La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Varoufakis risponde ad accademici

Quando Yanis Varoufakis è stato eletto al parlamento e poi nominato ministro greco delle finanze a gennaio, egli si è imbarcato in sette straordinari mesi di negoziati con i creditori del paese e con i suoi partner europei.
Il 6 luglio gli elettori greci hanno sostenuto la sua posizione intransigente in un referendum, con un sonoro voto del 62% a favore del No all’ultimatum dell’Unione Europea. Quella sera si è dimesso, dopo che il primo ministro Alexis Tsipras, temendo una brutta uscita dall’eurozona, ha deciso di andare contro il verdetto popolare. Da allora il partito al governo, Syriza, si è diviso e sono state indette immediate elezioni. Varoufakis resta membro del parlamento e voce di spicco nella politica greca ed europea.
Interrogato sulla decisione di Tsipras di dare il via a immediate elezioni, invitando il pubblico greco a formulare il proprio giudizio sul suo periodo in carica, Varoufakis ha affermato: “Se solo fosse così! Agli elettori si chiede di avallare la decisione di Alexis Tsipras, la sera del loro imponente verdetto referendario, di capovolgerlo; di trasformare il loro coraggioso No in una capitolazione sulla base della considerazione che onorare tale verdetto avrebbe innescato una Grexit. Non è la stessa cosa che chiamare il popolo a formulare un giudizio su una vicenda di costante opposizione a un programma economico fallito che causa danni indicibili all’economia sociale della Grecia. E’ piuttosto una preghiera agli elettori di avallare lui e la sua decisione di arrendersi, come male minore.”
Abbiamo chiesto a nove accademici di spicco quali erano le loro domande a un uomo che si descrive come “economista per caso”. Le sue risposte rivelano rammarico per il suo stesso approccio durante un 2015 drammatico, una valutazione fulminante del potere della Francia in Europa, timori per il futuro di Syriza, un’opinione che Syriza sia oggi finita e dubbi su quanto efficace sarebbe Jeremy Corbyn come leader del Partito Laburista britannico.
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Anton Muscattelli, Università di Glasgow : Perché il primo ministro greco Alexis Tsipras si è persuaso ad accettare le precondizioni della UE riguardo alle discussioni sul terzo salvataggio nonostante una decisiva vittoria referendaria della campagna del No, ed è questa la fine del percorso per l’ala anti-austerità di Syriza in Grecia?
Varoufakis: La risposta di Tsipras è che è rimasto spiazzato dalla determinazione dell’Europa ufficiale nel voler punire gli elettori greci mettendo in atto il piano del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble per cacciare la Grecia dall’eurozona, ridenominare i depositi bancari greci in una moneta che nemmeno era pronta e persino vietare l’uso degli euro in Grecia. Queste minacce, indipendentemente dalla loro credibilità, hanno causato un danno indicibile all’immagine dell’Unione Europea come comunità di nazioni e hanno infilato un cuneo nell’assioma dell’indivisibilità dell’eurozona.
Come probabilmente avrete saputo, la sera del referendum mi sono trovato in disaccordo con Tsipras sulla sua valutazione della credibilità di queste minacce e mi sono dimesso da ministro delle finanze. Ma anche se mi fossi sbagliato sulla credibilità delle minacce della troika, la mia grande paura era, e resta, che il nostro partito, Syriza, sarebbe stato fatto a pezzi dalla decisione di mettere in atto un altro programma controproducente di austerità del genere che eravamo stati eletti per contrastare. Adesso è chiaro che le mie paure erano giustificate.

Roy Bailey, Università dell’Essex: Il referendum a sorpresa del 5 luglio era stato concepito come un momento di minaccia per la contrattazione in corso tra la Grecia e i suoi creditori e l’ultimo anno ti ha indotto a correggere il modo in cui consideri la Teoria dei Giochi?
Varoufakis: Dovrò deluderti Roy (Nota della redazione: Roy Bailey era stato docente di Varoufakis alla Essex e lo aveva assistito nella sua tesi di dottorato). Come ho scritto in un editoriale del New York Times la Teoria dei Giochi non è mai stata rilevante. Si applica a interazioni in cui le motivazioni sono esogene e il punto sta nell’elaborare le strategie ottimali di finzione e minacce credibili, considerate le informazioni disponibili. Il nostro compito era diverso: consisteva nel persuadere l’”altra” parte a cambiare le sue motivazioni nei confronti della Grecia.

