La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 marzo 2017

Legge 180: frammenti di un’odissea

di Daniele Pulino
A fronte di un momento storico caratterizzato da un progressivo indebolimento di alcuni diritti fondamentali ostaggio di una cultura sempre più securitaria e contenitiva, pensiamo che ricostruire la storia che ha condotto al riconoscimento e al consolidamento di quegli stessi diritti costituisca un atto politico di resistenza. È per questo che decidiamo di pubblicare come estratto del testo di Pulino, dedicato ad una preziosa e minuziosa ricostruzione del percorso politico e culturale che ha portato alla genesi della legge 180, un paragrafo che ripercorre i passaggi attraverso i quali la riforma è stata approvata. La lettura di questo testo ci mette così nelle condizioni di ricontestualizzare un passaggio epocale nella storia del nostro paese, restituendo complessità, contraddizioni e coordinate più definite alle radici dello sguardo con cui leggere e analizzare il contemporaneo.
L’approdo della riforma negli anni della “solidarietà nazionale”
La riforma psichiatrica arriva nel corso della settima legislatura (1976-1979), caratterizzata dalla stagione più dura del terrorismo, dal riesplodere dei movimenti nel 1977 e soprattutto dalla formazione di governi monocolore democristiani con l’appoggio esterno del Partito comunista: i cosiddetti governi di solidarietà nazionale. Alla base del nuovo equilibrio parlamentare si collocano gli esiti elettorali del giugno 1976. Le elezioni vedono l’avanzata elettorale del Partito Comunista, che incrementa il risultato ottenuto l’anno precedente nelle consultazioni amministrative che lo avevano portato al governo di molte grandi città italiane.
L’esito elettorale è positivo anche per il cartello politico democrazia proletaria. La Democrazia Cristiana, con il 38%, è sempre il partito di maggioranza relativa, tuttavia questo risultato va a discapito dei suoi tradizionali alleati di governo – liberali, repubblicani, socialdemocratici – ridotti ai loro minimi storici.[1] La discussione sul Servizio Sanitario Nazionale riprende in un mutato quadro politico, a partire da cinque nuovi progetti di riforma proposti dai partiti di quasi tutto l’arco costituzionale, seguiti infine da un progetto del governo stesso. Di questi solo il progetto presentato dai liberali ripropone l’ospedale psichiatrico e la sua trasformazione in ospedale specializzato, mentre tutti gli altri ne prevedono un superamento.
La proposta di legge presentata dal Partito Comunista (ddl n. 971) riprende il riferimento all’assistenza psichiatrica in termini simili a quelli del testo in discussione nella legislatura precedente. In particolare, nella relazione introduttiva si indica come dovrà operare la tutela della salute mentale all’interno dell’Servizio Sanitario Nazionale: “Privilegiando il momento preventivo nei confronti dei disturbi psichici, eliminando le condizioni di segregazione e di custodia, vietando la istituzione di ospedali psichiatrici, e strutture comunque emarginanti; realizzando il recupero sociale e il reinserimento dei soggetti sofferenti di disturbi della sfera psichica; utilizzando strutture flessibili e decentrate nel territorio, inserite nel complesso dei presidi per la tutela della salute generale. L’eventuale ricovero dei pazienti deve avvenire in spazi di degenza degli ospedali generali senza configurare reparti specializzati”. Rispetto al precedente disegno comunista si tratta pertanto di una presa di posizione più netta in relazione alla chiusura degli ospedali, che incorpora alcuni elementi già realizzati a livello locale.
Le proposte dei gruppi parlamentari del partito di unità proletaria e del Partito socialista presentano alcune somiglianze con il progetto comunista, ma sono più articolate. Il disegno di legge del Partito di Unità Proletaria, presentato il 3 febbraio 1977 (ddl n. 1105), esprime esplicitamente una vicinanza alle posizioni di Psichiatria Democratica: “Per quanto riguarda la psichiatria – si legge nella relazione introduttiva – la proposta di legge si muove su una logica che tiene conto delle posizioni, non solo teoriche, del movimento sorto in questi anni sui temi di una psichiatria democratica. Essa convalida soprattutto le esperienze alternative ben note da Gorizia in poi e oggi attive in diverse province”. Il disegno di legge è costruito su “due assi fondamentali”: il superamento degli ospedali psichiatrici e la previsione di interventi di prevenzione, riabilitazione e cura da attuarsi in strutture sanitarie che devono a loro volta trasformarsi per dare “risposte adeguate ai bisogni sanitari e sociali e insieme per la ricerca e la verifica delle contraddizioni che stanno a monte del bisogno”. Nel testo della proposta fanno ingresso anche altri due temi importanti: il superamento di tutte le strutture di segregazione ed emarginazione, quali gli istituti per minori e i brefotrofi, e i trattamenti sanitari dei soggetti con disturbo mentale che, secondo quanto disposto, devono avvenire esclusivamente con il consenso dell’interessato nei normali reparti di degenza. Qualche giorno più tardi, l’11 febbraio, anche il Partito Socialista presenta la sua proposta di legge sul Servizio Sanitario Nazionale (ddl n. 1145). Un’intera parte della relazione introduttiva, dedicata specificamente alla psichiatria, mostra come il Partito socialista abbia ormai assimilato il tema del superamento del manicomio.
Il testo introduttivo mette in evidenza l’importanza delle maggiori esperienze di cambiamento che hanno attraversato l’Italia: “nel nostro paese – così si apre la sezione dedicata alla psichiatria – una serie di contributi scientifici e politici hanno consentito la crescita della coscienza pubblica sui problemi della salute mentale. C’è stata una naturale evoluzione, dall’esperienza di Gorizia alle prime esperienze di strutturazione dei servizi territoriali di igiene mentale (Reggio Emilia, Arezzo, Perugia ecc.)”. Il testo prosegue con l’elenco delle strutture che si ritiene necessario superare in quanto “istituzioni dell’emarginazione e della segregazione”: manicomi giudiziari, ospedali psichiatrici, istituti per minori, gerontocomi e case di riposo, scuole speciali e classi differenziali, laboratori e aziende protette. Infine la relazione introduttiva vuole evidenziare l’idea di utilizzare per le fasi acute della malattia psichiatrica le strutture ospedaliere civili in stretto collegamento con i servizi che operano nella stessa area territoriale. Nel marzo dello stesso anno arriva anche un disegno di legge governativo (ddl n. 1252), in cui parte della relazione introduttiva è dedicata al tema dell’assistenza psichiatrica.
