La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 11 settembre 2015

La sinistra come riduzione del danno

 
di Barbara Bonomi Romagnoli
Fine ago­sto. A Vienna sfi­lano in migliaia per dire che que­sta vita non è vita, se donne e uomini, bam­bine e bam­bini, sono costretti dalla dispe­ra­zione e dalla guerra ad affron­tare esodi disu­mani e, pochi giorni dopo, nella remota Islanda decine di migliaia di cit­ta­dine e cit­ta­dini sono pronti ad acco­gliere i migranti in fuga. Sono pronti ad aprire le brac­cia, sarà un caso che il loro paese è con­si­de­rato addi­rit­tura un paese fem­mi­ni­sta?
Nelle stesse ore a Roma, in Vati­cano, una discreta folla di reli­giosi e fedeli accom­pa­gna le ese­quie di un prete accu­sato di pedo­fi­lia e 24 ore dopo il papa pensa bene di annun­ciare che le donne, se si pen­tono, saranno per­do­nate per aver abor­tito. Mossa indub­bia­mente vin­cente in vista del Giu­bi­leo, e che ancora una volta nulla dice agli uomini che magari hanno deciso quel pre­ciso aborto o che prima met­tono incinta la moglie e poi vanno a cer­carsi il tanto vitu­pe­rato sesso a paga­mento. Ma si sa, sono le donne ad essere sante o put­tane, gli uomini invece hanno altro a cui pen­sare, mas­simi sistemi — più o meno — per con­ser­vare il potere di cui, anche nel pic­colo mondo a sini­stra, dispongono.