Io rappresentavo una nazione piccola, sofferente, nel suo sesto anno di profonda recessione. Fingere con il destino del nostro popolo sarebbe stato irresponsabile. Perciò non l’ho fatto. Abbiamo invece esposto quella che ritenevamo fosse una posizione ragionevole, coerente con gli interessi dei nostri stessi creditori. E poi abbiamo tenuto la nostra posizione. Quando la troika ci ha messo all’angolo, presentandomi un ultimatum il 25 giugno, appena prima di chiudere il sistema bancario greco, lo abbiamo esaminato attentamente e abbiamo concluso che non avevamo né il mandato di accettarlo (visto era economicamente irrealizzabile) né di rifiutarlo (e scontrarci con l’Europa ufficiale). Abbiamo invece deciso di fare qualcosa di terribilmente radicale: lasciare che decidesse il popolo greco.
Infine, come questione teorica, il “momento di minaccia” nella tua domanda si riferisce alla soluzione negoziale di John Nash che è basata sull’assioma di assenza di conflitto tra le parti. Tragicamente non avevamo il lusso di basarci su tale presupposto.

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Cristina Flesher Fominaya, Università di Aberdeen: Le trattative tra Grecia e UE sono sembrate più una competizione tra democrazia e banche che non un negoziato tra la UE e uno stato membro. Visto il risultato ci sono lezioni che ricaveresti da ciò per altri partiti europei che si oppongano agli imperativi delle politiche di austerità?
Varoufakis: Permettimi di riformulare la cosa. E’ stata una competizione tra il diritto dei creditori di governare una nazione debitrice e il diritto democratico dei cittadini di tale nazione di governarsi da sé. Ai molta ragione sul fatto che non c’è mai stato un negoziato tra la UE e la Grecia come stato membro della UE. Stavamo negoziando con la troika dei finanziatori, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e una Commissione Europea del tutto indebolita nel contesto di un raggruppamento informale, l’Eurogruppo, privo di regole specifiche, senza verbali degli atti e interamente sotto il tallone di un unico ministro delle finanze e della troika dei finanziatori.
Inoltre la troika era tremendamente frammentata, con molte priorità contraddittorie in gioco, con la conseguenza che le “condizioni di resa” che ci hanno imposto sono state, per dire il minimo, curiose: un accordo imposto da creditori decisi a inserire clausole che garantiscono che noi, il debitore, non possiamo rimborsarli. Dunque la principale lezione da apprendere dagli ultimissimi mesi è che la politica europea nemmeno riguarda l’austerità. O che, come scrisse Nicholas Kaldor sul The New Statesman nel 1971, ogni tentativo di costruire un’unione monetaria prima di un’unione politica finisce con un sistema monetario spaventoso che rende l’unione politica molto, molto più difficile. L’austerità e un odioso deficit di democrazia sono solo dei sintomi.
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Panicos Demtriades, Università di Leicester: Hai mai pensato che il tuo messaggio finisse annacquato o diventasse fastidioso, o persino incoerente, concedendo così tante interviste?
Varoufakis: Sì. Mi sono pentito di diverse interviste, specialmente quando i giornalisti interessati si sono presi delle libertà che non avevo previsto. Ma permettimi di aggiungere che il “fastidio” sarebbe prevalso anche se io avessi concesso molte meno interviste. In realtà il gioco mediatico era truccato contro il nostro governo, e contro me personalmente, nel modo più inatteso e ributtante. Proposte del tutto moderate e tecnicamente sofisticate sono state ignorate mentre i media si sono concentrati su banalità e distorsioni. Concedere interviste in cui, in una certa misura, ero in grado di controllare il contenuto è stato il mio solo canale. Di fronte a un’agenda mediatica intenzionalmente “fastidiosa” che sconfinava con la diffamazione, ho sbagliato quanto alla sovra-esposizione.
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Simon Wren-Lewis, Università di Oxford: Sarebbe stato possibile per una Francia energica fare da efficace contrappeso alla Germania nell’Eurogruppo o la Germania ha sempre avuto la maggioranza dalla sua parte?
