La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 aprile 2017

Teoria e politica in Hannah Arendt

di Maria Teresa Pansera 
Presentiamo qui, per la prima volta in versione italiana, i testi di una serie di lezioni svolte da Hannah Arendt presso il Berkeley College dell’Università della California nel semestre primaverile del 1955, anno in cui il dipartimento di Scienze politiche la invitò a tenere, come visiting professor, un corso sulla storia della teoria politica. Si tratta di una raccolta di appunti preparatori delle lezioni, scritti direttamente dalla Arendt principalmente a macchina, ma anche con qualche aggiunta manoscritta, in lingua inglese. La possibilità di aver accesso a questi papers, attualmente disponibili negli Stati Uniti presso la Library of Congress di Washington e l’Hannah Arendt Center della New School for Social Research di New York e in Germania presso l’Hannah Arendt Zentrum di Oldenburg, ci ha permesso di cogliere l’importanza del rapporto tra politica e filosofia, o meglio tra filosofia e teoria politica, come recita il titolo dato dalla Arendt al modulo didattico History of Political Theory. Per tutta la sua vita la nostra Autrice ha evitato ogni definizione o etichettatura del suo lavoro, sottraendosi alle facili categorizzazioni e preferendo essere considerata una teorica della politica piuttosto che una filosofa. Ricostruire una teoria politica significa prendere in considerazione i diversi elementi che hanno contribuito alla definizione dei vari paradigmi dell’universo politico nel corso della storia, mettendo così a punto una nuova prospettiva che possa servire come base di partenza per l’opera di decostruzione della Main-Tradition con l’obiettivo di recuperare i punti di contatto tra quest’ultima e l’età moderna; in altri termini ricostruire una storia della teoria politica evidenziando quegli aspetti ancora in grado di influire sul presente.
Questo era per la Arendt il primo importante impegno didattico e fu molto colpita dal rapporto che instaurava con gli studenti. Essi accorrevano in gran numero ai suoi seminari a cui partecipavano più di cento persone, trasformando così la sua “lezione in uno spettacolo”[i]. Inoltre in una lettera a Kurt Blumenfeld riferisce, non senza una certa soddisfazione, l’espressione di uno studente in merito alle sue lezioni: “Rosa Luxemburg è tornata fra noi”[ii]. Se il rapporto con gli studenti era buono il clima sociale, politico e culturale di Berkeley le riusciva estraneo e difficile da sopportare, sia per la vastità del campus e la conseguente burocrazia che soffocava tutte le attività sia per le sue arie aristocratiche e per l’alto numero di nuovi ricchi tra gli studenti. Anche l’ambito filosofico era trascurato e poco stimolante tanto da far dire alla Arendt in una lettera a Jaspers “la filosofia è scaduta in semantica. Ed è anche una semantica di terz’ordine. Eppure questa è un’università di buon nome”[iii].
Alla fine del semestre, anche se aveva instaurato dei buoni rapporti con alcuni insegnanti e con molti studenti, Arendt lasciò Berkeley con la decisione che non sarebbe mai diventata un’accademica a tempo pieno. Infatti da allora accettò soltanto incarichi che le permettessero, almeno per la metà dell’anno, di essere libera di scrivere e di compiere i suoi viaggi in Europa. In questo modo il suo rapporto con l’insegnamento migliorò sensibilmente in quanto ritrovò la libertà di realizzare i suoi lavori di ricerca ed anche il piacere di comunicarli ai giovani.
La collocazione temporale di questo ciclo di lezioni è particolarmente indicativa. Siamo nella primavera del 1955, solo nel 1951 Arendt aveva ottenuto la cittadinanza americana, dopo aver vissuto come apolide per circa quattordici anni, e in quello stesso anno aveva pubblicato la sua prima importante opera: Le origini del totalitarismo[iv]; per la stampa di un nuovo volume dobbiamo attendere sino al 1958, anno in cui appare Vita activa. La condizione umana[v]. A metà strada tra queste due importanti opere si collocano le lezioni presso il Berkeley College, di particolare interesse in quanto anticipano di circa tre anni molti dei contenuti che verranno rivisti e rielaborati nell’ambito della Vita activa. In primo luogo il rapporto con la tradizione e con il pericolo connesso ad alcuni suoi elementi costitutivi e in particolare l’autonomia del ragionamento logico, in quanto la complessità del reale non può essere ridotta ad un assunto assiomatico dal quale procedere per deduzione. Arendt condurrà questa indagine non per ridurre il nazismo e lo stalinismo esclusivamente ad esito inevitabile della razionalità calcolante, ma con l’obiettivo di comprendere la specificità del fenomeno totalitario e l’influenza avuta su di esso da taluni aspetti del pensiero occidentale.
La delusione nei confronti del pensiero astratto, e quindi dei filosofi di professione, nasce nella Arendt da una concreta esperienza storica, dall’ascesa e dalla crisi del nazismo in Germania, senza che gli intellettuali tedeschi abbiano saputo comprendere la gravità di quanto stava accadendo, in quanto erano troppo occupati a escogitare grandi sistemi, dando, così, un’eccessiva importanza all’aspetto contemplativo e ideativo del pensiero, rispetto a quello pratico e politico. Essa ha cercato di riportare al centro dell’attenzione quella “condizione umana” che la filosofia aveva opportunisticamente emarginato ed allontanato, perché troppo complessa, imprevedibile e non malleabile: la praxis, intesa nel suo significato di agire politico. Il suo scopo è di aprire la strada al ripristino della comprensione specifica della originarietà e autenticità dell’azione, come libertà e comunicatività, priva di ogni contaminazione con le categorie della poiesis e della techne e distinta dalle dimensioni necessarie della pura sopravvivenza. Per raggiungere questo scopo distingue tre fondamentali modelli, o meglio tre categorie specifiche in cui si articola l’agire l’umano: il lavoro (labor), l’opera (work) e l’azione (action), e le tre tipologie di umanità a loro corrispondenti: l’animal laborans, l’homo faber e lo zoon politicon.
