La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 7 gennaio 2016

Diritti&adozioni, divisioni incivili

di Maria Teresa Accardo
Non ci sarà nessun referendum sulla legge sulle unioni civili, come invece suggerisce a chi non le vuole Benedetto Della Vedova, fan di Monti ma anche tessera radicale. Benché quella del referendum sia una delle tante minacce del ministro Alfano, la strada del quesito è chiaramente un’arma scarica per chi si oppone alle unioni civili: l’elettorato sommergerebbe di ridicolo il dubbio sanguinoso che in questi giorni attanaglia la maggioranza del governo Renzi. E il Pd.
La legge Cirinnà sulle unioni civili ripartirà al senato il 26 gennaio. Entro il 22 sarà possibile presentare gli emendamenti. E quindi anche la proposta di quell’«affido rafforzato» al posto della «stepchild adoption» (e cioè l’adozione del figlio del partner) che forse salverebbe l’unità della maggioranza ma non quella del Pd, dando soddisfazione ai cattolici e umiliando i già pazientissimi laici. Ieri Alfano sull’Avvenire ha minacciato nuove «slavine» e sfracelli (compreso il carcere per chi fa ricorso all’«utero in affitto»), con parole però particolarmente sgradevoli, oltreché bugiarde: «La stepchild adoption rischia di portare il Paese verso l’utero in affitto, verso il mercimonio più ripugnante che l’uomo abbia saputo inventare». «O il ministro ignora le leggi italiane oppure fa una speculazione, quella sì ripugnante, sulla pelle dei bambini», è la replica dell’associazione Certi Diritti, della Luca Coscioni e di Radicali Italiani. «Vuole mantenere il paese nel medioevo», quella di Arturo Scotto, di Sinistra italiana.
Alfano minaccia un lontano e improbabile referendum, ma non l’unico strumento che ha a portata di mano, l’«ordigno di fine di mondo», cioè di governo, come gli consiglia Gaetano Quagliariello (altro ex radicale, ma ha fatto una riuscita diversa): «Per difendere la civiltà si utilizza ogni arma in proprio possesso. Compresa la propria determinante partecipazione a un governo».
Ma l’«ordigno di fine di mondo» per prima cosa tirerebbe giù le precarissime certezze dell’Ndc nell’esecutivo. Alfano si guarda bene anche solo dall’evocarlo. Le unioni civili «non fanno parte dell’accordo di governo, nessuno può pretendere che le votiamo», spiega a Radio Anch’io, ma «non c’è da minacciare una crisi di governo», appunto. E se il Pd fosse tentato di votare con la sinistra e i 5 stelle, come suggerisce la sinistra dem? «Lavoriamo, senza mettere il carro davanti ai buoi, per trovare un punto di equilibrio razionale». «Nessuna prova muscolare all’interno della maggioranza», gli fa eco Renato Schifani. E Fabrizio Cicchitto raccomanda: «Prevalga la saggezza», «gli accenni fatti da alcuni senatori su ipotesi dell’affido vanno approfondite e non escluse pregiudizialmente».
Il carico da novanta su un dibattito già tesissimo ieri l’ha messo il cardinal Angelo Bagnasco, arcivescovo di Venezia ma soprattutto presidente della Cei, durante le celebrazioni dell’Epifania: «Nessun’altra forma di convivenza di nucleo familiare, nessun altra istituzione pur rispettabile può oscurare o indebolire la centralità della famiglia», ha detto, perché «significa compromettere il futuro dell’umano». Parole pesanti che riportano le lancette indietro all’epoca degli scontri sui «valori non negoziabili» ormai archiviati insieme al papato di Benedetto XVI e all’attivismo dei cattolici oltranzisti del centrodestra italiano, ormai solo un (brutto) ricordo.
Stavolta le parole di Bagnasco, grande oppositore di papa Bergoglio, hanno raccolto meno consensi del passato: tutto il parlamento sa di dover lavare la colpa di un incivile ritardo sulla legge. Ma il presidente dei vescovi sa di essere ascoltato, anche in silenzio, nei palazzi del potere italiano.
E per Matteo Renzi il problema delle unioni civili, e in esso soprattutto quello dell’adozione del figlio del partner da parte, a lungo rimandato, ora rischia di esplodere. Il capogruppo della camera Ettore Rosato assicura che il gruppo del Pd «farà una sintesi e quella sarà la linea che i parlamentari terranno in aula». Ma Renzi alla conferenza di fine anno ha assicurato che su alcuni punti «sensibili» il suo partito lascerà libertà di coscienza.
Forse questo basterà a non spaccare il suo partito, e non è detto, ma di certo non mette in sicurezza la maggioranza. Al premier farebbe comodo un accordo win-win con il centrodestra alleato: un accordo che gli consenta di sventolare l’approvazione della legge alle prossime amministrative ma senza rischiare su altri tavoli –primo, quello della riforma costituzionale — nel proseguo della legislatura.
Ma il premier non sa come uscire dall’angolo. Ieri La Stampa ha ipotizzato un interessamento da parte del Colle. Una specie di «moral suasion» per un testo non divisivo del parlamento. Un testo così servirebbe a Renzi. E gli sarebbe utile poter evocare il Colle per convincere i ’suoi’ laici. Ma non c’è alcun motivo di credere che il capo dello stato, così attento a non interferire sulle questioni di competenza parlamentare, voglia derogare a questo solido convincimento.

Fonte: il manifesto 

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