La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 14 novembre 2015

Saskia Sassen e la finanziarizzazione “che espelle i più deboli dalla società”

di Marco Boscolo
Dal 2008 a oggi, 13 milioni di americani hanno perso la casa perché non riuscivano più a pagare i mutui. 13 milioni di persone che dall’alveo relativamente sereno della società civile se ne ritrovano improvvisamente ai margini. Lo stesso è avvenuto anche per altre cause e in altre parti del mondo e ha generato una nazione trasversale di espulsi, come li definisce Saskia Sassen durante il suo intervento all’edizione di quest’anno di Falling Walls, la conferenza-evento che dal 2009 celebra a Berlino la caduta del muro.
A questo tema la sociologa americana, sempre attenta a studiare gli effetti dei cambiamenti economici sulla società, ha dedicato il suo ultimo libro da poco arrivato anche in Italia ("Esplusioni. Brutalità e complessità nell’economia globale") sostenendo che le espulsioni, dovute a cause diverse (il debito, i conflitti, il cambiamento climatico, l’eccessivo sfruttamento del territorio), sono il vero tratto distintivo della società mondiale dagli anni Ottanta a oggi.

“Si tratta dell’ultima incarnazione del capitalismo”, spiega, “in cui al precedente modello del consumismo di massa si è progressivamente sostituita la finanza”. L’idea basilare che espone sul palco è che negli ultimi trent’anni di economia internazionale siamo riusciti a generare strumenti finanziari estremamente potenti e raffinati per “estrarre valore dalle cose, per poi lasciarle sul terreno come morte”. È il caso dei mutui sulle case americane, in cui strumenti complessi come i subprime sono riusciti a cavare fuori da quegli asset tutto quello che si poteva, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze per le persone che possedevano quelle case.
Mentre la finanza si preoccupava di espellere dalle loro case quei 13 milioni di americani, però, i profitti dei grandi fondi d’investimento privati, gli stessi che alimentano il processo di estrazione di valore e accumulo di ricchezza non venivano intaccati, “ma anzi hanno continuato a crescere”. C’è uno squilibrio, secondo la Sassen, che fa puntare il dito contro le teorie del mercato che si autoregola, distribuendo il capitale in maniera naturalmente equa. Ed è proprio qui che gli strumenti della finanza dimostrano tutto il loro potere: la crisi che ha fatto saltare le banche, i mutui e ha avvitato l’economia mondiale in una spirale scura non ha messo in crisi il sistema nel suo insieme.
Questa stortura si rende visibile guardando agli investimenti che nei prossimi anni sono previsti nelle grandi città nei prossimi anni. Si tratta di milioni che provengono in larga parte dal settore privato e che vengono talvolta sbandierati dalle amministrazioni locali come un segno di un futuro migliore per tutta la cittadinanza. “Ma è denaro che non viene investito per migliorare le città e il tessuto sociale che le caratterizza, ma per la maggior parte è usato per l’acquisizione di asset e per accatastare ulteriore ricchezza”. Vengono in mente gli interi quartieri, come Belgravia a Londra, che di notte sono completamente vuoti: nessuno, al di fuori delle grandi società di investimento, si può permettere quelle case.
Il risultato di questa finanziarizzazione della società è che, lungi dal diminuire, il divario nella distribuzione delle ricchezza sta invece aumentando. Per certi versi, l’analisi della Sassen rispecchia quella di Thomas Piketty all’inseguimento delle mutazioni di comportamento del capitale. Ma la studiosa della Columbia University, come sempre nella sua carriera, rimane più interessata agli aspetti umani e sociali. Allargando lo sguardo dagli Stati Uniti della crisi dei mutui, prova a interpretare la grande ondata migratoria che stiamo vivendo alla luce della sua idea di espulsione. “La chiamiamo ‘crisi’, ma dovremmo cominciare a pensarla come l’inizio di un nuova fase globale”, argomenta mescolando inglese e spagnolo. “Una nuova fase in cui i migranti che arrivano in Europa e negli Stati Uniti sono gli espulsi di altri territori”, come se altri meccanismi altrettanto efficaci di quelli finanziari avessero estratto, talvolta fisicamente, quello che era possibile estrarre: minerali, petrolio e gas, legname dalle foreste, humus dai terreni agricoli. E lasciando sul campo non solo gli esseri umani costretti a migrare, ma anche profonde cicatrici ambientali.
Se questi sono i risultati sulla società dell’applicazione del paradigma liberista, sembra dire la Sassen, è ora di cambiare il modo di pensare l’economia e la società. Qui probabilmente la sua analisi risente fin troppo delle influenze della controcultura americana (si è pur sempre formata durante quella stagione politica), quando sostiene che in Italia, così come in Spagna e Grecia sono le formazioni politiche nuove e dal basso che potrebbero guidare le scelte di questi paesi nei prossimi anni. La voglia di disintermediazione e di una riforma del rapporto di delega che ha contraddistinto la vita politica del secondo Dopoguerra è probabilmente qualcosa con cui la politica tutta deve necessariamente fare i conti, ma una proposta che si può riassumere in uno slogan del tipo più potere al popolo sembra tuttavia troppo semplicistico.
Dell’analisi della Sassen, quello che invece non perde di forza e fascino, è la sua disamina dei meccanismi che portano al potere. “Ogni sistema di potere contiene in sé le forze che lo possono portare alla sua stessa distruzione”, dichiara, “al punto che mi pare di vedere già una perdita di mordente della finanziarizzazione della società”. Come se dopo la sbornia di questi trent’anni di sempre maggiore finanziarizzazione oggi non ci fossero più gli spazi per un’ulteriore espansione. Di sicuro, nel frattempo, le ricchezze accumulate sono enormi e il sistema mantiene ancora una certa inerzia. “Ma il solo fatto che possiamo studiare e analizzare il meccanismo di potere significa che lo possiamo dominare. O usare per altri scopi, perché no?, positivi”.
Un ottimismo che per certi versi stupisce, data la durezza delle analisi che getta in faccia all’interlocutore. Saskia Sassen dimostra di seguire con attenzione anche quello che sta avvenendo in Europa, Italia compresa, dove ritiene che parte dei problemi siano dovuti alla sempre maggiore delega agli esperti delle scelte. “Sono scelte, invece, che devono essere fatte dalla politica”, coinvolgendo i più possibile i cittadini “che si devono sentire parte attiva delle scelte”. Una constatazione di come il rapporto tra istituzioni e cittadini sia freddo come poche altre volte nella storia recente. Il problema, forse, è che non è chiaro chi e come possa tornare a scaldarlo.

Fonte: Linkiesta

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