Varoufakis: Il governo francese sente di avere carte deboli. Il suo deficit è persistentemente nell’area della cosiddetta procedura per deficit eccessivo della Commissione Europea, che mette Pierre Moscovici, il commissario europeo agli affari economici e finanziari ed ex ministro francese delle finanze, nella difficile posizione di dover fare il duro con Parigi sotto l’occhio vigile di Wolfgang Schaeuble, il ministro tedesco delle finanze.
E’ anche vero, come dici, che l’Eurogruppo è del tutto “manipolato” da Schaeuble. Ciò nonostante la Francia aveva un’opportunità di usare la crisi greca per cambiare le regole di un gioco che la Francia non vincerà mai. Il governo francese ha, così, perso una grande occasione di rendersi sostenibile all’interno della moneta unica. La conseguenza, temo, è che Parigi si troverà presto di fronte un regime più duro, forse una situazione in cui il presidente dell’Eurogruppo è investito di poteri draconiani di veto sul bilancio nazionale del governo francese. Quanto a lungo, una volta che ciò accada, potrà sopravvivere l’Unione Europea al rigurgito di un maligno nazionalismo in luoghi come la Francia?
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Kamal Munir, Università di Cambridge: Hai spesso sottinteso che ciò di cui si è dibattuto nei vostri incontri con la troika (FMI, BCE e Commissione Europea) era economia solo in superficie. In profondità si è giocata una partita politica. Pensi che stiamo rendendo un cattivo servizio ai nostri studenti insegnando loro un tipo di economia che è così chiaramente scollegato dalla realtà?
Varoufakis: Se soltanto un po’ di economia si fosse affacciata nei nostri incontri con la troika, ne sarei stato felice. Non ne è apparsa nemmeno un po’.
Persino quando si discuteva di variabili economiche, non c’è mai stata alcuna analisi economica. Le discussioni si esaurivano al livello di regole e di obiettivi concordati. Mi sono ritrovato a parlare con i miei interlocutori della contraddizione dei fini. Loro dicevano cose come: “Le regole dell’avanzo primario specificano che il vostro dovrebbe essere almeno del 3,5 per cento del PIL nel medio termine”. Io cercavo di avere una discussione economica suggerendo che tale regola andava modificata perché, ad esempio, l’avanzo primario del 3,5% nel 2017 avrebbe depresso la crescita oggi, incrementato immediatamente il rapporto debito/PIL e reso impossibile conseguire l’obiettivo dichiarato entro il 2018.
Tali ragionamenti economici elementari erano trattati come insulti. Una volta sono stato accusato di dare loro “lezioni” di macroeconomia. Riguardo alla tua domanda pedagogica: anche se è vero che insegniamo agli studenti un genere di economia che è creato per essere cieco al capitalismo realmente esistente, resta il fatto che nessun genere di pensiero economico sofisticato, nemmeno l’economia neoclassica, può arrivare alle parti dell’Eurogruppo che prendono decisioni epocali dietro porte chiuse.
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Mariana Mazzucato, Università del Sussex: Come ha rivelato la crisi in Grecia (la sua causa e i suoi effetti) le deficienze della teoria economica neoclassica sia a livello micro sia a livello macro?
Varoufakis: I non iniziati possono restare sconcertati nell’apprendere che i modelli macroeconomici insegnati nelle migliori università non trattano l’accumulazione del debito, la disoccupazione involontaria e, in realtà, la moneta (con i prezzi relativi riflettenti una forma di baratto). Salvo forse alcuni shock casuali che si presume domanda e offerta appianino rapidamente, i modelli più raffinati insegnano agli studenti più in gamba a presupporre che i risparmi si trasformino immediatamente in investimenti produttivi, non lasciando spazio a crisi.
E’ dura quando poi questi laureati si ritrovano faccia a faccia con la realtà. Sono smarriti, ad esempio, quando vedono che i risparmi tedeschi che superano permanentemente gli investimenti tedeschi, mentre gli investimenti greci superano i risparmi, in “tempi buoni” (prima del 2008) crollano a zero durante la crisi.
Passando al livello micro, l’osservazione che, nel caso della Grecia, i salari reali sono scesi del 40% ma l’occupazione è precipitata, mentre le esportazioni sono rimaste piatte, illustra in technicolor quanto inutile sia l’approccio microeconomico privo di fondamenta macro.
