La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 11 settembre 2015

Il nuovo muro è macedone

di Teodoro Andreadis Synghellakis
Il mini­stro degli Esteri dell’ex Repub­blica jugo­slava di Mace­do­nia (Fyrom), Nikola Popo­ski, in una inter­vi­sta al set­ti­ma­nale unghe­rese Figyelo, ha annun­ciato che il suo paese, sul modello dell’Ungheria, sta valu­tando la pos­si­bi­lità di costruire «una bar­riera» sul con­fine con la Gre­cia, per fer­mare i migranti in arrivo dal Sud. Popo­ski ha aggiunto che il paese avrà biso­gno di «un qual­che tipo di difesa mate­riale», anche se que­sta non rap­pre­sen­te­rebbe una solu­zione defi­ni­tiva. «Se pren­diamo seria­mente ciò che l’Europa ci sta chie­dendo, ce ne sarà biso­gno. O di sol­dati, o di una bar­riera, o una com­bi­na­zione di que­sti due ele­menti». Nella gior­nata di lunedì hanno attra­ver­sato i con­fini meri­dio­nali della ex Repub­blica jugo­slava di Mace­do­nia set­te­mila siriani, il più alto numero regi­strato sinora nell’arco di ven­ti­quat­tro ore.
I migranti affron­tano un cam­mino quasi inter­mi­na­bile, con con­di­zioni meteo­ro­lo­gi­che che in que­ste ore sono tutt’altro che favo­re­voli: piove senza sosta, la tem­pe­ra­tura ha regi­strato un forte calo e il fango osta­cola note­vol­mente gli spo­sta­menti. Nelle set­ti­mane scorse, decine di migliaia di pro­fu­ghi ave­vano oltre­pas­sato il con­fine, dalla zona greca di Kil­kìs, attra­ver­sando la Fyrom, e arri­vando in Ser­bia e infine in Unghe­ria.
La stessa mini­stra respon­sa­bile per la gestione dei flussi migra­tori del governo Tsi­pras, Tas­sia Chri­sto­du­lo­pulu, aveva dichia­rato recen­te­mente al mani­fe­sto che la Gre­cia non inco­rag­gia la par­tenza dei pro­fu­ghi, «ma non può certo mili­ta­riz­zare tutti i suoi con­fini di terra, che sono estre­ma­mente estesi».
Uffi­cial­mente Atene non com­menta la noti­zia, anche per­ché la Gre­cia, come è noto, è in cam­pa­gna elet­to­rale e almeno fino al 21 set­tem­bre rimarrà in carica il governo ad inte­rim, pre­sie­duto dalla pre­si­dente della corte di cas­sa­zione Vasi­likì Tha­nou. L’unico che potrebbe espri­mersi, a mas­simo livello, è il pre­si­dente della Repub­blica, Pro­ko­pis Pavlo­pou­los, che non intende, tut­ta­via, ali­men­tare alcun tipo di ten­sione.
È chiaro, tut­ta­via, che se il pro­getto di Sko­pje dovesse essere real­mente attuato, andrebbe ine­vi­ta­bil­mente a influen­zare nega­ti­va­mente i rap­porti tra i due paesi. Da una parte la Gre­cia si tra­mu­te­rebbe nuo­va­mente in un limbo per decine di migliaia di pro­fu­ghi e migranti. I ten­ta­tivi, sep­pur dif­fi­cili e infor­mali, di supe­rare di fatto Dublino 2, e dare libertà di movi­mento ai pro­fu­ghi, ver­reb­bero bru­sca­mente bloc­cati.
Atene, alle prese con la ben nota crisi eco­no­mica, non rie­sce a for­nire assi­stenza a lungo ter­mine a cen­ti­naia di migliaia di “dispe­rati del mare”. Paral­le­la­mente, si incre­men­te­reb­bero gli affari dei traf­fi­canti che cer­cano di offrire spe­ranze a chi lascia die­tro di sé guerre e dispe­ra­zione, pro­met­tendo approdi in Ita­lia, con nuove, rischio­sis­sime tra­ver­sate dell’ Adria­tico. Già il 21 ago­sto il governo dell’ex Repub­blica jugo­slava di Mace­do­nia aveva man­dato l’esercito ai con­fini con la Gre­cia, per cer­care di evi­tare il pas­sag­gio dei pro­fu­ghi. E i mezzi di infor­ma­zione greca ave­vano sot­to­li­neato che «ai con­fini con Sko­pje l’aria ini­zia a puz­zare di pol­vere pirica».
La Ser­bia, al con­tra­rio, desi­de­rosa di entrare a far parte dell’Ue, ha fatto sapere che non intende eri­gere nes­sun tipo di muro al fine di «impe­dire l’entrata dei migranti nel suo ter­ri­to­rio». Il mini­stro degli esteri Popo­ski, con­scio delle cri­ti­che che pio­ve­ranno sul suo paese, ha anche dichia­rato che «ogni volta che il suo governo prende sul serio quello che gli chiede l’Europa, cer­cando di con­trol­lare i con­fini e fer­mare le per­sone, arriva subito una rea­zione inter­na­zio­nale nega­tiva».
Resta agli atti che Buda­pest e Sko­pje mostrano di non riu­scire a com­pren­dere che l’Europa– final­mente — sem­bra decisa a cam­biare rotta sulla que­stione dei flussi migra­tori, pri­vi­le­giando il dia­logo e l’integrazione, e non la costru­zione di nuovi muri, che creano «pro­fu­ghi pri­gio­nieri» e ali­men­tano nuove e impre­ve­di­bili tensioni.

Fonte: il manifesto

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