La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Ascoltare l’Iraq

di Sarah Lazare
L’Iraq non è morto, non è una terra desolata, non è un semplice palcoscenico per l’invasione, l’occupazione o la battaglia geopolitica.
L’Iraq è un luogo con le persone che ci vivono, alcune delle quali sono impegnate in un prolungato e coraggioso lavoro organizzativo progressista. Tra l’ascesa dell’IS – e insieme a interventi occidentali e regionali – gli organizzatori nel campo femminista ambientalista e dei lavoratori, stanno lottando per un futuro di maggiore speranza. Hanno bisogno di comprensione internazionale e di appoggio, non di compassione e cancellazione
Questa tesi, sostenuta energicamente nel nuovo libro di Ali Issa: Against All Odds: Voices of Popular Struggle in Iraq [Contro ogni previsione: voci di lotta popolare in Iraq], dovrebbe essere ovvia. Di fatto, però, è rivoluzionaria, almeno per persone come me che si sono avvicinate al movimento pacifista statunitense nel 2003 e che continuano a essere inondate di immagini dei media e della politica dell’Iraq come se fosse un unico obiettivo di morte e di distruzione, e della sua gente come vittime sfortunate.
La tesi presentata da Issa, che è un organizzatore appartenente alla Lega degli Oppositori della Guerra, è rivoluzionaria perché la dignità, l’umanizzazione e l’autodeterminazione sono l’antidoto al militarismo e all’occupazione, e il sollevarsi delle voci irachene e le storie di resistenza gettano una luce verso un mondo migliore.
Focalizzandosi sull’attività organizzativa dopo il 2003, Issa tratteggia gli interessanti, anche se spesso trascurati movimenti di protesta del paese, attraverso storie e interviste con le persone che vi operano.
Persone come Yanar Mohammed dell’Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq (OWFI) che nel momento centrale della “dimenticata” Primavera Araba del loro paese, trovò il tempo di scrivere una lettera di solidarietà a Occupy Wall Street nel novembre del 2011 in cui dichiarò che “è ora di entrare con la forza nei castelli e nei palazzi dell’1% e rivendicare quello che è giustamente vostro, per iniziare una nuova era basata sulla pace globale, l’uguale divisione della ricchezza, l’umanità.”
L’Iraq all’epoca era testimone della rinascita delle mobilitazioni di massa che sono state brutalmente represse fin dal 2003. Le organizzazioni che comprendevano il Movimento Popolare per Salvare l’Iraq, e l’Organizzazione Studentesca e Giovanile di un Iraq Libero, hanno organizzato dei sit-in presso le basi militari statunitensi e le proteste si sono estese a Mosul, Ramadi e Baghdad malgrado gravi violenze del governo. Le richieste comprendono inviti per i servizi sociali fondamentali, la fine all’occupazione degli Stati Uniti e del sistema settario di governo che essi avevano imposto, il rilascio dei prigionieri politici e la sovranità economica e i diritti dei lavoratori
Quando gli Stati Uniti hanno fatto la loro “uscita” dall’Iraq, tanto celebrata, anche se incompleta, più di una dozzina di organizzazioni di base organizzarono le proteste del “Venerdì della sconfitta dell’Occupazione” chiedendo la partenza di tutti i soldati e un nuovo fronte per opporsi alla seconda faccia dell’ occupazione rappresentata dal suo governo settario e dalla costituzione controversa.
Questa richiesta di un novo fronte sarebbe preveggente.
Un’altra ondata di proteste iniziò nel 2012 e durò fino al 2013 malgrado la brutale repressione governativa. I dimostranti chiedevano il rilascio dei prigionieri politici, particolarmente delle donne, e la fine delle esecuzioni arbitrarie. “Dai primi giorni gli slogan chiedevano unità e il rifiuto del settarismo e della divisione,” ha detto Fatah Alwan, presidente della Federazione dei Consigli dei lavoratori e dei sindacati in Iraq, in un’intervista del gennaio 2013.