Per Arendt il pensiero politico attuale ha perso i contatti con la sua natura originaria, perché non coglie più i caratteri specifici e peculiari dell’agire umano, ma li fa rientrare in un quadro dove ha la prevalenza il sapere teorico. La filosofia non solo ha snaturato e frammentato la portata del pensiero politico, riducendo drasticamente la ricchezza e l’articolazione della pluralità, ma ha anche instaurato la prassi di basare il tutto partendo da una delle due facoltà, azione o pensiero, ritenuta preminente[vi]. La cultura greca, infatti, prima di Platone, aveva basato sull’agire tutte le sue conoscenze, mentre la scuola socratico-platonica aveva capovolto la situazione, subordinando tutto al pensiero. Il Cristianesimo aveva svalutato entrambi i termini a favore della contemplazione e la modernità aveva posto al vertice di ogni considerazione la conoscenza scientifica; infine la cultura contemporanea aveva dato la preminenza al lavoro. La Arendt intende interrompere tale procedura e, invece di partire da categorie astratte, vuole analizzare l’agire proprio dell’uomo nel quale quest’ultimo manifesta la sua peculiarità più alta e nobile, che gli consente una collocazione armoniosa con gli altri uomini, con se stesso, con il mondo e il suo futuro. Riporta così al centro dell’attenzione l’azione intesa nel suo significato di agire politico.
Queste tematiche che costituiscono la base su cui si articola la trattazione della Vita activa sono già presenti in nuce nelle lezioni al Berkeley College dove sia il rapporto con la tradizione che la rottura di quel filo ormai spezzato e non più riannodabile la portano a porsi la domanda sul significato dell’essere umano. Il collasso di un intero patrimonio culturale permette alla nostra Autrice di recuperare quei tesori nascosti che la tradizione aveva tenuto accuratamente celati. Riscopre così l’importanza di molti autori che hanno avuto influenza sulla storia della teoria politica, quali Hobbes, Locke, Machiavelli, Montesquieu, Marx, Kant ed altri, analizzati singolarmente nelle lezioni e poi ampiamente rifusi all’interno della Vita activa. Se nelle lezioni questi studi sui singoli autori hanno un aspetto prevalentemente didattico, è evidente però che tutto questo materiale costituirà la partenza per una più ampia riflessione che coinvolgerà il senso della condizione umana nella società di massa, intendendo quello “pseudo-spazio pubblico” che occupa l’animal laborans, tutto concentrato nella sua esclusiva “pseudo-attività” di produrre e consumare oggetti d’uso. L’uniformità costituisce, quindi, l’essenza di questa sfera sociale, basata sul conformismo e l’omogeneità dei suoi componenti, sommersi dalla routine della vita quotidiana e spinti soltanto dall’urgenza di soddisfare necessità materiali uguali per tutti. Le condizioni fondamentali dell’esistenza umana: vita, nascita, morte, pluralità, terra e mondanità, che per lungo tempo erano rimaste relativamente costanti, stanno ormai subendo continui mutamenti. L’uomo è riuscito a porsi fuori dal pianeta Terra e a contemplarlo viaggiando sulle astronavi; i manufatti da lui creati per trasformare l’ambiente naturale in una “mondanità” artificiale più consona alle sue esigenze hanno preso l’aspetto di beni di consumo da usare e gettare il più velocemente possibile. La sfera sociale ha finito per soffocare quella politica, ha invaso tutto lo spazio pubblico e ha trasformato gli esseri agenti in accaniti consumatori. Così l’invadenza della produzione tecnica e il moltiplicarsi degli interessi particolari hanno portato all’eclissi della politica e della dimensione pubblica ad essa connessa e attualmente minacciano anche l’ambiente naturale e la stessa vita umana[vii].
Questi elementi, che caratterizzeranno la stesura della Vita activa, possono, in certo qual modo, essere ritrovati anche nelle Lezioni al Berkeley College, che ne costituiscono la premessa storico-filosofica e quindi ci offrono la possibilità di ricostruire lo svolgersi del pensiero arendtiano nel corso degli anni cinquanta. Per questo motivo abbiamo pensato potesse essere utile a quanti studiano il pensiero della Arendt conoscere questi appunti delle sue lezioni e trarne così alcune anticipazioni dei suoi futuri lavori.
Un ultimo accenno al problema della lingua. Le lezioni, o meglio gli appunti in loro preparazione, sono state scritti in inglese, con piccole aggiunte in tedesco e rari riferimenti in francese. Se la Arendt scrive in inglese, tuttavia possiamo dire che pensa in tedesco, prediligendo frasi lunghe e ricche di proposizioni subordinate. Aveva imparato a scrivere in inglese, da autodidatta, quando era giunta in America a più di trentacinque anni e non aveva mai raggiunto in questa lingua la scioltezza che aveva con il tedesco e con il francese. I suoi scritti venivano sempre sottoposti ad un lavoro di cura a cui ella stessa partecipava attivamente. Naturalmente, in questo caso, non abbiamo potuto seguire questo percorso e abbiamo dovuto accontentarci di quanto siamo riusciti a elaborare partendo dal dattiloscritto in esame. Abbiamo cercato di rendere al meglio gli appunti arendtiani modificando una punteggiatura, a volte, pleonastica e evitando le ripetizioni e sciogliendo le frasi particolarmente contorte. Inoltre abbiamo evitato di riportare le intere pagine di citazioni non accompagnate da interventi dell’Autrice, che a nostro avviso avrebbero soltanto appesantito il testo. La suddivisione in capitoli è stata revisionata e in parte aggiunta per rendere il testo più agevole e fruibile.
Nel consegnare questo lavoro alle stampe rimangono comunque alcuni dubbi e perplessità, visto che si tratta di un materiale usato per delle lezioni e assolutamente non rivisto dall’Autrice per la pubblicazione e che, quindi, non raggiunse mai una configurazione definitiva. Tuttavia consideriamo molto stimolante poter instaurare un dialogo con la Arendt della metà degli anni cinquanta, nel periodo in cui il suo pensiero stava elaborando quegli schemi concettuali che avrebbero costituito la cifra della Vita activa ed anche dei numerosi saggi e lavori che seguiranno, infatti, forte di questo bagaglio storico-politico-filosofico, avrebbe affrontato la sua partecipazione al processo Eichmann e la successiva stesura della Banalità del male[viii].