E ancora: le donne che muo­iono sotto il sole della Puglia e quelle stu­prate sotto i cieli di Ragusa, pochi euro l’ora e accordi che nes­sun Jobs Act ha inten­zione di sra­di­care e per i quali nes­sun sin­da­cato si prende la briga di mobi­li­tare piazze.
E poi ancora: la sen­tenza di un tri­bu­nale indaga sui gusti ses­suali di una ragazza ven­tenne stu­prata da un branco, di gio­vani maschi «per­bene», e ci riporta indie­tro di decenni, senza che nes­suna opi­nione pub­blica venga scossa, se non sul mordi e fuggi dei social net­work. A scen­dere in piazza quasi solo le fem­mi­ni­ste, tanto si sa che que­ste sono «robe da fem­mine», che in fondo in fondo se la sono cer­cata; donne di tutte le età e pro­ve­nienza sociale con­ti­nuano ad essere ammaz­zate, ma la parola fem­mi­ni­ci­dio resta poco ele­gante, sco­moda, esa­ge­rata e nes­suna mini­stra del Governo si inter­roga sulla neces­sità di un cam­bio di passo urgente che inve­sta prima di tutto la poli­tica per modi­fi­care la cul­tura che sta die­tro la vio­lenza maschile sulle donne, disat­ten­dendo anche accordi inter­na­zio­nali sot­to­scritti dall’Italia, come la Con­ven­zione di Istanbul.
E cosa dire del fasti­dio di fronte alla pra­tica di un lin­guag­gio ses­suato e non ses­si­sta che nomini le cose per quello che sono? La filo­so­fia dai greci in poi ci inse­gna che le cose (e i corpi in rela­zione) esi­stono se ven­gono nominati.
Un punto fon­da­men­tale che hanno capito benis­simo gli altri, tutti quelli che dif­fon­dono volan­tini e orga­niz­zano con­ve­gni su pre­sunte «teo­rie gen­der» o cam­pa­gne leghi­ste che chie­dono di «denun­ciare il clan­de­stino» da Orzi­nuovi a chissà dove. Le parole sono impor­tanti e i nostri avver­sari poli­tici sem­brano cono­scerne l’uso molto più di noi (noi sini­stra intendo).
Se tutto que­sto è vita pos­siamo discu­terne, di certo alla domanda se «c’è vita a sini­stra» rispondo senza esi­tare: no, non c’è vita se accade tutto que­sto senza che ci sia un sus­sulto vero, un agire col­let­tivo pronto a dire «non è que­sta la vita che vogliamo». Le voci «auto­re­voli» della sini­stra, anzi­ché ammic­care a un Papa che fa sola­mente il suo mestiere, potreb­bero occu­parsi di inda­gare sul vuoto — di rela­zioni, valori, pra­ti­che — che stiamo lasciando dopo memo­ra­bili sto­rie di memo­ra­bili anni Settanta.
Non c’è vita a sini­stra se con­ti­nuiamo a fan­ta­sti­care di pre­sunte nuove alleanze, coa­li­zioni sociali&cartelli elet­to­rali, movi­menti sociali misti e maschi­li­sti, dove l’unica unità è data dal tenere fuori le pra­ti­che poli­ti­che delle donne, le ela­bo­ra­zioni fem­mi­ni­ste, le migliaia di donne native e migranti che in que­sto paese si osti­nano a modi­fi­care un mondo che non ci piace.
Donne che, volenti o nolenti, ripro­du­cono la vita che abbiamo e quella che vor­remmo, anche quando scel­gono — sia chiaro una volta per tutte — di non essere madri, per­ché sono ugual­mente loro/noi ad agire le rela­zioni di cura che ripro­du­cono il mondo.
Che poi ci sia una vita di resi­stenza non c’è dub­bio, a voler essere mino­ri­tari lo spa­zio c’è sem­pre, e anche non ci fosse, noi fem­mi­ni­ste abbiamo impa­rato a pren­der­celo senza chie­dere il permesso.
Ma vogliamo con­ti­nuare a rac­con­tar­cela fra noi o vogliamo pro­vare a rico­struire un reale e sostan­ziale dia­logo con il resto del mondo?
In que­sti decenni la sini­stra ha perso ter­reno su tutto, su troppo. Sul piano dei diritti e su quello dei doveri, dall’incapacità di par­lare fuori dai pro­pri cir­cuiti alla volontà di rimuo­vere al pro­prio interno il con­flitto fra i sessi e anche quello inter­ge­ne­ra­zio­nale, se alla fine della fiera — lungi da qua­lun­que rot­ta­ma­zione Renzi style — il pas­sag­gio di con­se­gne avviene solo all’interno di una logica lea­de­ri­stica e di spar­ti­zione delle pol­trone e dove l’età media si perde parec­chie gene­ra­zioni che hanno dinanzi il futuro, tranne quando viene messo den­tro un/una gio­vane per magna­ni­mità. Rosan­gela Pesenti, neo­pre­si­dente nazio­nale dell’associazione degli archivi Udi (il più grande patri­mo­nio archi­vi­stico di sto­ria poli­tica delle donne in Ita­lia) sostiene, a ragione, che in poli­tica abbiamo tutte la stessa età: veris­simo, e pro­prio per que­sto inter­ro­ghia­moci sul per­ché nei luo­ghi non dico di deci­sione ma anche solo di discus­sione la media non scende sotto i 35/40 anni.
E se chie­dete per­ché, in molte non pos­siamo non rispon­dere che que­sti dibat­titi e luo­ghi sono pro­fon­da­mente noiosi e auto­re­fe­ren­ziali. Siamo stan­che, disin­can­tate, la pre­ca­rietà ci atta­na­glia e le moda­lità che ven­gono con­ti­nua­mente ripro­po­ste smor­zano qua­lun­que pas­sione e desiderio.
La que­stione a que­sto punto credo che possa essere posta solo in ter­mini di «ridu­zione del danno»: c’è spa­zio, desi­de­rio e tempo per ini­ziare a ridurre i danni pro­vo­cati dalla Sini­stra dalla guerra del Kosovo in poi? C’è soprat­tutto la con­vin­zione che la ridu­zione è pos­si­bile solo a par­tire da una radi­cale modi­fica delle rela­zioni fra sessi e generi? Se rico­min­ciamo da qui forse la potenza della vita, nelle sue mol­te­plici e con­flit­tuali forme, potrà avere la meglio sul potere che annienta i nostri corpi.

Fonte: il manifesto

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