La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 28 agosto 2015

I numeri del Jobs Act: quel pasticciaccio brutto di via Veneto 56


di Veronica Gianfaldoni e Giaime Carboni
Questa volta, al Ministero del Lavoro, l’hanno fatta proprio grossa: certamente avrete già letto tutti del clamoroso errore nella diffusione dei dati sull’occupazione, secondo cui i contratti a tempo indeterminato dei primi sette mesi dell’anno sono stati sovrastimati di oltre 300.000(trecentomila, non ci siamo sbagliati, noi) unità.
Dal primo trimestre di quest’anno, lo stesso Ministero rilascia le comunicazioni obbligatorie sul mercato del lavoro con cadenza mensile, anziché trimestrale, dopo i dubbi sorti sui dati rilasciati nel primo trimestre del 2015. Già all’epoca, in un pezzo del 30 marzo, Davide Serafin scriveva su questi schermi:
“Il Ministro Poletti annuncia l’aumento di 79.000 unità fra le nuove attivazioni contrattuali a tempo indeterminato nel periodo Gennaio-Febbraio 2015, a confronto con il medesimo periodo del 2014. Va da sé che sono dati parziali (il computo viene fatto per trimestre e la pubblicazione ufficiale del Ministero Lavoro avverrà solo a Giugno), tuttavia stiamo parlando di nuovi contratti a tempo indeterminato e dovremmo esserne felici, non è vero?
Facendo un po’ di ricerca (difficile accedere al dato disaggregato), si può notare che:
1) a nuove attivazioni corrisponde in genere un certo numero di cessazioni (licenziamenti ma soprattutto pensionamenti);
2) Poletti divulga solo il primo dato (gli piace vincere facile);
3) il governo non è nuovo a queste semplificazioni: a Novembre, quando i dati del terzo trimestre 2014 fecero segnare un +7% per i nuovi contratti a tempo indeterminato, vennero fatte all’incirca le medesime considerazioni.”
Fin da allora avanzavamo i primi dubbi sull’affidabilità dei dati commentati dal Ministero, ma ancora non avevamo chiaro quanto i numeri fossero ballerini, mentre era palese quanto il Ministro fosse condizionato dalla propaganda governativa nel commentare i dati a uso e consumo della narrazione, anziché dalla necessità di analizzare i dati per prendere decisioni di policy più efficaci a contrastare la desertificazione produttiva del nostro Paese.
È con i dati di Maggio – divulgati a Giugno – che i dubbi sulla qualità dei dati diffusi cominciano a prendere corpo. In un pezzo del 15 giugno Giaime Carboni e Davide Serafin, scrivevano:
“Entrambi i database (quelli del Ministero del Lavoro e quelli dell’INPS, nda) dovrebbero contenere l’intero universo di riferimento, dal momento che si tratta di due adempimenti obbligatori da parte delle aziende. Sarebbero ragionevoli differenze residuali, non certamente nell’ordine che si osserva. Questo pone dei dubbi sulla qualità dei dati a disposizione e mette in discussione l’affidabilità delle rilevazioni effettuate.”
La statistica, si sa, intesa come interpretazione dei dati, non è matematica: i numeri di per sé non hanno voce, e la loro comunicazione dipende da quello che si vuole rappresentare e dal tipo di informazione che si desidera divulgare. Mac’è una differenza sostanziale tra utilizzare uno stesso dato per comunicare informazioni differenti e comunicare un dato errato. Differenza che sembra essere sfuggita ai commentatori.
E col passare dei mesi, i dubbi sull’affidabilità dei dati e sul loro utilizzo scellerato da parte del Governo non hanno fatto che aumentare, fino ad esplodere nella dichiarazione rilasciata il 6 agosto dal Presidente dell’INPS Alleva che, intervistato da Il Fatto Quotidiano, dichiara:
“Abbiamo assistito a un caos poco edificante di cui anche i giornalisti hanno un’ampia responsabilità. Quelli forniti dal ministero e dall’Inps sono dati di fonte amministrativa, non “statistiche”. Valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accettabile. Il governo fa il suo mestiere, ma a me preoccupa molto quando si sbandierano dati positivi dello 0,1%, anche perché poi – come si è visto – portano a fare dietrofront il mese dopo”.
Insomma, al di là dell’errore grave e macroscopico da parte di un Ministro e del suo ufficio nel calcolare il numero di contratti a tempo indeterminato (per rinfacciare a gufi e civette che l’Italia riparte), non c’è molto di nuovo sotto il sole.
C’è solo un Ministero trasformato in ufficio marketing per fare propaganda dei dati raccolti, al fine di dipingere una situazione sempre e comunque positiva che, nella realtà, purtroppo non esiste. Tanto più che da Maggio i contratti a tempo indeterminato non sono più cresciuti (attivazioni nette Maggio +247; Giugno circa -10.000; Luglio +47).
Ci auguriamo che, in futuro, i dati diffusi siano migliori per accuratezza e affidabilità, in modo da permettere a chi ha il tempo, la capacità e la voglia, di analizzarli, di studiare soluzioni ed elaborare proposte che possano portare davvero l’Italia fuori dalla crisi.
Insomma, che almeno il Ministro diffonda dati che permettano ad altri di fare il suo mestiere.

Fonte: Possibile

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