La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Pace in Sud Sudan, per ora solo su carta

di Bianca Saini
Come ampiamente previsto, anche il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha alla fine firmato mercoledì l’accordo di pace che avrebbe dovuto sottoscrivere con il suo ex vice presidente ora capo dell’opposizione armata, Rieck Machar, il 17 agosto ad Addis Abeba.
La cerimonia, che si è svolta mercoledì scorso nel tardo pomeriggio a Juba, non è stata caratterizzata da un’atmosfera festante e positiva, come di solito succede in occasioni simili, ma vi si è respirato piuttosto un clima di tensione. Un giornalista ugandese ha osservato come il discorso di Kiir sia stato «infarcito di pause ed esitazioni, forse segno della pressione a cui è sottoposto da parte della comunità internazionale e del suo stesso partito». Alla cerimonia hanno partecipato anche il presidente ugandese Yoweri Museveni, quello keniano Uhuru Kenyatta, e il primo ministro etiopico Hailemariam Desalegn, in rappresentanza del tavolo negoziale, l’Igad – Plus, di cui fanno parte anche l’Onu, l’Unione Africana, l’Unione Europea e alcuni paesi particolarmente importanti nella storia dell’indipendenza sud sudanese come Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia, o particolarmente pesanti nel continente, come Sud Africa e Nigeria.

Oltre a questi anche la Cina, nuova arrivata della diplomazia internazionale nella regione, per la sua rilevanza economica in campi quali lo sfruttamento del petrolio (quasi tutto il petrolio sud sudanese è venduto alla Cina) e nel commercio delle armi. Anche l’Italia ha avuto un posticino, come facente parte del riscoperto gruppo di paesi amici dell’Igad, che notevole importanza avevano avuto nel facilitare il trattato globale di pace che aveva posto fine alla guerra civile tra il nord e il sud, nel 2005.
Nei giorni precedenti a Juba si erano svolti numerosi, e a quanto pare piuttosto burrascosi, incontri della leadership governativa. Alla firma dell’accordo rimangono infatti contrari, tra gli altri, il potentissimo capo di stato maggiore dell’esercito, generale Paul Malong, da sempre tra i principali sostenitori di Kiir, che ha partecipato alla cerimonia in modo defilato (durante la giornata si erano perfino diffuse voci che fosse agli arresti domiciliari) e il ministro dell’informazione, Michael Makuei Lueth, che si è allontanato dalla sala con aria decisamente delusa e amareggiata.
Le preoccupazioni del presidente
Kiir ha firmato il documento, già compromissorio rispetto a quello preparato in luglio dai negoziatori, presentando un testo di 12 pagine da allegare all’accordo, già firmato dai leader dell’opposizione armata e politica, Rieck Machar e Pagan Amun, contenente un lungo elenco di “serie riserve”, così si è espresso nel discorso tenuto per l’occasione, su punti qualificanti, quali la demilitarizzazione della capitale e la divisione dei poteri con l’opposizione. Gli Usa hanno già fatto sapere che le riserve del presidente non saranno tenute in nessuna considerazione, come del resto ha già fatto l’opposizione. Machar ha pubblicamente chiesto di lasciar cadere “perplessità e preoccupazioni” in favore della pace.
La piaga delle armi
Intanto una commissione di esperti dell’Onu ha suggerito al Consiglio di sicurezza di proclamare comunque un embargo sul commercio di armi per il Sud Sudan. Nel rapporto presentato, è messa sotto accusa soprattutto la Cina. La Norico, ditta governativa cinese produttrice di armamenti, negli scorsi mesi avrebbe venduto armi per un valore di 20 milioni di dollari al paese, e in particolare: 100 apparati lanciamissili anti carrarmato, 1200 missili, circa 2.400 lancia granate, 10.000 fucili automatici e 24 milioni di cartuccere di proiettili di vario genere. Si può facilmente prevedere che il pagamento avverrà in petrolio, impegnando così riserve strategiche del paese, che avrebbero dovuto sostenerne lo sviluppo. Inoltre qualcuno ha fornito al Sud Sudan 4 elicotteri da combattimento, che non erano in dotazione prima dello scoppio del conflitto. Il consiglio della commissione va ad aggiungersi ad un documento americano, che pure chiede di andare avanti con l’embargo.
Dubbi sull’accordo
Le reazioni alla firma sono state di segno diverso. Parecchi cittadini di Juba, saputo dell’avvenuta cerimonia, si sono pubblicamente rallegrati, così come i negoziatori e tutti i paesi che hanno partecipato all’ultimo round delle trattative. Fra gli osservatori internazionali, non è mancato chi ha espresso perplessità, soprattutto per il clima che ha caratterizzato le ultime settimane prima della firma dell’accordo. E anche per la situazione nel paese, che sembra non essere ancora favorevole ad un accordo duraturo.
La pace, ad esempio, è stata firmata lo stesso giorno in cui si sono avuti nuovi scontri nello stato di Unità, e in cui i combattenti dell’opposizione hanno preso Magwi, una cittadina capoluogo di una contea nell’Equatoria Orientale, a una novantina di chilometri da Juba, fatto poi negato dal governo.
Però questa volta qualche passo concreto sembra avvenire, anche sul campo: oggi Salva Kiir, nel suo ruolo di capo dell’esercito, ha proclamato il cessate il fuoco permanente in tutto il paese, con un giorno d’anticipo su quanto previsto dall’accordo. Si spera che tutto il suo esercito esegua l’ordine. Non è chiaro cosa faranno i comandanti militari che si sono dissociati dal Splm-Io, di Machar, a quanto dichiarato proprio perché contrari all’accordo.
Insomma, diversi problemi rimangano ancora sul tappeto, ma l’impegno della comunità internazionale a mettere fine al conflitto sembra molto più pressante del passato. Solo le prossime settimane, però, ci diranno se anche questa firma avrà siglato “una pace di carta”, come i numerosi accordi precedenti mai onorati, o se avrà messo in moto un processo effettivo di uscita dalla crisi verso una pace sostenibile e duratura.

Fonte: Nigrizia

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