La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 28 agosto 2015

Fermiamo la "guerra civile" della sinistra

di Alberto Rotondo
Berlino, 11 marzo del 1999 : dopo aver atteso prudentemente la chiusura dei mercati, Oskar Lafontaine annuncia le sue dimissioni da ministro delle Finanze del governo tedesco.
Lasciava il governo Oskar “il rosso” , già presidente della Saarland, cuore pulsante dell’industria tedesca, e presidente della SPD.
Il tabloid inglese The Sun lo aveva definito “l’uomo più pericoloso di Europa” e in effetti con lui veniva meno ogni resistenza al progetto di Schroeder di sottomettere la socialdemocrazia tedesca ai dogmi del neo liberismo europeo, complice la svolta del New Labour blairiano.
Da qui la politica di moderazione salariale e di riduzione drastica della spesa pubblica che avrebbe garantito alla Germania un lungo periodo di crescita economica, ma a prezzo di un aumento vertiginoso delle disuguaglianze interne, e avrebbe posto le basi di quella costruzione egemonica della UE a trazione tedesca, che oggi minaccia seriamente di far saltare ogni vincolo di solidarietà europea.
“La Germania ha introdotto quell’aberrazione economica chiamata austerità che sta distruggendo l’Europa. Non possiamo continuare così”. Queste le parole incriminate, con cui Montebourg criticava il rigore tedesco imposto dal governo Merkel e sostanzialmente condiviso da Hollande. Le dimissioni del governo incontrano una rapida soluzione, con un reincarico a Manuel Valls e la defenestrazione del ministro ribelle.
Atene, 6 luglio 2015: Yanis Varoufakis dopo la vittoria del NO al referendum greco contro l’austerità si dimette a sorpresa dall’incarico di ministro delle finanze. Un gesto che segna una svolta nei negoziati tra il governo greco e i creditori internazionali, che porta al drammatico voto del parlamento greco che approva un nuovo difficile memorandum , alle dimissioni di Alexis Tsipras e alle prossime elezioni di settembre, che si annunciano assai complicate per via della spaccatura che attraversa Syriza e le forze dell’alternativa.
C’è una sottile linea rossa che lega i tre eventi, e non a caso Varoufakis è stato l’ospite di onore di Montebourg alla tradizionale festa della Rosa di Frangy en Bresse in Borgogna, che per l’occasione è stata ribattezzata dall’ex ministro socialista francese Frangy en Grece, mentre Oskar Lafontaine non ha lesinato dure critiche all’unione monetaria europea e secondo alcune indiscrezioni sarebbe al fianco di Varoufakis nel tentativo di costruire un’ampia alleanza europea contro le politiche di austerità.
Come è noto la coraggiosa decisione di Tsipras di dimettersi e di andare alle elezioni ha terremotato il quadro politico greco ( e europeo?) , i dirigenti che hanno votato contro il terzo memorandum hanno lasciato Syriza e formato un nuovo partito (Unità Popolare) mentre altri quadri storici si allontanano in preda alla confusione e alla delusione che provocano le sconfitte cocenti.
In tanti rimproverano a Tsipras di avere rotto l’unità del partito, ma la scelta di dimettersi e di andare alle elezioni per ottenere “un nuovo largo mandato popolare” a me sembra una scelta di responsabilità e di democrazia.
La firma del terzo memorandum segna sicuramente un arretramento nella lotta del popolo greco alla violenza dei diktat eurotedeschi, e lo stesso Tsipras lo ha ammesso, ma bisogna con maturità riconoscere che la sconfitta è arrivata perché la Grecia e il suo governo sono stati lasciati soli da chi doveva e poteva difenderli , per ragioni politiche, morali e anche per difesa dei propri leciti interessi nazionali. Una responsabilità che ricade per intero sui governi a guida socialista e democratica di Francia e Italia.
Ma perdere una battaglia non significa affatto perdere una guerra, la lotta continua e gli equilibri possono cambiare in fretta in Grecia come nel resto di Europa.
Quello che si annuncia è un autunno elettorale: in pochi mesi si voterà in Grecia, Catalogna, Portogallo e Spagna e vi è la concreta possibilità di un deciso cambiamento dei rapporti di forza che hanno sino a questo momento frustrato la coraggiosa iniziativa greca.
Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere si pose il problema di come interpretare la lotta rivoluzionaria, e lo fece scrivendo dalle carceri fasciste nel bel mezzo di quella che a buon diritto Eric Hobsbawn ha definito l’età della catastrofe.
Per riassumere il dibattito prevalente tra le forze comuniste e rivoluzionarie di allora Gramsci ricorse a due termini tratti dal gergo militare: a quanti ritenevano che al socialismo si dovesse pervenire attraverso rivoluzioni rapide e definitive che approfittassero dei problemi sociali causati dalle cicliche crisi dell’economia capitalistica ( strategia che Gramsci chiamò guerra di movimento) egli contrappose una strategia più articolata che tenesse conto delle sovrastrutture complesse che nelle società moderne dimostrano una grande capacità di resistenza agli attacchi diretti, vere e proprie trincee del capitalismo nei confronti delle quali bisogna muovere una guerra di posizione.
Una di queste trincee è rappresentata in Europa dall’ordoliberismo a egemonia tedesca.
Essa ha dimostrato una straordinaria capacità di resistenza agli attacchi inferti da un intero popolo in rivolta, che in grande maggioranza ha espresso con il no al referendum il suo rifiuto delle politiche di austerità.
Ma proprio nel momento in cui i ricatti sembrano prevalere, nuovi avamposti possono essere conquistati nella lotta allo strapotere del finanzcapitalismo contemporaneo. A patto di non trasformare i prossimi appuntamenti elettorali, come ha efficacemente detto Tsipras nel suo ultimo intervento televisivo in “una guerra civile della sinistra”.
Fermiamola, fermiamoci.

Fonte: Esseblog

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