NOTE

[i] E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975 Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Milano 1990, p. 338.

[ii] Arendt a Blumenfeld, 31 luglio 1956, Marbach.

[iii] Arendt a Jaspers, 5 febbraio 1955, Marbach.

[iv] H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, Harcourt Brace Jovanovich, New York 1951, tr. it. Le origini del totalitarismo, Edizoni di Comunità, Milano 1967.

[v] H. Arendt, The Human Condition, University Press, Chicago 1958, tr. it. Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, tr. ted. Vita Activa oder von tätigen Leben, Kohlammer, Stuttgart 1960.

[vi] A. Del Lago, La difficile vittoria sul tempo. Pensiero e azione in Hannah Arendt, intr. all’ediz. it. di The Life of the Mind, Harcourt Brace Jovanovich, New York-London 1978, tr. it. La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 9-59.

[vii] Cfr. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit., pp. 7-17.

[viii] H. Arendt, Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, Viking Press, new York 1961, tr. it. La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, tr. ted. Eichmann in Jerusalem. Ein Bericht von der Banalität des Bösen, Piper, München1964.

Nota editoriale: Nel 1955 Hannah Arendt ha tenuto, come visiting professor, un corso di lezioni a Berkeley sulla storia della teoria politica occidentale che fa da sfondo a molte delle tesi poi espresse in Vita activa. Recentemente, è uscita la traduzione italiana degli appunti arendtiani relativi al corso, intitolata Per un'etica della responsabilità. Lezioni di teoria politica. Ne contestualizza il significato la curatrice, nella introduzione che qui pubblichiamo e per la quale ringraziamo la casa editrice Mimesis.

Fonte: MicroMega online - il Rasoio di Occam 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.