La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 12 settembre 2015

Sindacalismo sociale: domande aperte

L’offensiva portata avanti dal Governo Renzi è anzitutto un attacco senza precedenti al salario, al diritto di coalizione e al diritto di sciopero. Metter bene a fuoco i nodi fondamentali dell’attacco è utile per trovare la bussola dentro la fase politica e culturale che stanno attraversando i movimenti sociali in Italia. Il Jobs Act, ovvero la quinta riforma del mercato del lavoro realizzata in Italia negli ultimi quattro anni, ha fatto emergere gli obiettivi dell’offensiva neoliberale in corso in Europa. Nella crisi di rappresentanza delle grandi organizzazioni sindacali confederali, ormai inoffensive e trasformate in burocrazie di servizio, nuove ed indipendenti forme di sindacalismo sociale stanno producendo un cambio di paradigma dentro e oltre i movimenti sociali in Italia.
L’impossibilità di ricomporre la frammentazione sociale e del lavoro a partire da una categoria centrale ed egemone è la base condivisa da cui ha preso forma, con il primo Sciopero Sociale del 14 novembre 2014, una coalizione inedita tra studenti, precari, lavoratori autonomi, disoccupati.
Questa assieme ad altre esperienze embrionali di sindacalismo e coalizioni sociali ci pare abbia aperto uno spazio di sperimentazione che punta alla ricostruzione di rapporti di forza dentro e fuori il luogo di lavoro, una ricerca politica improntata allo sviluppo di nuove forme organizzative con un’attitudine maggioritaria e trasversale socialmente in grado di ricomporre le soggettività frammentate dai processi di precarizzazione in Italia e in Europa.
È precisamente a partire dal problema della ricostruzione di forza negoziale e di potere nella crisi che vorremmo aprire la discussione. In particolare, occorre interrogare il modo in cui le proposte che hanno caratterizzato il discorso programmatico dei movimenti (welfare universale, salario minimo, reddito di base) vengano, da un lato, ridefinite nel nuovo contesto mutato dagli anni della crisi e, dall’altro, possano porsi come istanze di collegamento di un agire politico multilivello (locale, nazionale, europeo).
Proponiamo alcuni punti e domande aperte alla discussione.
Gli effetti delle politiche di austerità e le modificazioni delle norme di funzionamento del mercato del lavoro stanno radicalizzando la «crisi di misura del lavoro». Da un lato, questa crisi è dimostrata dall’incredibile diffusione del lavoro gratuito o sottopagato il quale fa venire meno la stessa idea che la retribuzione debba garantire livelli minimi di sussistenza, dall’altro l’altrettanta significativa diffusione di lavori inutili, che sembra abbiano l’unico senso di confermare la norma del lavoro salariato. Di fronte a questo scenario, in che modo le rivendicazioni salariali così come quella del reddito di base intervengono su questa crisi, ponendo la necessità di istituire, dal basso, nuove misure della cooperazione sociale?
Come la rivendicazione di salario e reddito di base contrasta, non solo con i dispositivi del workfare, ma si confronta con la crisi occupazionale e con la diffusione del lavoro autonomo di nuova generazione?
Abbiamo più volte sottolineato che assieme alle esperienze di nuova organizzazione del lavoro, il sindacalismo sociale si compone di prototipi di inedite forme di mutualismo, autogestione e nuova istituzionalità. In che modo queste esperienze, nel mentre registrano e reagiscono alla pesante compressione dei livelli di benessere, alludono ad una forma autonoma della riproduzione sociale?
In che modo esse alludono ad una «riconversione della spesa sociale» questa volta alternativa alla logica binaria del pubblico e del privato? Com’è possibile esercitare potere su questa riconversione e in quale direzione occorre spingere affinché esse puntino ad un rafforzamento e ad un’estensione della cooperazione sociale autonoma?
Quali istituti di lotta sono in grado di animare, e rendere efficaci, delle pretese programmatiche?

Fonte: Euronomade

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