La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 11 aprile 2017

Syme e Marx, lezioni di vita. Intervista a Luciano Canfora

Intervista a Luciano Canfora di Gianni Messa
Luciano Canfora ha formato generazioni di studenti e di studiosi con i suoi testi e le sue lezioni. Ma quella del maestro è una figura della quale parla malvolentieri. "Non esiste un maestro nel nostro percorso, ma una serie di incontri e letture che possono essere importanti. Penso a due testi basilari per me: La rivoluzione romana di Ronald Syme e La rivoluzione francese di Albert Mathiez. Due volumi fondamentali come Il Manifesto di Marx ed Engels, che ha ancora una grande freschezza letteraria".
Parlando di persone che ha visto e frequentato, invece?
"Innanzitutto mio padre e mia madre". Che erano lo storico della filosofia Fabrizio Canfora e la latinista e grecista Rosa Cifarelli (sorella del deputato e senatore repubblicano Michele), due noti e apprezzati insegnanti del liceo Orazio Flacco.
"Poi ci sono alcuni dei miei docenti: il pensiero va a Michele D'Erasmo e Renato Scionti, così come a Ettore Lepore e Carlo Ferdinando Russo".
Possiamo dire, parafrasando il suo testo sui filosofi greci, che quello del maestro sia un mestiere pericoloso?
"In realtà mi preoccupano i cattivi maestri".
Ovvero?
"Quelli che si pongono intenzionalmente come maestri : sono soggetti altamente sospetti". Eppure il termine maestro ha origini nobili e antiche: penso a quelli che insegnavano la grammatica e la retorica. "Bisogna andare ancora più indietro: il didàscalo era il regista che insegnava agli attori e al coro. Lo stesso insegnamento filosofico nasce presto: c'era chi parlava raccontando di altri. Talete sicuramente no, ma Pitagora e Platone sì. L'insegnamento di Isocrate fu istituzionale e retorico, ma anche filosofico e politico".
E il Canfora studente?
"Nulla di speciale. A quei tempi a scuola si lavorava dai primi di ottobre a giugno senza sprecare il tempo. Non c'erano assemblee sindacali o inutili manifestazioni sulla Thailandia".
Qual era il suo rapporto con la matematica?
"Al ginnasio avevo un professore con un nome importante: Giovanni Gentile. Persona di grande spirito e docente efficace e asciutto. Poi cambiai sezione, per non ritrovarmi i miei genitori, e mi dedicai alla matematica con meno dedizione. Ma la matematica è con la filosofia uno dei capisaldi per la nostra formazione. Quella scuola era una fucina di studenti capaci: altro che certi docenti divenuti tali ope legis con la Cgil Scuola e che danneggiano le generazioni con cui lavorano".
Nel suo volume Intervista sul potere è evidente una grande tensione emotiva per l'Università di Bari degli anni Sessanta e Settanta: mi riferisco anche alla passione che segnò il lavoro di Mario Sansone.
"Sansone fu un preside capace e fortemente motivato nel suo impegno di far crescere la nostra Università. Oltre ad Ambrogio Donini, la cui vicenda è ricordata in quel volume, portò da noi grandi docenti come Luigi Moretti, il padre del regista e attore Nanni, e lo stesso Lepore, con Pasquale Villani e Franco De Felice".
Quell'Università sembrava molto più interessata alla crescita di Bari rispetto a oggi.
"Anche oggi l'Università rappresenta per propria natura una presenza di primaria importanza per Bari. Benito Mussolini la pensò come un polo moderno e in grado di competere con Napoli. Non è un caso che negli anni successivi due grandi docenti, Giuseppe Semerari e Aldo Cossu, si ritrovarono assieme sui banchi del consiglio comunale, quasi a suggellare il legame forte con la città. Anche la nascita del Politecnico è stato un evento assolutamente positivo per Bari, se pensiamo al contributo che apportano Ingegneria e Architettura".
C'è un allievo del quale il Canfora maestro è orgoglioso?
"Il Canfora maestro non esiste, altrimenti sarei anch'io altamente sospetto: mi ritengo invece un eterno studente. E fra i nostri studenti c'è gente bravissima dalla quale anch'io, a mia volta, ho imparato qualcosa".

Fonte: La Repubblica 

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