La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Per una dichiarazione dei diritti dell’umanità

di Yves Charles Zarka 
Circa due mesi fa, il presidente francese François Hollande ha richiesto a Corinne Lapage, ex-ministro dell’ecologia, una “Dichiarazione universale dei diritti dell’umanità”. Questa dichiarazione avrebbe come obiettivo quello di completare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948. L’idea sarebbe di discutere (ed eventualmente adottare) questa dichiarazione in occasione della conferenza sul clima che si terrà a Parigi alla fine dell’anno (COP21). 
Perché è importante questa dichiarazione? Prima di tutto per il carattere universale che non può mancare di avere. Si tratta infatti di definire i princìpi che accomunano l’umanità intera, al di là delle diverse culture, consuetudini, stili di vita, religioni – e tuttavia senza negare tali differenze. La scommessa sta quindi nel riuscire a dimostrare che si può pensare, al di là della relatività dei valori e dei punti di vista, una dimensione comune, un interesse comune, che possa dare un contenuto concreto all’idea di umanità.
In secondo luogo, una dichiarazione di questo genere comporterebbe una piena presa d’atto del fatto che vi sono oggi delle questioni che riguardano non soltanto questo o quel paese, questa o quella regione, questo o quel popolo, ma l’umanità tutta. Se quest’ultima è coinvolta nel suo complesso, è perché vi è un destino comune a definirla. Questo destino comune consiste nel suo rapporto con la Terra. Che cos’è la Terra? La Terra (con la T maiuscola) non è soltanto il pianeta conosciuto sotto questo nome; è anche, e soprattutto, la Terra-suolo, vale a dire il mondo abitabile. In questo senso, la Terra è il corrispettivo dell’umanità. Quest’ultima infatti non vive in uno spazio astratto: la Terra è condizione della sua esistenza sotto ogni profilo, dai semplici bisogni vitali fino alle più alte funzioni intellettuali, passando per l’immaginazione, le passioni, la speranza, ecc. Viceversa, la Terra non è semplicemente un luogo neutro o una realtà bio-fisico-chimica senza passato: essa reca in sé un archivio vivente della storia umana oltre a quelle dell’insieme degli esseri viventi. 
In terzo luogo, l’idea di una dichiarazione dei diritti dell’umanità rende necessario chiarire il concetto stesso di umanità. L’umanità non è una cosa astratta; è il principio per cui ogni essere umano è identico a tutti gli altri. Ma bisogna ben comprendere di che identità si tratti. “Ogni uomo”, diceva Montaigne, “porta in sé l’intera forma della condizione umana”. Tale forma, tuttavia, è individuale: ciò significa che l’identità umana, lungi dall’opporsi alla diversità e alla differenza, è di per se stessa diversità. L’identità dell’identità non è identità, ma differenza. Vi sono migliaia, milioni, per non dire miliardi di modi diversi di essere umani. È in virtù di tale diversità, e non nonostante essa, che il concetto di umanità acquista il suo significato. 
Una volta che le nozioni di universalità, di Terra-suolo e di umanità siano state così definite sul piano filosofico, una Dichiarazione dei diritti dell’umanità consisterebbe nella presa d’atto politica, a livello internazionale, del destino comune che coinvolge tutte le società umane. In sostanza, come ho mostrato inRifondare il cosmopolitismo (Presses Universitaires de France, 2014), si tratterebbe di prendere coscienza a livello politico di una dimensione che oltrepassa la sfera politica, che sarebbe quindi meta-politica, dunque cosmopolitica. I rischi comuni all’insieme dell’umanità sono divenuti tali che la politica è costretta a superare prospettive locali, regionali o nazionali per stabilire al di là di queste una dimensione più elevata: la dimensione cosmopolitica. Quest’ultima non implica alcuna negazione della politica, ma permette di rivelare al di sopra di quest’ultima una dimensione capace di regolarla. In poche parole: al di sopra della sovranità dei popoli, vi è la sovranità dell’umanità. 
In questo senso, una Dichiarazione dei diritti dell’Umanità troverebbe la sua naturale collocazione nel preambolo delle Costituzioni nazionali, com’è già per la Dichiarazione dei diritti dell’uomo in un certo numero di Stati democratici, e per la Carta dell’ambiente in Francia. La Dichiarazione del diritti dell’uomo ha permesso di resistere all’oppressione politica che colpisce individui o popoli interi; la Dichiarazione dei diritti dell’umanità avrebbe come obiettivo quello di permettere non soltanto la lotta contro l’oppressione, ma anche la lotta o la resistenza contro lo sfruttamento illimitato e distruttivo della Terra-suolo. In questo modo, una Dichiarazione dei diritti dell’umanità permetterebbe al tempo stesso di lottare contro l’oppressione, la povertà, lo sfruttamento degli esseri umani, la dominazione di una parte del pianeta su altre parti, e di assicurare la preservazione della Terra-suolo, vale a dire il futuro dell’umanità. 
Chi scrive ha personalmente tentato di definire i princìpi cosmopolitici fondamentali sui quali una Dichiarazione dei diritti dell’umanità dovrebbe essere fondata. Questi princìpi sono: l’inappropriabilità della terra e la responsabilità nei confronti dell’umanità (si veda L’inappropriabilità della Terra, Armand Colin, 2013). La nozione di inappropriabilità della terra rimette in discussione un’idea, sia religiosa che giuridica, che ha particolarmente (seppur non esclusivamente) caratterizzato il pensiero occidentale, vale a dire l’idea che la Terra-suolo appartenga all’uomo e che quest’ultimo possa servirsene a suo piacimento. La nozione di inappropriabilità non mira a contestare la proprietà individuale o collettiva, bensì a limitarla in modo radicale, subordinandola a ciò che è inappropriabile: la Terra-suolo non appartiene alle generazioni viventi; non è una loro proprietà. Ciò significa che qualsiasi appropriazione è provvisoria e temporanea, secondaria o subordinata. Nessuno – né singoli individui né collettività – gode di un diritto assoluto sopra una parte della Terra-suolo: tale diritto non può che essere limitato, vale a dire subordinato a un principio più fondamentale – la preservazione del fondamento stesso dell’esistenza dell’umanità presente e futura. La Terra-suolo non ci appartiene; siamo noi che apparteniamo a lei.
Parallelamente all’inappropriabilità della Terra, vi è la responsabilità nei confronti dell’umanità. Si tratta di una responsabilità supplementare e indiretta, che riguarda tutte le nostre azioni – individuali o collettive, private o pubbliche. In base a questo principio, agendo noi ci impegniamo non soltanto in quanto cittadini nei confronti di altri esseri umani o di collettività ben determinate, ma anche in qualità di cittadini del mondo nei confronti dell’umanità intera, e quindi nei confronti del mondo vivente nel suo complesso. Tale responsabilità è cosmopolitica: in altre parole, essa trova il suo fondamento ontologico e giuridico nell’appartenenza dell’uomo all’umanità, e di quest’ultima al mondo vivente. Questa forma propriamente umana di responsabilità non è soltanto morale, ma anche semi-giuridica, e in quanto tale deve ricevere una formulazione giuridica nelle costituzioni nazionali. Grazie a questa nozione si potranno fissare i diritti e i doveri cosmopolitici (e pertanto universali) che saranno così fondati sul legame di appartenenza e di solidarietà dell’uomo con il resto del mondo vivente. 
Sono questi due princìpi – l’inappropriabilità della terra e la responsabilità nei confronti dell’umanità – che permetteranno di dare un contenuto a una Dichiarazione universale dei diritti e dei doveri dell’Umanità. 

Fonte: MicroMega online

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