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Tim Bale, Università Queen Mary di Londra: Vedi delle somiglianze tra te e Jeremy Corbyn, che pare possa conquistare la dirigenza del Partito Laburista (UK) e pensi che un partito populista di sinistra sia capace di vincere elezioni nel sistema ‘il primo piglia tutto’?
Varoufakis: La somiglianza che mi sento libero di citare è che io e Corbyn, probabilmente, abbiamo partecipato contemporaneamente a dimostrazioni contro il governo Tory quando vivevo in Gran Bretagna negli anni ’70 e ’80 e condividiamo molte idee circa la calamità piovuta sui lavoratori britannici con la svolta del potere dalla produzione alla finanza. Tuttavia tutti gli altri paragoni vanno tenuti sotto controllo.
Syriza era un partito radicale di sinistra che ha totalizzato poco più del 4% dei voti nel 2009. La nostra incredibile ascesa è stata dovuta al collasso del “centro” politico, causato dallo scontento popolare per una Grande Depressione dovuta a una moneta unica che non era mai stata progettata per sostenere una crisi globale e dalla negazione da parte del potere costituito che le cose stavano così.
La flessibilità molto maggiore che la Banca d’Inghilterra ha accordato ai governi britannici di Gordon Brown e di David Cameron ha prevenuto il genere di implosione socio-economica che ha portato Syriza al potere e, in questo senso, un partito radicale di sinistra analogamente forte è estremamente improbabile in Gran Bretagna. In effetti la stessa storia del Partito Laburista, e la sua dinamica interna, costringeranno, ne sono certo, un vittorioso Jeremy Corbyn a un percorso diverso da quello di Syriza.
Passando al sistema “il primo piglia tutto”, se fosse stato applicato qui in Grecia avrebbe dato al nostro partito una maggioranza schiacciante in parlamento. Perciò non è vero che i fallimenti elettorali del Partito Laburista sono dovuti a tale sistema.
Infine consentimi di sollecitare attenzione al termine “populista”. Syriza non ha proposto ai greci un programma populista. I “populisti” cercano di accontentare tutti. I sussidi da noi promessi si estendevano solo a quelli che guadagnavano meno di 500 sterline il mese. Se vuole essere popolare nemmeno il Partito Laburista non può permettersi di essere populista.
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Mark Taylor, Università di Warwick: Concorderesti sul fatto che la Grecia non soddisfa i criteri per una riuscita appartenenza a un’unione monetaria con il resto dell’Europa? Non sarebbe meglio se uscisse ora anziché tamponare i buchi e attendere che si verifichi un’altra crisi economica greca tra pochi anni?
Varoufakis: Il progetto dell’eurozona è stato tale che nemmeno Italia e Francia hanno potuto prosperare al suo interno. Entro l’attuale quadro istituzionale solo l’unione monetaria a est del Reno e a nord delle Alpi sarebbe sostenibile. Ahimè, costituirebbe un’unione inutile per la Germania, poiché non riuscirebbe a proteggerla dalla costante rivalutazione in risposta ai suoi avanzi commerciali.
Ora, se per “criteri” intendi i parametri di Maastricht, è ovviamente chiaro che la Grecia non li soddisfaceva. Ma allora nemmeno l’Italia e la Francia. Per contro Spagna e Irlanda soddisfacevano i criteri e, in effetti, nel 2007 i governi di Madrid e Dublino registravano dati su deficit, debito e inflazione che, secondo i criteri ufficiali, erano migliori di quelli della Germania. E tuttavia quando si è scatenata la crisi, Spagna e Irlanda sono affondate nel pantano. In poche parole, l’eurozona è stata progettata male per tutti. Non solo per la Grecia.
Dovremmo allora limitare le nostre perdite e uscire? Per rispondere correttamente dobbiamo afferrare la differenza tra affermare che la Grecia, e altri paesi, non avrebbero dovuto entrare nell’eurozona e affermare che ora dovremmo uscirne. In termini tecnici abbiamo un caso di isteresi: una volta che una nazione ha intrapreso il percorso nell’eurozona, tale percorso è scomparso dopo la creazione dell’euro e ogni tentativo di inversione lungo quel percorso ora inesistente potrebbe determinare una grande caduta in un baratro profondissimo.

traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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