Hashmeya Mushin al-Saadawi è la presidente del Sindacato dei lavoratori della Compagnia elettrica dell’Iraq e la prima vice presidente donna della Federazione dei Lavoratori iracheni a Basra. Nel maggio 2012 descrisse le complesse lotte per combattere i “semi del settarismo” piantati dall’occupazione statunitense, difendendo allo stesso tempo anche il diritto dei lavoratori di organizzarsi (malgrado severe leggi contro i sindacati continuate fin dall’epoca di Saddam Hussein) e di difendere i servizi essenziali come il sistema previdenziale e l’elettricità.
Issa rintraccia i fili delle lotte della società civile, compresi i tentativi delle persone come Nadia al-Baghdadi di base a Baghdad, che operano per salvare il fiume Tigri e le Paludi da un progetto del governo turco di costruire la diga di Ilisu. Questo tentativo faceva parte di una più ampia iniziativa di tenere il primo forum dell’Iraq per il suolo, nel settembre 2013 con lo slogan “Un altro Iraq è possibile con la pace, i diritti umani e la giustizia sociale.”
Forse la testimonianza più coinvolgente del libro è quella di Jannat Alghezzi, direttrice del settore dei media dell’OWFI, che per prima entrò in contatto con l’organizzazione femminista quando cercava rifugio dalle minacce della sua famiglia di fare un delitto d’onore. Ora fa l’organizzatrice per le intersezioni di genere e per la giustizia economica, aprendo case rifugio per le famiglie che fuggono dall’ISIS.
“Il nostro movimento è piccolo e la nostra influenza non posso dire che sia grande. Allo stesso tempo, però, l’impatto che produciamo è come un raggio di luce,” ha detto Jannat nel settembre 2014. “Mia figlia, o forse mia nipote potranno trarre beneficio da ciò che faccio oggi. Malgrado tutto, siamo ottimisti.”
Il concetto che queste lotte sono importanti, è una sfida politica, non soltanto ai detentori del potere negli Stati Uniti, in Iraq e oltre, ma anche per i componenti della sinistra contraria alla guerra in Occidente. Molti di noi, cercando di essere solidali con gli iracheni, non si sono connessi con i loro specifici movimenti sociali sul terreno o hanno trovato i modi di essere importanti per le loro vite quotidiane. Molti di noi mettono in risalto il ruolo degli Stati Uniti come architetti della guerra e burattinaio politico, senza mettere in luce anche le lotte irachene per l’agenzia, o anche i ruoli di altri paesi nella regione, come l’Iran e l’Arabia Saudita che stanno gareggiando per il potere.
Issa non evita di contestare la sinistra, compresi gli scrittori fidati come Patrick Cockburn che ha scritto articoli nel 2006 e nel 2013 sulla “fine dell’Iraq.” L’effetto di questo annuncio, dice Issa, “è che le persone che vivono davvero in Iraq – le loro comunità, i loro sogni e le vittorie, piccole e grandi, vengono rese di nuovo invisibili.
Issa domanda: “Come possiamo capire la politica, l’economia, la cultura o la società in qualsiasi luogo senza i principali protagonisti, le persone?”
Questo libro offre il dono di indirizzare i lettori verso questi protagonisti. Cercateli. Hanno nomi, siti web, richieste e analisi politiche.
Proprio adesso, in mezzo a un’ondata di calore estivo soffocante, le proteste dilagano in Iraq mentre la gente di Basra e di Baghdad chiede beni di consumo essenziali come l’acqua e l’elettricità, e anche la fine della corruzione del governo. I gruppi come l’OWFI stanno operando per fornire luoghi sicuri dall’ISIS, e allo stesso tempo evitando la repressione da parte del governo iracheno. Nascosta ai riflettori dei media, e spesso con poco sostegno, la lotta continua.
Impariamo e ascoltiamo.

Originale: Counterpunch
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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