La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 11 settembre 2015

I soldati di Mosca costringeranno gli Usa a dialogare

 
di Chiara Cruciati
Più che un brac­cio di ferro sul tavolo siriano si gioca una par­tita a scac­chi, fatta di indi­scre­zioni, smen­tite, velate minacce. Ma l’improvvisa esca­la­tion della ten­sione mili­tare potrebbe segnare il destino di un paese disa­strato e di un pre­si­dente, Assad, che rien­tra dalla fine­stra. Un destino dal vago sapore nove­cen­te­sco: Occi­dente e Rus­sia gesti­scono la par­tita, affian­cati dai rispet­tivi alleati regionali.
Dopo giorni di accuse da parte degli Stati uniti, secondo cui Mosca sta­rebbe costruendo una base aerea a Lata­kia (in aggiunta a quella già esi­stente di Tar­tous, la sola russa nel Medi­ter­ra­neo) e avrebbe inviato unità da com­bat­ti­mento, ieri fonti liba­nesi hanno detto alla Reu­ters che, sì, i russi par­te­ci­pano già alle ope­ra­zioni mili­tari e apri­ranno due basi nel paese. Noti­zie che fanno tre­mare i polsi al pre­si­dente Obama e al segre­ta­rio di Stato Kerry, che con­ti­nua a chia­mare il Crem­lino per chie­dere spie­ga­zioni. Che pun­tual­mente non arri­vano: Mosca insi­ste che i pro­pri con­si­glieri mili­tari non imbrac­ciano le armi. Anche Hez­bol­lah è inter­ve­nuto: Abu Zalem, respon­sa­bile mili­tare, ha riba­dito che si tratta solo di esperti per­ché «in Siria non abbiamo biso­gno di truppe, ma di strateghi».

Quello a cui assi­stiamo è una fase pre­pa­ra­to­ria: i due fronti, il pro e l’anti-Assad, con­sa­pe­voli che la situa­zione è ben diversa – in ter­mini di equi­li­bri di forza – da quella del 2011, si ripo­si­zio­nano in vista dello scon­tro. Che non sarà bel­lico, guer­reg­giato. Impro­ba­bile che Obama, in sca­denza di man­dato, rivo­lu­zioni la sua poli­tica del “nes­sun sti­vale sul ter­reno”. Com’è impro­ba­bile che il suo suc­ces­sore, che sia demo­cra­tico o repub­bli­cano, opti per inviare i mari­nes con un’opinione pub­blica con­tra­ria a ripe­tere disa­strose espe­rienze come quella ira­chena o afgana.
A cosa ser­vi­ranno dun­que i sol­dati di Putin, che siano dispie­gati dav­vero oppure no? A costrin­gere gli Usa al com­pro­messo, con un mes­sag­gio chiaro: senza il sì della Rus­sia e la tutela dei suoi inte­ressi nes­suna tran­si­zione poli­tica potrà reg­gere. Il mes­sag­gio giun­gerà con la guerra a Isis, al Nusra e gruppi satel­lite: i jet di Mosca col­pi­ranno nelle zone che la coa­li­zione – per “coe­renza” – non col­pi­sce, dove uffi­cial­mente a gover­nare è Assad: Lata­kia, Pal­mira, Homs, Damasco.
Fre­nata l’avanzata del con­flitto, si apri­reb­bero le porte del nego­ziato tra l’attuale governo e le oppo­si­zioni mode­rate per la crea­zione di un ese­cu­tivo di unità. E Assad? Forse alla fine sarà costretto a farsi da parte, ma solo se sosti­tuito da un diretto rap­pre­sen­tante che ras­si­curi l’asse sciita Hezbollah-Iran, alleato russo, e non metta in peri­colo l’influenza di Tehe­ran nel paese. Gli Stati uniti e la lunga schiera di alleati, dall’Europa al Golfo, sal­ve­reb­bero la fac­cia facen­dosi scudo die­tro la pre­senza di quelle eva­ne­scenti oppo­si­zioni con­si­de­rate uni­che rap­pre­sen­tanti del popolo siriano.
Le prime frat­ture, le prime defe­zioni, nel gra­ni­tico fronte occi­den­tale si vedono già: l’Europa, mai cre­di­bile nella gestione della crisi siriana, si sta spac­cando tra chi vuole bom­bar­da­menti a tap­peto e chi ritiene neces­sa­rio aprire ad Assad. Men­tre il segre­ta­rio della Nato Sto­ten­berg si dice pre­oc­cu­pato della cre­scente atti­vità mili­tare russa in Siria e la Fran­cia riba­di­sce che allon­ta­nerà una solu­zione poli­tica, la stessa Gran Bre­ta­gna (dopo aver annun­ciato il via alle ope­ra­zioni mili­tari) ieri ammor­bi­dava le posi­zioni. «Non stiamo dicendo che Assad debba andar­sene il primo gionro – ha detto il segre­ta­rio agli Esteri Ham­mond – Sono pronto a discu­tere la posi­zione russa e ira­niana: dob­biamo muo­verci verso le ele­zioni e allora saranno i siriani a deci­dere se Assad dovrà restare pre­si­dente». Per cui, ha aggiunto, che resti per sei mesi come mezzo di tran­si­zione, poi si vedrà (pro­po­sta riget­tata in un’intervista al The Guar­dian da Dama­sco che ripete che le ele­zioni di un anno fa si sono chiuse con la vit­to­ria dell’attuale presidente).
Musica simile da Roma, Ber­lino, Madrid e Vienna: il mini­stro degli Esteri spa­gnolo José Manuel Gar­cia Mar­gallo ha chia­ra­mente indi­cato nei «nego­ziati con Assad» la solu­zione al con­flitto (e quindi, pen­sano le can­cel­le­rie euro­pee, all’emergenza rifu­giati), men­tre l’austriaco Kurz parla di «approc­cio prag­ma­tico che coin­volga Assad».
L’Iran, da parte sua, forte dell’accordo sul nucleare e della nuova veste di media­tore regio­nale, non ha mai nasco­sto l’intenzione di lan­ciare un dia­logo serio, met­tendo sul tavolo Onu piani di pace a cui par­te­ci­pino le oppo­si­zioni. Resta il Golfo, oggi quasi silente sulla que­stione siriana, risuc­chiato dalla ter­ri­bile ope­ra­zione per il con­trollo dello Yemen. Il grande finan­zia­tore della guerra civile siriana e dell’avanzata isla­mi­sta andrà ridi­men­sio­nato attra­verso reali con­trolli sul flusso di denaro fago­gi­tato dalle casse islamiste. 


Fonte: il manifesto

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.