata a gran voce dagli atti­vi­sti e sug­ge­rita qual­che giorno fa per­sino dalla Com­mis­sione per la ricon­ci­lia­zione nazio­nale, è stata sem­pre trat­tata con grande cau­tela dal governo di tran­si­zione, timo­roso di una rea­zione eversiva. La para­bola del primo mini­stro Isaac Zida è un esem­pio delle con­tor­sioni del rap­porto tra potere civile e potere mili­tare: ex-numero due del Rsp, ha assunto le fun­zioni di capo dello stato poche ore dopo le dimis­sioni di Blaise ma spo­sando una linea di rot­tura nei con­fronti del regime depo­sto. Da primo mini­stro è entrato in con­flitto con il corpo mili­tare da cui pro­ve­niva, per ragioni non sem­pre chiare: a più riprese dal mese di dicem­bre, gruppi «ribelli» di sol­dati hanno insce­nato pro­te­ste pla­teali chie­dendo le sue dimis­sioni. La stampa locale ha impu­tato tale con­flitto ai timori di ridi­men­sio­na­mento del ruolo – e degli sti­pendi – del Rsp, alle pole­mi­che sorte in seguito ad alcune nomine con­tro­verse, o a ten­sioni pre­e­si­stenti nell’esercito, che il ruolo pub­blico assunto da Zida avrebbe fatto precipitare.
Finora il pre­si­dente Kafando era riu­scito a mediare e a ras­si­cu­rare gli uffi­ciali più riot­tosi, arri­vando due mesi fa a riti­rare a Zida la gestione della difesa nazio­nale. Que­sta volta, i ten­ta­tivi di nego­zia­zione non sono bastati. Anche l’imminente sca­denza elet­to­rale dell’11 otto­bre ha ali­men­tato le ten­sioni. Ad aprile, il par­la­mento tran­si­to­rio aveva appro­vato un nuovo codice elet­to­rale che, senza esclu­dere for­mal­mente i par­titi dell’ex-maggioranza dalla com­pe­ti­zione, vie­tava le can­di­da­ture di per­so­na­lità che aves­sero aper­ta­mente soste­nuto i pro­getti di riforma costi­tu­zio­nale attra­verso cui Blaise cercò di man­te­nersi al potere. Nono­stante una sen­tenza della corte di giu­sti­zia della Cedeao (Comu­nità eco­no­mica dell’Africa Occi­den­tale), che cri­ti­cava il carat­tere discri­mi­na­to­rio della nuova legi­sla­zione, nelle ultime set­ti­mane il con­si­glio costi­tu­zio­nale bur­ki­nabé ha pro­ce­duto a esclu­dere dalla corsa elet­to­rale diversi can­di­dati, i quali ave­vano rispo­sto con un appello al boi­cot­tag­gio delle elezioni.
È ancora dif­fi­cile valu­tare la reale impli­ca­zione dei poli­tici nell’organizzazione del colpo di stato. Ieri pome­rig­gio, comun­que, la guida del gruppo di gol­pi­sti è stata assunta da Gil­bert Dien­déré, capo del Rsp depo­sto paci­fi­ca­mente alcuni mesi fa, con­si­de­rato da sem­pre il brac­cio destro di Blaise Com­paoré – che è sem­pre in esi­lio, tra Marocco e Costa d’Avorio – oltre che l’esecutore delle sue poli­ti­che più repres­sive. Nei pros­simi giorni ne sapremo di più su quanto il soste­gno del vec­chio regime conti e abbia con­tato in que­sta svolta autoritaria.
L’incubo di un ritorno al pas­sato si è improv­vi­sa­mente mate­ria­liz­za­toi davanti agli occhi dei bur­ki­nabé. Tut­ta­via, in quest’ultimo anno, alcuni reali pro­gressi erano stati com­piuti. Con molta cau­tela, il dibat­tito sui cri­mini impu­niti del pas­sato regime è stato ria­perto; il plu­ra­li­smo dei media si è con­so­li­dato; i rap­pre­sen­tanti delle ex-opposizioni poli­ti­che e dei movi­menti hanno gua­da­gnato visi­bi­lità e capa­cità di mobilitazione.
Un’interruzione così bru­tale del pro­cesso demo­cra­tico sarebbe impos­si­bile da soste­nere per le orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali e le can­cel­le­rie stra­niere, incluse quelle che più hanno appog­giato in pas­sato il regime Com­paoré. Ammesso che rie­sca a man­te­nersi al potere, il gruppo di gol­pi­sti incon­trerà note­voli resistenze.

Fonte: il manifesto
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