La sua particolarità è l’introduzione di un elemento che non era stato considerato dai precedenti disegni di riforma: la regolamentazione dei trattamenti sanitari obbligatori, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione[2]. A questo riguardo si prevede la nomina di una commissione di dieci deputati e dieci senatori con il compito di riordinare l’intera materia dei trattamenti sanitari obbligatori, rinviando al governo la predisposizione di uno o più decreti legislativi sulle limitazioni della libertà personale per motivi sanitari. A pochi giorni dalla presentazione del disegno di legge del governo anche il Partito Liberale presenterà una sua proposta (ddl n. 1271) che, come si è detto, non prevede il superamento del manicomio. a queste proposte va poi aggiunto un documento presentato dal Partito Repubblicano durante le fasi di discussione alla camera. Nel documento si cerca di definire le strutture sanitarie che dovranno occuparsi dell’assistenza psichiatrica. Limitatamente alle fasi acute i repubblicani prevedono un’assistenza ospedaliera da attuarsi nei reparti di medicina generale e un’assistenza extraospedaliera garantita attraverso servizi psichiatrici territoriali e poliambulatori.
La discussione dei cinque disegni di legge sul Servizio Sanitario Nazionale inizia il 27 aprile all’interno della Commissione Igiene e Sanità della Camera. L’8 dicembre 1977 il testo della Riforma Sanitaria elaborato dalla commissione approda alla Camera Dei Deputati per la discussione, comprensivo delle disposizioni che regolano i trattamenti sanitari obbligatori[3]. Com’è noto, l’approvazione della Riforma Sanitaria arriva solo dopo un anno, ma gli articoli sulla psichiatria impegnano fin da subito il dibattito parlamentare. Tra il 15 e il 20 dicembre 1977 le disposizioni della Riforma Sanitaria in materia di trattamenti psichiatrici vengono presentate all’assemblea. Il relatore della legge è Bruno Orsini (Democrazia Cristiana), psichiatra ed esponente della maggioranza, che si è occupato di preparare il testo in commissione insieme agli onorevoli Triva (Partito Comunista) e Tiraboschi (Partito Socialista). Nella sua relazione all’assemblea Orsini propone una breve ricostruzione della storia dell’assistenza psichiatrica con particolare riferimento alla situazione italiana. Pur definendo “estremistiche” le posizioni di Basaglia, sostiene: “ebbene posso dire ai colleghi che mi ascoltano, ma che certamente non sanno questa cosa, che i principi di fondo che ispirano la struttura generale del sistema sanitario nazionale sono stati elaborati, con oggettiva priorità, dal movimento di modernizzazione della psichiatria, che ha fatto suoi questi modelli almeno dieci anni prima che diventassero modelli di massa su cui strutturare tutto il sistema sanitario nazionale”. E continua: “debbo dire con profondo compiacimento che la legge che abbiamo dinanzi è esattamente basata su questi principi, che non sono il frutto di una improvvisazione, bensì di un lungo travaglio, di una lunga storia, di una lunga lotta culturale ed operativa condotta da quanti a questo settore hanno dedicato la loro vita e condotta anche da quanti in questo settore hanno vissuto la loro difficile condizione umana”.
Di tutto il testo della Riforma Sanitaria gli articoli che riguardano la psichiatria sono tra i primi a essere discussi. Le ragioni sono legate alla proposta di un referendum abrogativo della legge 36 del 1904[4], presentata il 30 giugno precedente dal Partito Radicale[5]. Nel febbraio 1978 la Corte Costituzionale ritiene legittimo il referendum, fissando la data per il mese di giugno. Al fine di evitare il referendum il Parlamento decide di stralciare gli articoli relativi ai trattamenti sanitari già discussi in assemblea. Sulle ragioni di questa scelta esistono due versioni differenti. Bruno Orsini sostiene che questa scelta era dettata dalla paura che l’esito del voto referendario fosse contrario all’abrogazione, e che dunque ponesse dei vincoli all’approvazione di una riforma di cui ormai tutti sentivano l’esigenza[6]. Altri osservatori, come ad esempio Giovanni Berlinguer, ricordano invece il timore che la vittoria del referendum e la conseguente abrogazione della legge del 1904, potesse creare un vuoto operativo e legislativo[7]. Paura che allora era prevalente anche nel movimento degli operatori psichiatrici[8]. Gli articoli del disegno di legge “accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” vengono discussi dalle commissioni di Camera e Senato che, per i tempi ridotti, operarono in seduta legislativa e approvarono il testo in un tempo record. Pubblicata nella gazzetta ufficiale del 16 maggio, la legge 180 rappresenta un passaggio epocale, che viene completato nel dicembre dello stesso anno, quando viene approvato, con i soli voti contrari del Partito Liberale e del Movimento Sociale, il testo completo della riforma sanitaria (l. 833 del 1978), che di fatto assorbe la riforma della psichiatria. Con il mutamento normativo provocato dalla legge 180 si ridisegna completamente il quadro del trattamento psichiatrico e si aboliscono i manicomi. Gli psichiatri, a livello politico, hanno un ruolo chiave nel determinare questo cambiamento approvando i contenuti della legge. Il 25 marzo 1978, infatti, sia Psichiatria Democratica che la Società Italiana di Psichiatria come pure l’associazione medici delle organizzazioni psichiatriche firmano un documento unitario sulle linee guida della nuova legge. Nel documento si afferma che l’iniziativa legislativa, che impedisce di fatto il referendum, può essere considerata accettabile esclusivamente se all’abolizione della legge del 1904 si affiancasse anche quella delle norme poliziesche e repressive, prodotto di una rozza cultura psichiatrica[9].
Gli psichiatri che gestivano le esperienze di innovazione degli ospedali, inoltre, avevano gettato le basi della riforma mostrando nella pratica la possibilità di un tipo di assistenza alternativo al manicomio[10]. Nel 1978 la provincia di Trieste è l’unica ad aver annunciato la chiusura del manicomio prima della riforma, mentre le province di Arezzo e Perugia hanno di fatto bloccato gli ingressi nei rispettivi ospedali psichiatrici. Ma nella maggior parte del paese, nonostante esista una presa di coscienza sul tema e nonostante i processi descritti nei capitoli precedenti, la riforma è ancora tutta da realizzare. Al passo compiuto verso il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza della persona con disturbo mentale sarebbe poi dovuto corrispondere un impegno per un’attuazione concreta.
Note

