La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 11 settembre 2015

Sinistra. I frammenti di esistenza e la vita possibile

di Livio Pepino
Nono­stante i molti sti­mo­lanti e lucidi con­tri­buti al dibat­tito pro­mosso dal mani­fe­sto con­ti­nuo a dubi­tare che ci sia vita a sini­stra. Ci sono idee, pas­sioni, spe­ranze, delu­sioni, fram­menti di esi­stenza che si richia­mano a una vicenda a cui diamo con­ven­zio­nal­mente il nome di “sini­stra”. Ma la vita, in poli­tica, è altro: è un pro­getto che cam­bia la realtà, una comu­nità di pra­ti­che e di rela­zioni, un senso di appar­te­nenza, un modo di essere e di rap­por­tarsi, una rico­no­sci­bi­lità esterna… Tutte cose di cui ci sono poche tracce a sini­stra, nono­stante la pas­sione e l’impegno di molti. E la vita non si (ri)costruisce met­tendo insieme i cocci di quel che è stato o rici­clando in veste di lea­der i pro­ta­go­ni­sti delle scon­fitte dell’ultimo decen­nio (fino alla disfatta del 2013) e, men che meno, i pezzi di risulta del par­tito che, più di ogni altro, ha dis­si­pato la sto­ria e il patri­mo­nio ideale di gene­ra­zioni di militanti.
Nulla di per­so­nale, benin­teso. Anzi, una nuova casa, se ci sarà, dovrà essere aperta e ospi­tale: capace di acco­gliere e met­tere a frutto anche espe­rienze ed errori ma con­sa­pe­vole che la costru­zione di una nuova sto­ria richiede una totale discon­ti­nuità (anche per­so­nale) rispetto al pas­sato. Per­ché è inu­tile e un po’ pate­tico farsi illu­sioni: senza un radi­cale cam­bio di mar­cia, di pro­spet­tive, di orga­niz­za­zione, di lea­der­ship l’irrilevanza di quel che con­ti­nuiamo a chia­mare “sini­stra” è ine­vi­ta­bile. Una nuova casa e una nuova sto­ria si pos­sono, forse, costruire ma solo muo­vendo da alcuni punti fermi.
Primo. Ci vuole un pro­getto. Non un cata­logo onni­com­pren­sivo di illu­sioni, in cui è facile disper­dersi e con­fon­dere. E nep­pure una pura indi­ca­zione di schie­ra­mento. Ma un obiet­tivo sem­plice, chiaro e com­pren­si­bile: l’uguaglianza e la pari dignità di tutti. Che è, poi, il solo modo per bat­tere le insi­cu­rezze, le paure e le chiu­sure iden­ti­ta­rie che avve­le­nano le nostre società. Porre un obiet­tivo signi­fica assu­mere impe­gni. Da rea­liz­zare subito e a medio ter­mine. A cui con­for­mare le poli­ti­che eco­no­mi­che, nazio­nali ed euro­pee (e non il con­tra­rio). Con chi ci sta. Facen­done una parola d’ordine (senza distin­guo intel­let­tua­li­stici sul pre­sunto sem­pli­ci­smo e la dema­go­gia del mes­sag­gio…). Con scelte con­se­guenti: gesti e alleanze sovra­na­zio­nali per ribal­tare l’attuale assetto euro­peo, cri­tica delle poli­ti­che eco­no­mi­che reces­sive, per­se­gui­mento di un modello di svi­luppo più fru­gale e rispet­toso dell’ambiente (con abban­dono della fol­lia delle spese mili­tari e delle grandi opere), impo­si­zione fiscale equa ed effi­cace (estesa ai patri­moni e alle ren­dite finan­ziare), inter­venti imme­diati a soste­gno delle fasce più deboli, ripri­stino delle tutele fon­da­men­tali del lavoro e dei lavo­ra­tori, intro­du­zione di un red­dito di cit­ta­di­nanza, defi­ni­zione di un sistema isti­tu­zio­nale plu­ra­li­sta e rispet­toso delle mino­ranze e via elen­cando.
Secondo. Le idee, anche le migliori, non sono cre­di­bili senza com­por­ta­menti coe­renti. Non nascon­dia­mo­celo: la scon­fitta dello stato sociale, la deva­sta­zione ambien­tale, il degrado della vita pub­blica sono avve­nuti, nel nostro paese, con il con­corso o, nella migliore delle ipo­tesi, senza rea­zioni apprez­za­bili di chi si diceva (e si dice) di sini­stra. E non solo sul ver­sante stret­ta­mente poli­tico, come dimo­stra la realtà sco­per­chiata da «mafia capitale»…
