La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 12 settembre 2015

Diritto alla città: chi decide e su che cosa?

La decisione è un meccanismo fondamentale nell’esercizio della gestione e amministrazione della società; un ambito che, evidentemente, è all’ordine del giorno per i difficili equilibri della convivenza, della produzione e riproduzione, della gestione dei servizi, della garanzia dei diritti. Questo a partire dalle metropoli fino ad arrivare a territori meno densamente abitati.
Tale processo è stato trasformato in concomitanza con la rottura del paradigma della rappresentanza politica, nella formula del dopoguerra, e l’affermazione della formula della delega, strutturata a partire dagli anni ’90. Questa trasformazione ha progressivamente sottratto potere decisionale da ambiti di discussione larghi, partecipati e massivi per verticalizzarlo in maniera mortifera o meglio ad immagine e somiglianza del comando capitalista.
Del resto questo processo coincide con l’imposizione di modelli di sfruttamento economico e sottrazione delle risorse collettive a disposizione delle comunità, costruendo momenti di eccezione perenne. Del resto, e non a caso, le riforme istituzionali, i continui tagli e i vincoli di bilancio imposti ai comuni non fanno che immobilizzare i cosiddetti enti di prossimità, istituzioni politiche ipotizzate e vissute come accessibili, per spostare sempre più in alto i luoghi e gli ambiti della decisione, portandola a livelli inaccessibili, rappresentati negli ultimi anni dalla governance europea.
Non a caso i movimenti territoriali e in difesa dei beni comuni si ritrovano sinergicamente e intuitivamente a condividere discussioni e ragionamenti in cui si ritrovano meccanismi e modelli riproducibili in ambiti assolutamente distanti, come può essere un piccolo comune, una costa di mare, una montagna o i servizi di una grande metropoli. In tal senso, occorre superare la statica dicotomia tra urbano e non urbano, e indagare invece i processi di urbanizzazione che investono gli spazi cittadini così come gli ambiti territoriali. L’urbanizzazione, attraverso una logica essenzialmente estrattiva, è vettore che investe sia le città che i territori, rendendo del tutto sfumati i confini che separano accumulazione per sfruttamento e accumulazione per spoliazione. Come osservano Federico Rahola e Massimiliano Gureschi: ‘Il problema resta però ancorato a una polarizzazione e a un confine, quello tra urbano e non-urbano, che continua a riprodursi meccanicamente quasi fosse scontato, riflettendosi in un’accentuata separazione di logiche di valorizzazione e accumulazione, tra dispossession e sfruttamento, produzione di surplus e suo assorbimento, che oggi appaiono invece inevitabilmente sovrapposte.’
I meccanismi di espropriazione e creazione di profitto sono sovrapponibili ma, soprattutto, c’è il livello della decisione su gli ambiti collettivi, e quindi di interesse per l’intera comunità, che coincidono perfettamente. Pensare alla devastazione di un territorio e quindi della sua prospettiva nel futuro e di quotidianità coincide con la sottrazione di un servizio e la sua messa sul mercato. Questo perché, al di la della contrapposizione che genera la produzione di profitto privato a scapito della ricchezza collettiva, pone immediatamente l’esclusione dalla decisione e quindi dalla possibilità di incidere sul proprio futuro. Si chiude con la democrazia formale per aprire ambiti decisionale dal sapore autoritario; chiaramente non quelli con il fez sulla testa, ma con il silenzio irreale dei conti bancari.
A partire da queste intuizioni molto spesso i movimenti e le realtà che animano da anni quelle battaglie si interrogano e si bloccano nella difficoltà di trovare una formula organizzativa ma, probabilmente, ancor prima sulla difficoltà di mettere in condivisione un ragionamento su quale sia la possibile alternativa a questo modello decisionale, a quale snodo alternativo tra verticale e orizzontale e, di conseguenza, a quale modello alternativo fare appello per superare una forma esclusivamente di resistenza.

Fonte: Euronomade

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