[1] G. Pasquino, 1945-1996. Profilo della politica in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1996.

[2] Per i temi dell’intero capitolo, D. Piccione, Il pensiero lungo. Franco Basaglia e la Costituzione, op. cit.

[3] Per un esame della discussione della Commissione Igiene e Sanità della Camera, cfr. F. Prina, La malattia mentale tra esclusione e diritti, cit., pp. 145-152.

[4] L’abrogazione riguardava gli articoli 1, 2, 3 bis della legge, ovvero quelli che regolavano ingresso e dimissioni dagli ospedali: cfr. Referendum per l’abrogazione di alcuni articoli della Legge 14 febbraio 1904, n. 36 – Disposizioni sui manicomi e sugli alienati, (consultato il 2 maggio 2013).

[5] Fin dagli inizi degli anni settanta una delle modalità di intervento del Partito Radicale fu la proposizione di referendum abrogativi su leggi e singole parti di leggi trasformando di fatto il referendum in sollecitazione ad affrontare i problemi. cfr. l. lotti, I partiti della Repubblica, le Monnier, Firenze, 1997, pp. 138-139.

[6] Cfr. B. Orsini, Intervista, Pol.it, 1998; G. corbellini, G. Jervis, La razionalità negata, Bollati Borighieri, Torino, 2008, p. 148.

[7] Cfr. a. de Seta (a cura di), La malattia mentale tra scienza e politica, Pol.it, 1998.

[8] Intervista con Maria Grazia Giannichedda.

[9] Cfr. M. Scarcella et al., Pericoloso a sé e agli altri. Cultura psichiatrica e istituzioni in Italia dall’inizio del secolo al dopo riforma, De Donato, Siena, 1980.

[10] Va anche sottolineato anche come già prima della discussione sulla l. 180, Sergio Scarpa aveva istituito all’interno della commissione sicurezza sociale del PcI un gruppo di lavoro sulla psichiatria, coordinato da Bruno Benigni, che svolse un ruolo importate di discussione con gli psichiatri del movimento al momento della discussione parlamentare. Intervista con Bruno Benigni.

Questo testo è un estratto dal testo “Prima della legge 180” di Daniele Pulino, edito per la collana 180, dalle Edizioni Alphabeta Verlag.

Fonte: lavoroculturale.org

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