La man­canza di com­por­ta­menti e di gesti di rot­tura ha lasciato ad altri (in parte i 5 Stelle) il mono­po­lio della diver­sità. Di una diver­sità visi­bile, non spoc­chiosa, priva di dema­go­gia ma vicina a chi, intanto, è stato spo­gliato di tutto, anche della spe­ranza, e per­ce­pi­sce le isti­tu­zioni come nemi­che. Con i gesti è man­cata (manca) la vita, la pre­senza nei luo­ghi della mag­gior sof­fe­renza sociale (come ha scritto su que­ste pagine Ales­san­dro Por­telli a pro­po­sito dei rap­porti tra migranti e peri­fe­rie). Le parole d’ordine di ugua­glianza e di lotta alla povertà sono cre­di­bili solo se pra­ti­cate. Con forme e luo­ghi di acco­glienza, mense popo­lari, ambu­la­tori di cura gra­tuiti, rispo­ste dal basso ai biso­gni dif­fusi… Con una comu­nità poli­tica (per­ché que­sta è la poli­tica) che ci metta, a seconda della capa­cità di cia­scuno, pre­senza, pro­fes­sio­na­lità, risorse eco­no­mi­che e quant’altro. A volte, qua e là, accade. Ma sono, ancora sol­tanto frammenti.
Terzo. C’è la que­stione dell’organizzazione. Le buone idee e le buone pra­ti­che non bastano. Troppe volte abbiamo pen­sato, con un certo eli­ta­ri­smo, che idee e pra­ti­che si autoaf­fer­mino per il fatto di essere buone. Non è così. Esse si esten­dono e si rea­liz­zano solo se c’è capa­cità di aggre­ga­zione. Se c’è una sin­tesi orga­niz­za­tiva capace di dare unità a espe­rienze ete­ro­ge­nee e di espri­mere una rap­pre­sen­tanza (non un lea­der) in grado di misu­rarsi con una realtà in cui la comu­ni­ca­zione e l’immagine stanno sop­pian­tando i valori. Una realtà che non ci piace ma che non pos­siamo esor­ciz­zare. Che è meglio cer­care di gover­nare piut­to­sto che subire.
Non ci sono bac­chette magi­che né facili suc­cessi die­tro l’angolo. Soprat­tutto dopo che, in par­ti­co­lare nel 2013, abbiano lasciato ad altri pra­te­rie oggi occu­pate. Ma le cose cam­biano. E pos­sono aprirsi altri oriz­zonti. Ci sarà a breve, con ogni pro­ba­bi­lità, un refe­ren­dum sullo stra­vol­gi­mento della Costi­tu­zione in atto. Può (deve) essere una grande occa­sione di mobi­li­ta­zione e di aggre­ga­zione: per vin­cere quella bat­ta­glia e per andare oltre. Ma si deve par­tire per tempo (e non all’ultimo momento). In forme nuove e coe­renti. Indi­cando da subito modi e tappe. Con­tem­pe­rando urgenza e neces­sità di costruire su fon­da­menta solide.
Mi limito a qual­che indicazione:
occorre pun­tare sul pro­ta­go­ni­smo delle molte ete­ro­ge­nee realtà che vivono il ter­ri­to­rio unendo rifles­sione e vita (nella pra­tica sociale, nell’informazione, nella difesa dei beni comuni e dell’ambiente, nella lotta per la casa e per il lavoro…);
serve una strut­tura di ser­vi­zio auto­re­vole che coor­dini in via prov­vi­so­ria que­sto per­corso con uno sguardo lungo, capace di andare oltre: non è impos­si­bile tro­vare dispo­ni­bi­lità a farlo;
in que­sto per­corso è auspi­ca­bile che ci siano anche le forze poli­ti­che super­stiti della sini­stra, ma alla irri­nun­cia­bile con­di­zione che non ci siano pre­tese ege­mo­ni­che o aspet­ta­tive legate a ren­dite di posizione.
Cosa c’è, in ciò, di diverso dai molti ten­ta­tivi fal­liti degli anni scorsi? Non la pre­tesa di avere sco­perto l’acqua calda. Più sem­pli­ce­mente, insieme a una occa­sione nuova, il rife­ri­mento a realtà sociali, il radi­ca­mento ter­ri­to­riale, l’accento sulla orga­niz­za­zione, la ten­sione verso una rap­pre­sen­tanza radi­cal­mente rin­no­vata. È troppo poco per rico­struire una vita a sini­stra? Per saperlo biso­gna provarci.

Fonte: Il manifesto

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